Consulta l’Indice anagrafico dei condottieri di ventura
A – B – C – D – E – F – G – H – I – J – L – M – N – O – P – Q – R – S – T – U – V – W – X – Z
Indice delle Signorie dei Condottieri: A – B – C – D – E – F – G – I – J – L – M – N – O – P – Q – R – S – T – U – V – Z
NICCOLÒ PICCININO Di Calisciana, ora Caligiana, frazione del comune di Magione. Soprannominato Piccinino, Piccolino, Pusillo, Petitto per la bassa statura.

Lo si dice figlio di un macellaio (assassinato in circostanze oscure), anche se la tradizione vuole che un suo zio sia stato podestà di Milano. Marchese di Pellegrino. Signore d’Orvieto, Pontremoli, Borgonovo Val Tidone, Borgo Val di Taro, Pellegrino Parmense, Feligara, Candia Lomellina, Solignano, Varano de’ Melegari, Visiano, Costamezzana, Borghetto, Tabiano Castello, Somaglia, Calestano, Marzolara, Vigolone, Pianello Val Tidone, Albareto, Castelponzone, Varese Ligure, Compiano, Bardi, Fiorenzuola d’Arda, Frugarolo, Castell’Arquato, Busseto, Canale. Padre di Francesco Piccinino e di Jacopo Piccinino.
Consulta la scheda delle citazioni su Niccolò Piccinino
Read this article in English
1386 – 1444 (ottobre)
Anno, mese | Stato. Comp. ventura | Avversario | Condotta | Area attività | Azioni intraprese ed altri fatti salienti |
……………… | Umbria | La famiglia è originaria del castello di Calisciana (Caligiana) nei pressi di Perugia; appartiene al ceto popolare ed è proprietaria di un macello. Niccolò Piccinino, fin da giovane, aderisce alla fazione nobiliare in esilio dei beccherini perché il padre Francesco è stato ucciso da alcuni uomini della fazione popolare dei raspanti. | |||
1396 | Umbria Toscana ed Emilia | Ripara a Firenze con la madre presso lo zio Biagio da Calisciana che milita agli stipendi della repubblica. Lasciato in pegno all’oste che ha ospitato i suoi famigliari nella città, il Piccinino è costretto a lavorare come garzone; salda i propri debiti e può raggiungere a Bologna il congiunto, città in cui ora dimora con altri fuoriusciti di Perugia. | |||
1406/1407 | Uomo d’arme | Romagna | Milita con lo zio nella compagnia di Bartolomeo da Sesto, inizialmente come saccomanno, poi come lancia. Il congiunto per la sua indole fiera e risoluta concede in moglie a Niccolò Piccinino la figlia Gabriella. Il futuro condottiero uccide la donna perché la sospetta di adulterio: la trova, infatti, incinta al ritorno da una campagna durata undici mesi. Secondo le varie voci la fa trascinare da un cavallo in corsa, la strangola o ancora la fa avvelenare. In ogni caso ne adotta il figlio Francesco. | ||
1411 | |||||
Mag. | Firenze | Napoli | Lazio | E’ presente alla battaglia di Roccasecca. | |
Ago. | Perugia | Umbria | Alla morte per un colpo di artiglieria di Guglielmo Lancellotti, il capitano della compagnia in cui milita, passa agli stipendi dei perugini. | ||
1416 | |||||
Mag. | Montone | Perugia | Umbria | Agli ordini di Braccio di Montone prende parte ad un tentativo di entrare in Perugia. Uccide con un colpo di spada il connestabile Bassetto che tenta di opporsi ai bracceschi. L’assalto è respinto dai difensori. | |
Giu. | 100 cavalli | Umbria | Inizialmente si trova alla testa di 5 soldati, poi di 10; dopo avere salvato la vita a Braccio di Montone, sorpreso dai perugini in un convento, gli è affidato il comando di una compagnia di 100 cavalli. | ||
Lug. | Umbria | Prende parte alla battaglia di Sant’Egidio nella quale viene disfatto il signore di Rimini Carlo Malatesta. Braccio di Montone diviene signore di Perugia. | |||
1417 | |||||
Mag. | Perugia | Chiesa Napoli | Umbria | E’ segnalato a Foligno. | |
Ago. | 400 cavalli | Lazio | Segue Braccio di Montone alla conquista di Roma. Con la cacciata dei bracceschi dalla località è lasciato a Palestrina ed a Zagarolo dove rimane con 400 cavalli. Dai due centri porta la desolazione fino alle porte del capoluogo; è vinto a Zagarolo da Muzio Attendolo Sforza. Catturato con 37 cavalli, è condotto a Roma; è fatto rinchiudere nel Campidoglio da Nanni di Spinello. Viene liberato nel Patrimonio quattro mesi dopo attraverso uno scambio di prigionieri voluto dal Tartaglia. | ||
1418 | Lazio | Micheletto Attendolo viene sconfitto da Braccio di Montone e dal Tartaglia: Niccolò Piccinino lo salva ad Acquapendente, gli concede in prestito 400 ducati affinché possa assoldare 400 cavalli e lo scorta con la sua compagnia fino alle sue terre. Conquista con il Gattamelata la rocca di Spoleto. | |||
1419 | |||||
Mar. | Perugia | Urbino Chiesa | Marche | Con Castellano dalla Rosa, Danese da Siena, Tigrino da Cremona, Giovanni da Sesto e Pietro Tedesco assale nelle Marche il territorio di Cagli, controllato dal conte di Urbino Guidantonio da Montefeltro. Vani risultano i suoi attacchi alla città, alla cui difesa si trova Bernardino degli Ubaldini della Carda. Riesce, tuttavia, a sconfiggere il rivale in un piccolo scontro che si svolge nei pressi della stessa Cagli alla confluenza dei fiumi Burano e Bosso. Il rivale, ferito da un colpo di spada al collo, riesce a stento a sfuggire alla cattura. Di seguito di dirige verso Serra Sant’Abbondio: impadronitosi di tale località, la trasforma in base operativa dalla quale partire per le scorrerie nel territorio circostante. | |
Apr. | Comp. ventura | Ancona | Marche | Giunge a Jesi, presidiata da Agamennone degli Arcipreti: inizia con quest’ultimo a molestare il territorio circostante. Ancona è costretta a riconoscere una taglia alla compagnia di Braccio di Montone. | |
Giu. | Perugia | Chiesa Napoli | Lazio | Prende parte alla battaglia di Montefiascone. E’ sconfitto e catturato nei pressi di Viterbo da Francesco Sforza e da Micheletto Attendolo: gli sforzeschi fanno prigionieri 562 cavalli tra i quali lo stesso Piccinino con 37 cavalli della sua compagnia. | |
Lug. | Lazio | Presto liberato, viene posto da Braccio di Montone alla guardia di Montefiascone; blocca l’avanzata su Viterbo di Muzio Attendolo Sforza. | |||
Ott. | Lazio ed Umbria | Con la defezione del Tartaglia nel campo avversario abbandona di notte Viterbo; si ritira prima a Montefalco e, di seguito, ad Assisi dove raggiunge Braccio di Montone. | |||
1420 | |||||
Gen. | Umbria | Affianca Braccio di Montone in un attacco a Gubbio, alla cui difesa si trovano Bernardino degli Ubaldini della Carda, Pietro da Bagno, Perugino dal Lago, Ludovico dei Michelotti e Ludovico d’Assisi. I bracceschi riescono a penetrare nella città. Niccolò Piccinino si attesta nel chiostro dell’ospedale di fronte alla chiesa. Fatto prigioniero con 4 soldati dagli avversari, solo il pronto intervento di Braccio di Montone riesce ad evitargli la cattura. Dopo tre giorni di aspri combattimenti i perugini sono sempre bloccati nella parte bassa di Gubbio. Decidono allora di ritirarsi dopo avere dato alle fiamme il borgo della Porta Marmorea e quello della Porta Santa Lucia. Il Piccinino resta nel territorio circostante apportandovi le usuali devastazioni. | |||
1421 | |||||
Ott. | Napoli | Angiò | Campania | Coadiuva Giovanni Ventimiglia al ponte di Casolla dove gli sforzeschi sono sconfitti. All’assedio di Acerra. | |
1423 | |||||
Gen. | Re d’Aragona | Napoli Chiesa | 400 cavalli | Umbria e Campania | Braccio di Montone gli dà in moglie una nipote che gli porta in dote il castello di Canale (Canale Nuovo) appena tolto ai Chiaravalle. Raggiunge la Campania per muovere in soccorso di Alfonso d’Aragona. |
Giu. | Campania Abruzzi | Esce da Napoli e con Pietro Giampaolo Orsini appoggia Braccio di Montone all’ assedio di L’Aquila. In una sortita dei difensori è ferito da un verrettone ad un ginocchio. | |||
Ago. | Abruzzi | Con Ardizzone da Carrara porta un pesante attacco alla Porta di Barete in cui vengono catturati 50 difensori: viene respinto da Antonuccio dell’ Aquila. | |||
Ott. | Abruzzi | Esce da Paganica con 400 cavalli; si scontra ancora con gli aquilani sui monti; a Bucchianico fronteggia lo Sforza che sta provenendo da Vasto. | |||
1424 | |||||
Gen. | Abruzzi | A Lanciano. Appena viene informato della morte per annegamento nel Pescara di Muzio Attendolo Sforza muove contro gli avversari, si colloca in agguato nei pressi, li insegue per due miglia con 100 cavalli e cattura 500 cavalli. Rientra a Paganica; fa costruire una bastia a San Lorenzo. E’ vinto a Civitaretenga da Troilo di San Valentino. | |||
Feb. | Abruzzi | Assedia L’Aquila con più forza ostacolandone il vettovagliamento dall’esterno; prepara tre imboscate, aventi tutte un esito deludente, nella valle di Rosarolo, a Collemaggio ed a San Lorenzo. | |||
Apr. | Abruzzi | Si accampa nei vigneti di Santa Lia. Ha l’incarico di tenere testa agli aquilani con 400 cavalli e 200 fanti. | |||
Giu. | Abruzzi | Partecipa alla battaglia di L’Aquila dove ha il comando della quattordicesima squadra. Ha l’ordine di porsi sul colle di Santa Maria di Collemaggio ed impedire che gli abitanti escano dalla città per unirsi con le truppe dello Sforza e di Jacopo Caldora. Contribuisce senza volerlo alla disfatta dei bracceschi perché, per raddrizzare le sorti dello scontro, abbandona la posizione che gli è stata assegnata. 5000 uomini escono dalla città agli ordini di Antonuccio dell’ Aquila e si mettono a saccheggiare il campo degli avversari. Circondato dai nemici il Piccinino si apre un varco e si salva con la fuga (per alcune fonti viene catturato dal conte di San Valentino Corrado Acquaviva). Con il Gattamelata raggiunge il castello di Ocre dove si trova il denaro raccolto dal Montone, comprensivo anche del soldo della condotta di 1000 lance stipulata con i fiorentini il precedente febbraio. Si appropria di 40000 fiorini, si sposta a Gagliano Aterno e vi riscatta con 11000 fiorini Niccolò Fortebraccio, catturato da Luigi da San Severino; è, poi, a Popoli al cui signore deve consegnare altri 5000 fiorini per avere libero il passo. Ricostituisce in breve la propria compagnia. | |||
Ago. | Firenze | Milano | Governatore 300 lance | Umbria | Si reca a Montone nonostante l’opposizione del papa Martino V. Passa al soldo dei fiorentini per combattere i viscontei agli ordini di Oddo di Montone. |
Ott. | Umbria Romagna | Esce da Assisi con Oddo di Montone; per la strada di Fratta Todina e di Città di Castello attraversa il Mugello; giunge a Dovadola in Romagna. | |||
Dic. | Romagna | A Galeata contrasta con bravura Secco da Montagnana, giunge a Civitella di Romagna e scorre il contado fino alle porte di Faenza. | |||
1425 | |||||
Gen. | Romagna | Assedia il castello di Tredozio costringendo alla resa Guelfo da Dovadola. Assale Rocca San Casciano. | |||
Feb. | Romagna | Spinto da Ludovico Manfredi, decide di compiere una scorreria in Val di Lamone; lascia un presidio al ponte di Fognano; all’alba si introduce nella valle. Ordina a Ludovico Manfredi, a Niccolò Orsini ed a Antonio da Pontedera di penetrarvi dall’alto delle colline e di venirgli incontro sul piano; Antonello Ruffaldi ha, invece, l’incarico di porsi su una collina con un capitano di fanti; comanda che nessuno si fermi a predare e che si presti ogni attenzione a respingere eventuali assalti degli abitanti. I saccomanni ed i fanti sciamano invece in più direzioni alla ricerca di bottino; vengono seguiti dal presidio di Fognano. I valligiani attaccano i fiorentini alla Pieve di Sant’ Ottavio e tagliano loro ogni via di ritirata. Sono gettati dall’alto grandi massi per cui le cavalcature si imbizzarriscono e precipitano nei burroni. Nello scontro viene ucciso Oddo di Montone; sono catturati tra i fiorentini 600 cavalli e 1500 fanti con lo stesso Piccinino, il figlio Francesco, Niccolò da Tolentino e Niccolò Orsini. | |||
Mar. | Romagna | Rinchiuso in carcere a Faenza convince la signora della città Gentile Manfredi a mutare alleanza a favore dei fiorentini; diviene anche amico di Guidantonio Manfredi che lo fa circolare senza tanti controlli. Può così assistere anche ad una giostra nella piazza cittadina ed acquistare armi e cavalcature. | |||
Sett. | Firenze | Milano | 400 lance e 200 fanti | Romagna | Liberato, i fiorentini gli concedono una condotta di 400 lance. Difende Faenza dagli attacchi di Francesco Sforza, di Angelo della Pergola e di Secco da Montagnana. |
Ott. | Toscana | Con Niccolò da Tolentino e Bernardino degli Ubaldini della Carda è sconfitto ad Anghiari dallo Sforza e da Guido Torelli: ai fiorentini sono catturati 300 cavalli e 500 fanti. Il Piccinino si fa in ogni caso notare; con il suo intervento è in grado di mantenere fedeli alla repubblica Arezzo e Cortona. | |||
Nov. | Milano | Firenze | 400 lance | Toscana e Umbria | La ferma gli è scaduta da tre mesi ed i fiorentini non si fanno vivi riguardo al suo futuro; d’altra parte il Piccinino non vuole neppure sottostare agli ordini di un altro capitano inesperto quale è al momento il Manfredi. Avvicina il Torelli e chiede di passare agli stipendi dei viscontei; lascia Santa Maria del Monte per portarsi tra Fratta Todina e Montone; punta su Perugia. I Dieci della Balia da Firenze gli inviano gli ambasciatori Matteo Castellani e Niccolò da Uzzano per fermarlo nei suoi propositi. A costoro il Piccinino chiede che la sua condotta sia ampliata di 60 uomini d’arme e di 100 fanti; oltre agli stipendi usuali pretende anche una provvigione personale di 200 fiorini il mese, una prestanza di 60 fiorini per lancia e due paghe per i fanti. I Dieci di Balia non accettano la sua proposta. La rottura definitiva avviene a Cortona. Niccolò Piccinino paga i suoi debiti a Firenze e stipula a Montone la condotta con i viscontei (1200 cavalli). Inizia a devastare le campagne aretine. E’ condannato in contumacia al carcere a vita ed è dipinto a Firenze come traditore, impiccato per i piedi, nel Palazzo della Condotta. Vende ai pontifici per 3500 fiorini un castello in suo potere e spinge il Torelli ad assalire Firenze. Cavalca nell’ aretino alla testa di 1500 cavalli; occupa Campogialli, Castelnuovo, Giovi, Pontenano e Chiaveretto; tocca Rassina e si impossessa di Subbiano e di San Mamante. Guido Torelli, che diffida della sua repentina conversione, non si sposta da Chiassa per cui Niccolò Piccinino raccoglie uomini, prigionieri e bottino e si congiunge con il resto dell’ esercito visconteo. |
Dic. | Umbria | Acquartiera le sue squadre nel territorio di Borgo San Sepolcro (Sansepolcro) e di Città di Castello; si ritira in una casa appartata di Lugnano in Teverina. Qui, grazie alla sua prontezza di riflessi, riesce ad uscirne seminudo; si butta, infatti, in un precipizio, sfuggendo in tal modo all’agguato che gli è stato teso da da Niccolò da Tolentino, mossosi a tale scopo da Cortona. Negli stessi giorni i fiorentini cercano di avvelenarlo tramite un cuoco; il tentativo fallisce ed il suo famiglio, sottoposto a tortura, confessa ogni trama prima della condanna a morte. | |||
1426 | |||||
Gen. | Romagna Lombardia | Transita per Forlì con 100 cavalli; è diretto a Milano per conoscervi il duca Filippo Maria Visconti. Rientra in Romagna. | |||
Mag. | Milano | Venezia | 1200 cavalli | Romagna Lombardia | Lascia la Romagna per contrastare i veneziani in Lombardia con Francesco Sforza, Angelo della Pergola, Secco da Montagnana e Guido Torelli. Sorgono immediati contrasti nel campo tra il Piccinino e lo Sforza da un lato, che vogliono attaccare gli avversari ed il della Pergola ed il Torelli dall’ altro che invitano ad una maggiore prudenza. |
Ago. | Lombardia | Tenta con Francesco Sforza di entrare in Brescia tra la Porta di Torlonga e quella di Sant’ Alessandro al “prato del vescovo”. | |||
Nov. | Lombardia | Brescia cade in potere degli avversari. Seguono trattative di pace nel corso delle quali i viscontei esigono dai fiorentini la cancellazione delle pitture infamanti nei suoi confronti. | |||
Dic. | Lombardia | Viene stipulata una tregua tra le parti. | |||
1427 | |||||
Mar. | Emilia e Lombardia | Bombarda con le artiglierie Brescello ed ottiene per trattato la località; ne assedia la rocca. E’ costretto a desistere per l’arrivo della flotta veneziana del Po di Francesco Bembo che gli infligge la perdita di alcuni cavalli e delle salmerie. Con Angelo della Pergola e l’ausilio della flotta ducale del Po (20 galeoni, 3 grandi ganzere ed altre 12 imbarcazioni fluviali) espugna Casalmaggiore alla cui difesa si trova il provveditore Fantino Pisani: i veneziani si arrendono alla condizione di non ricevere soccorsi entro tre giorni. Piccinino irrompe a forza nella località con Fabrizio da Capua ed Erasmo da Trivulzio; si accampa con 4000 cavalli e 2000 fanti nei borghi di San Giovanni e di Santo Stefano. | |||
Mag. | Emilia e Lombardia | Assale di nuovo Brescello: fa svuotare dell’ acqua il fossato di protezione del castello e lo fa riempire di fascine; sono pure gettati dei ponti che permettono ai soldati di entrare nella città: gli abitanti si ribellano e si danno ai ducali. Il Piccinino assedia poi la rocca che fa circondare da una trincea per impedire a chiunque di uscirne. Dopo la vittoria navale di Francesco Bembo su Pasino degli Eustachi impedisce alla flotta veneziana di sbarcare le proprie truppe; informato che il Carmagnola sta guadagnando alla Serenissima alcuni castellani posti a guardia delle fortezze ducali precede il rivale a Gottolengo con l’obiettivo di farlo cadere in un’imboscata. Il Carmagnola si colloca sotto il castello e permette ai suoi soldati di riposare in modo disordinato all’ ombra. Il Piccinino, il giorno dell’ Ascensione, assale all’ improvviso i veneziani: vi è un combattimento accanito in cui il Carmagnola si distingue per il suo coraggio. L’intervento di Gian Francesco Gonzaga vale, infine, a riequilibrare le sorti dello scontro. I viscontei nell’ occasione fanno prigionieri 1500 uomini. | |||
Lug. | Lombardia | E’ sconfitto a Castelsecco nelle vicinanze di Pizzighettone. | |||
Ago. | Lombardia | A Pralboino, con Francesco Sforza per fare fronte sempre al Carmagnola. | |||
Ott. | Lombardia | Si accampa a Maclodio: prevale la tesi che ha in comune con lo Sforza (ed il capitano generale Carlo Malatesta contro quella del della Pergola e del Torelli) di condurre le truppe su una strada elevata come un argine, circondata da boschi (nei quali i veneziani hanno in precedenza collocato numerosi arcieri e balestrieri) e da paludi impraticabili alla cavalleria. Al comando della retroguardia il Piccinino si accorge della situazione in cui si sono cacciati i viscontei; ordina ai suoi di aprirsi la strada della fuga combattendo in mezzo ai nemici. L’esercito ducale è distrutto; vengono catturati 10000 uomini che sono subito liberati secondo le usanze del tempo. | |||
Nov. | Lombardia | E’ di nuovo sconfitto dal Carmagnola a Pontoglio. Rientra a Milano e presenzia alla firma della lega tra il duca di Milano ed il duca di Savoia. | |||
1428 | |||||
Feb. | Lombardia | Riprende la guerra; si attenda a Palazzolo sull’ Oglio con il della Pergola alla testa di 3000 cavalli e di 4000 fanti: si mette in marcia. Con l’ausilio di Avelonio Suardi approfitta della dispersione dell’ esercito veneziano nel territorio per riprendere il controllo della zona a partire dalla Valle di San Martino: sono commesse devastazioni e violenze d’ ogni genere specie in Val Calepio. Si impossessa di una bastia difesa da Giovanni da Deruta; entra in Caprino Bergamasco e vi cattura 300 fanti con Scaramuccia da Pavia e Petruccio di Calabria che sono per qualche tempo incarcerati. | |||
Apr. | Lombardia | Al comando di 1300 cavalli, 200 fanti e 1500 ghibellini con Armello d’Ascoli, Antonello di San Paolo ed Antonio della Pergola sorprende in Albino 400 fanti di Giovanni Matto Baldazzi e del nipote di costui Giovanni di Aledusio. Sono catturati 100 fanti che sono svaligiati, senza contare 60 prigionieri di taglia; in potere dei vincitori pervengono pure numerose suppellettili e 1200 pezze di panno. | |||
1429 | Milano | Adorno | Liguria | Affronta a Genova Barnaba Adorno, che ha tentato di occupare in città il Castelletto alla testa di 300 cavalli e 800 fanti: il Piccinino cattura l’avversario commettendo ogni sorta di atrocità ai danni dei partigiani della Val Polcevera di quest’ultimo. | |
1430 | |||||
Ott. | Genova | Fieschi Firenze | Liguria | Declina un’offerta del Visconti di trasferirsi in Toscana al fine di combattervi i fiorentini a favore del signore di Lucca Paolo Guinigi: preferisce militare per i genovesi contro i Fieschi abbarbicati nei loro castelli appenninici in Liguria, in Emilia ed in Toscana. | |
Nov. | Liguria Emilia | Si impossessa a spese di Gianluigi Fieschi di Correga (o Carriggio), di Torriglia, di Montobbio, di Savignone e di Varese Ligure nonché di altre terre in Val di Taro (Borgo Val di Taro); assale vanamente Pontremoli (difesa da Bartolomeo da Gualdo). Piega verso il piacentino e toglie ai conti di Pellegrino, in passato fautori dei veneziani, tutti i loro beni in Lunigiana: i conti sono fatti morire in carcere. Scaccia i Malaspina dal territorio. | |||
Dic. | Lucca | Firenze Venezia | Liguria e Toscana | Si muove ora in soccorso di Lucca; attraversa il Magra e giunge a Pietrasanta. Mette a sacco la Val d’Elsa, in particolare il territorio di Colle di Val d’Elsa. Passato al soldo dei lucchesi compare sulle rive del Serchio con 3000 cavalli e 6000 fanti (di cui 1000 balestrieri genovesi). Invia nella città assediata una pattuglia di 30 cavalli agli ordini del suo caposquadra Stefanone per informare gli abitanti del suo arrivo e del suo piano di battaglia. Nel contempo divide il suo esercito in tre parti: Niccolò Terzi ed Antonio della Pergola comandano la prima schiera ciascuno con 400 cavalli; l’ insegna è rappresentata da tre rose vermiglie in campo bianco. Alla seconda sono preposti Niccolò Orso e Peterlino dal Verme (con 400 cavalli ciascuno): entrambi i capitani hanno per contrassegno un cervo bianco in campo nero. Il Piccinino si colloca nella terza con Antonio da Pontedera al comando, rispettivamente, di 800 e 400 cavalli. Come impresa sono utilizzati un toro ed un elmo sormontato dalla testa di un saraceno. Il resto della cavalleria pesante è posta di riserva a fianco della fanteria in seconda linea. Sull’altra sponda gli sta di fronte un esercito di dimensioni superiori (4000 cavalli e 7000 fanti). Dalle file avversarie esce il Carapella per un’inutile sortita: il capitano fiorentino indica in tal modo incautamente al Piccinino dove si può guadare senza pericolo il fiume. Il primo attacco è condotto da Ludovico da Parma e da Danese da Siena: costoro sono inizialmente respinti da Guidantonio Manfredi; Niccolò Piccinino guada il fiume con i suoi mentre i lucchesi, con i quali si è accordato, attaccano i fiorentini alla spalle. La rotta di Guidantonio da Montefeltro, di Niccolò Fortebraccio e di Bernardino degli Ubaldini della Carda è completa. I morti nello scontro sono pochi, gli annegati ammontano al contrario a 200 unità; 1500 cavalli sono catturati. Il Piccinino tenta di occupare Pescia; il giorno seguente entra in Lucca ove è accolto in trionfo dagli abitanti: è festeggiato con tale partecipazione che la memoria dell’evento resterà nei riti cittadini per almeno due secoli. Il suo ritratto è dipinto vicino al palazzo delle autorità in un punto chiamato Pozzo Torelli, a titolo di ricordo per avere salvato la città dai fiorentini. Al Visconti i lucchesi inviano in dono 2 preziosi codici miniati; il Piccinino fa, invece, avere al duca di Milano 800 cavalcature da guerra ed altrettante armature complete facenti parte del bottino. Nei medesimi giorni fa liberare il Fortebraccio; lo incontra a Montebicchieri. I genovesi ed i fuoriusciti lo stimolano a puntare su Pisa; il duca di Milano si oppone al disegno sicché il condottiero si accontenta ad avviare in tale contado Antonio da Pontedera che vi si impossessa di vari castelli. | |
1431 | |||||
Gen. | Toscana | Organizza un trattato con alcuni fanti di stanza a Pisa che, secondo i piani, devono aprirgli una porta. I fiorentini sono informati del piano ed assalgono i disertori nel punto in cui si sono asserragliati: i prigionieri sono squartati e le loro membra sono poste sulle porte cittadine. | |||
Feb. | Lucca | Malaspina Fieschi | Liguria e Toscana | Niccolò Piccinino tende al recupero della Lunigiana per conto dei lucchesi. Occupa Nicola, Carrara, Moneta, Ortonovo e Fivizzano per un complesso di 118 castelli, di cui 54 appartenenti ai fiorentini, ai Fieschi ed ai guelfi locali, il resto ai Malaspina. | |
Mar. | Toscana | Gian Luigi Fieschi si arrende a patti. Il Piccinino ottiene Pontremoli e ne scaccia i Fieschi; si sposta subito dopo nel lucchese e nel pisano. | |||
Apr. | Milano | Firenze | Toscana | Lascia nel pisano Antonio da Pontedera e si dirige verso il volterrano; trovati sbarrati i passi della Valdarno, fa sue Montebicchieri, Barbialla, Peccioli, Montignoso, Montecastelli, Ripamarance (Pomerance). Colloca gli alloggiamenti a Montecastelli ed usa la località come base per le sue azioni predatrici. Viene raggiunto da Alberico da Barbiano con 1000 cavalli: occupa Castiglione, irrompe in Val d’Elsa ed assedia per più giorni Staggia. Quando scopre che ne sono entrati alla difesa numerosi fanti fa impiccare vicino alle mura un contadino a titolo di monito per i difensori. Si reca a Siena dove è fatto oggetto di ricchi presenti. | |
Mag. | Toscana | Con Antonio da Pontedera ottiene a forza o a patti Santa Maria a Trebbio, Marti, Collegalli, Lari (con la cattura del podestà Cantino Cavalcanti e del vicario Ludovico della Badessa), la fortezza di Monteveltraio, Pietracassia, il castello di Pietra (la Pietrina) in Val d’Evola, che gli è consegnato da Rosso del Boneca. Solo in una notte gli sono fatti avere dai castellani fiorentini le chiavi di 14 castelli; molti sono anche i prigionieri che cadono in suo potere. Si volge verso Pisa che trova ben difesa. La congiura di un Gualandi non sortisce alcun effetto; inoltre i fiorentini chiudono le porte cittadine agli uomini del contado; per la penuria di viveri scacciano dalla città gli inabili alla difesa quali donne e bambini. Deluso nelle sue attese, Niccolò Piccinino si avvicina ad Arezzo con 3000 cavalli e 3000 fanti confidando in un trattato concluso con alcuni nobili della città. Si ferma parecchi giorni sotto Gargonza; la dilazione permette agli abitanti di sventare la congiura e di prepararsi alla difesa. Per rappresaglia continua nella sua politica fatta di violenze e di incendi: conquista Montegemoli, mette a sacco Badia al Pino, si impossessa di Ciaggiano, Uliveto Terme, Pantaneto, Battifolle. Viene richiamato in Lombardia e si allontana dalla Toscana con 400 cavalli. | |||
Giu. | Lombardia | Invia alcuni falsi disertori nel campo veneziano i quali informano il Carmagnola che i ducali stanno per attaccare il campo della Serenissima; il condottiero avversario è così indotto a non intervenire a favore della flotta di Niccolò Trevisan bloccata dai viscontei nei pressi di Cremona. Con lo Sforza il Piccinino fa imbarcare parte delle truppe sulla flotta pavese di Pasino degli Eustachi mentre altre schiere sono poste in agguato lungo le rive del Po; sono pure prese precauzioni perché il resto degli uomini possa superare l’Adda su un ponte di barche collocato verso Pizzighettone. La battaglia dura circa dodici ore; solo 5/6 navi veneziane riescono a stento a salvarsi; moltissimi sono i prigionieri: i morti (tra gli avversari) sono 1500 ai quali si aggiungeranno presto anche 400 feriti trasportati nell’ospedale di Cremona (500 i morti tra i viscontei). Sulle perdite totali per la Serenissima le stime variano da un minimo di 18 galee e di circa 6000 uomini ad un massimo di 70 navigli e di 14000 uomini. Galee e prigionieri (tra i quali vi sono Niccolò Trevisan ed il provveditore Marino Contarini) sono condotti a Pavia. Il Piccinino è ferito al collo da una freccia che gli lede i nervi: da questo momento zoppicherà per il resto della sua vita. | |||
Sett. | Lombardia | Si collega con il capitano sabaudo Manfredi di Saluzzo per respingere una possibile incursione degli avversari sull’ Oglio. | |||
Ott. | Genova | Fuoriusciti | Liguria | Affronta i fuoriusciti genovesi che godono dell’ appoggio dei fiorentini. Occupa Torriglia; attraversa gli Appennini e muove ancora contro Barnaba Adorno, fermo in Val Polcevera, in attesa delle galee veneziane che lo dovrebbero coadiuvare nel suo attacco a Genova. Sconfigge l’avversario a Sestri Ponente, lo assedia nel castello di Novaro e lo cattura con parte delle sue schiere: uccide l’Adorno, forse con le sue stesse mani. Persevera negli atti di crudeltà, fa scannare alcuni montanari ed altri ne fa vendere all’asta come schiavi. | |
Nov. | Milano | Monferrato | Capitano g.le | Piemonte Lombardia | Altra azione di polizia compie nel Monferrato, dove in pochi giorni toglie al marchese Gian Giacomo di Monferrato tutti i suoi possedimenti (una trentina tra castelli e fortezze) con l’eccezione di Casale Sant’Evasio (Casale Monferrato). Al suo rientro a Milano il duca gli dà il permesso di aggiungere il cognome di Visconti a quello suo e l’uso della biscia nel suo stemma gentilizio. Viene nominato capitano generale. |
Dic. | Lombardia | Ha l’incarico di sostituire il duca di Milano, in qualità di luogotenente, al fine di ricevere Sigismondo d’Ungheria con gli ambasciatori Giacomino d’Iseo e Guarnieri Castiglione. Accoglie l’imperatore sulle porte di Milano con Alberico da Barbiano e Niccolò Terzi; lo fa entrare nel castello di Porta Giovia; l’incoronazione avviene la domenica seguente nella chiesa di Sant’ Ambrogio ad opera dell’ arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra. Il Visconti preferisce non assistere alla cerimonia per rimanere ad Abbiategrasso. Nell’occasione lo o Sforza porge a Sigismondo d’Ungheria la spada e Niccolò Piccinino, a nome del duca, gli consegna una pezza di broccato d’oro, altre pezze di tessuto prezioso ed una cavalcatura. Gli consiglia a lasciare la città ed a recarsi a Piacenza dove è previsto il suo incontro con il duca di Milano. | |||
1432 | |||||
Mar. apr. | Milano | Venezia | Lombardia | Staziona nella Martesana. Approfitta dell’ inattività del Carmagnola, si accampa nel cremonese e, senza alcun indugio, si impadronisce con l’ausilio di Galeotto del Carretto, marchese del Finale, di Bordolano, Torricella del Pizzo (Torricella), Casalmaggiore, Casalbuttano e di altre terre. | |
Mag. ago. | Lombardia | Il Carmagnola viene giustiziato per tradimento dai veneziani. Il nuovo capitano generale della Serenissima, Gian Francesco Gonzaga, riprende le operazioni con il recupero di Bordolano, Soresina, Paterno, Treviglio, Marengo, Capella, Pumenengo, Fontanella, Romanengo e Soncino. | |||
Sett. | Lombardia | Contrasta nel bresciano Lorenzo Attendolo. | |||
Ott. | Lombardia | Affronta nel milanese Pietro Giampaolo Orsini, Luigi da San Severino e Luigi dal Verme; li costringe a riattraversare l’Adda a Brivio ed a rientrare nel bergamasco. | |||
Nov. | Lombardia | Muove da Milano con Guido Torelli e 400 cavalli ed entra in Valtellina. Si uniscono ai suoi uomini le milizie ghibelline che, condotte da Giovanni Rusca, provengono dal comasco. Passa su un ponte sull’Adda costruito vicino a Sorico, dove il lago di Como è più stretto: con un assalto gli riesce di attraversare l’Adda su un ponte di barche e di sorprendere il presidio di un campo trincerato. Accorrono in soccorso i veneziani; i ducali sono respinti con la perdita di 300 uomini. Vi ritorna rafforzato dai ghibellini locali Sopraggiunge, nel frattempo, un forte contingente di soldati della Valtellina comandato da Stefano Quadrio di Ponte. Il Piccinino fa colmare di notte con fascine gran parte del fossato che protegge il campo avversario di Delebio ed ordina a Giovanni Rusca di attaccare i veneziani alle spalle con le bande di Lugano e di Como. L’esito resta incerto finché l’intervento di Stefano Quadrio di Ponte dà la vittoria sugli avversari capitanati da Bartolomeo Colleoni e dai provveditori Sante Venier e Giorgio Corner. Tra le truppe della Serenissima restano uccisi sul terreno 1800 cavalli (1200 sono fatti prigionieri) e 3500 fanti (1500 i prigionieri). Sono pure catturati vari condottieri quali Taddeo d’Este, Cesare da Martinengo, Taliano Furlano, Battista Capece ed i due provveditori. Contrariamente agli usi di guerra il duca di Milano farà incarcerare il provveditore Giorgio Corner nei Forni di Monza, dove viene torturato per le sue accuse al Carmagnola che hanno portato al processo ed alla morte di tale capitano. Il Corner resiste ai tormenti sicché il Visconti farà circolare la voce della sua morte organizzando perfino un falso funerale. Solo sette anni dopo il Corner riuscirà con un espediente a fare sapere si suoi famigliari di essere ancora vivo. Visconti lo farà scarcerare; il prigioniero, sfinito, morirà di lì a poco. | |||
Dic. | Lombardia | Si sposta in val Camonica. Assedia il castello di Mu. Richiamato, lascia il comando dell’esercito a Guido Torelli. | |||
1433 | |||||
Gen. | Lombardia | E’ segnalato a Ripalta tra Lodi e Crema: ordina al capitano del lago di Como ed a altri ufficiali ducali di costringere Emanuele Malacrida a restituire a Franchino Rusca 5 castelli di cui costui si è appropriato indebitamente. Sempre nel periodo chiede ai magistrati del piacentino di avere un occhio di riguardo per la Val Nure, in particolare il non aumentare i carichi fiscali a causa della povertà che contrassegna tale territorio. | |||
……………… | Toscana | All’uccisione nel Vedigaro di Filattiera di Bartolomeo da Rimini da parte degli abitanti del territorio si volge su tale località con più di 1000 fanti e numerosi cavalli. Accampa i suoi uomini alla Pieve, parte al Rì e parte al Pradolo. Assedia il centro e ne devasta il contado a ferro e fuoco. Dopo essersene impadronito, si porta a Pontremoli per impedire ai fiorentini il passo verso la Lombardia. | |||
1434 | |||||
Gen. | Lombardia | A Milano. Nel palazzo dell’Arengo stipula a nome del duca Filippo Maria Visconti un trattato di alleanza con il marchese del Monferrato Giovanni Giacomo. | |||
Feb. | Milano | Chiesa | capitano g.le | Romagna | Si impossessa di Imola e di Forlì al comando di 4000 cavalli e di 10000 fanti. |
Mar. | Toscana | Chiede il permesso ai fiorentini di recarsi a Bagni di Petriolo per curarsi; vi giunge con 600 cavalli; lo seguono poco dopo altri 500 cavalli che lasciano la Romagna per congiungersi al suo contingente. Vengono a rendergli omaggio nella località gli ambasciatori perugini Agamennone degli Arcipreti e Mariotto Baglioni. | |||
Apr. | Toscana e Umbria | Raggiungono Bagni di Petriolo, sempre per rendergli atto di ossequio, Malatesta Baglioni e Cherubino da Perugia. Niccolò Piccinino si mostra agli inizi conciliante nei confronti del papa Eugenio IV; nella realtà opera con il vescovo di Novara Bartolomeo Visconti per catturare il pontefice. La trama è scoperta ed il vescovo viene arrestato; confessa il tentativo di rapimento ed afferma di esserne l’unico responsabile; i complici del prelato, un soldato spagnolo detto il Riccio e Bastiano Capponi, sono decapitati dopo la loro confessione sotto tortura. Secondo un’altra versione fa legare i prigionieri ad un albero ed egli li prende di ira con una balestra trafiggendoli l’uno dopo l’altro. I loro corpi sono fatti a pezzi. Il condottiero umbro apre si sorpresa le ostilità ai danni di Francesco Sforza che milita per i pontifici; si muove in soccorso del Fortebraccio. Con l’appoggio della fazione dei beffati (o muffati) espelle da Orvieto i mercorini e si proclama signore della città; mette a sacco Castelpeccio (San Michele in Teverina) che vende con la rocca di Sberna ai beffati per 500 fiorini. | |||
Mag. | Umbria e Lazio | Esce da Orvieto con 5000 uomini e si porta ad Ambasione; non accetta la sfida a battaglia che gli viene lanciata dagli avversari a causa della sua inferiorità numerica; incominciano ad arrivargli alla spicciolata alcuni rinforzi come 100 fanti provenienti da Perugia agli ordini di Rodolfo Signorelli e di Renzo della Lita. Si congiunge con il Fortebraccio e si attenda a Vetralla di fronte allo Sforza. Invia i suoi fanti sulla cima del Monte Fogliano; costoro sono respinti dagli sforzeschi. I commissari ducali si interpongono tra il Piccinino e lo Sforza; il Piccinino promette di rientrare in Lombardia in cambio di una tregua. Raggiunge Bleda (Biera) per rinfrescare le cavalcature; informato dell’ allentamento della sorveglianza da parte del rivale spedisce i suoi saccomanni alla ricerca di foraggio per la cavalleria. Punta deciso su Roma dove gli agenti del duca di Milano ed i colonnesi hanno il compito di fare insorgere la città e di imprigionare Eugenio IV da condurre in Lombardia per essere messo a disposizione del concilio di Basilea. | |||
Giu. | Lazio | Il papa si rifugia prima in Castel Sant’Angelo; fugge sul Tevere a bordo di un battello da carico e ripara a Firenze, dove è accolto con tutti gli onori ed è ospitato in Santa Maria Novella. Niccolò Piccinino e Niccolò Fortebraccio prendono possesso di Roma a nome del duca di Milano; il condottiero entra in Trastevere e superando la resistenza dei romani che subiscono numerose perdite. Tra i prigionieri molti sono torturati e giustiziati. In città alloggia nel palazzo del papa a fianco di San Pietro. Avuti altri 5000 fiorini dai perugini (per un totale di 16000) si spinge verso Magliano Sabino, Otricoli e Calvi, salvo a ritirarsi in gran fretta all’avvicinarsi minaccioso dello Sforza. | |||
Lug. | Umbria | Si trova a San Gemini con Niccolò Fortebraccio: su pressione del duca di Milano conclude con gli avversari prima una tregua di una settimana e poi una seconda di cinque mesi. Per una fonte di poco posteriore ai fatti, nello stesso periodo, il condottiero cerca di fare uccidere lo Sforza dal connestabile Sbardellato da Cittaducale: il tentativo viene scoperto anche se nessuno riesce a provare l’esistenza di un complotto. Supera il Tevere, tocca Mugnano e giunge ad Orvieto. | |||
Ago. | Milano | Venezia Chiesa | Umbria Toscana Marche Romagna Emilia | Prima di rientrare in Lombardia vuole rivedere Perugia. Sono spesi nella città 1000 fiorini per le feste date in suo onore. A metà mese lascia la città con 150 cavalli; assolda Malatesta Baglioni e lungo il cammino tocca Fratta Todina, Montone, Città di Castello, Borgo San Sepolcro (Sansepolcro). Per il Montefeltro entra nel forlivese; transita per Mercato Saraceno, Ronco e perviene a Forlì ove si incontra con il signore della città Antonio Ordelaffi. E’ raggiunto da Erasmo da Trivulzio e da Bernardino degli Ubaldini della Carda che guidano 2000 cavalli. Si fortifica nel contado di Imola presso San Lazzaro, mentre l’esercito collegato, di pari forze (6000 cavalli e 3000 fanti) staziona a Castel Bolognese. Avanza incontro al Gattamelata ed al Tolentino che sa in disaccordo con il cardinale legato Giovanni Vitelleschi. Invia dietro le linee nemiche un corpo di 800 uomini d’arme; colloca altre truppe per un’imboscata ed attacca un ponte sulla via Emilia. Ordina all’ avanguardia di ripiegare di fronte al probabile contrattacco di veneziani e pontifici. Il Gattamelata gli cattura facilmente, secondo i piani, 200 cavalli; gli avversari nonostante le proteste di Niccolò da Tolentino si muovono all’ inseguimento dei fuggitivi. Vengono battuti sulle sponde ghiaiose di un piccolo fiume, il Rio Sanguinario. Quasi senza fatica vengono catturati 3500 cavalli e 1000 fanti con il capitano generale Niccolò da Tolentino. Quest’ ultimo, più tardi, nonostante il dissenso del Piccinino, su disposizione del duca di Milano sarà fatto precipitare dalle aspre balze della Val di Taro per avere abbandonato le file viscontee due anni prima. Sono pure fatti prigionieri numerosi capitani quali Taddeo d’Este, Pietro Giampaolo Orsini, Astorre Manfredi, Cesare da Martinengo, Giovanni Malavolti e Guerriero da Marsciano. Si salvano dalla cattura solo il Gattamelata e Guidantonio Manfredi. Sono catturati nel complesso 300 uomini d’arme e 2000 fanti; 3000 sono le cavalcature che fanno parte del bottino. Secondo le stime ufficiali i morti sono solo 4 e 30 i feriti. | |
Sett. | Emilia e Romagna | Si impossessa con dieci giorni di assedio di Castel Bolognese; occupa Bazzano e Bagnara di Romagna ai cui abitanti impone una taglia di 2000 fiorini e di 50 staia di frumento per evitare il sacco; ha anche Crevalcore; assedia Granarolo dell’Emilia che si arrende a patti. I fanti preposti alla sua difesa sono imprigionati ed i cittadini sono costretti a consegnargli 3000 fiorini e 5000 staia di frumento. | |||
Ott. | Romagna | Perde Castiglione; recupera subito la località; nella rocca entrano 150 fanti che rioccupano il borgo. Sempre nel mese gli cedono anche Doccia e Castel San Pietro Terme; gli abitanti del secondo centro gli consegnano 12000 ducati; sono messi a sacco i beni di un ebreo che presta ad usura nella città; è catturato il vicario fiorentino lasciato nella città dal Gattamelata. Da Castel San Pietro Terme escono 300 fanti fiorentini che sono spogliati delle loro armi. | |||
Dic. | Emilia Romagna Lombardia | Si reca a Borgo Panigale dove vengono a trovarlo molti cittadini bolognesi. Gli sono offerti carri di carne di pollame e bovina, pane, vino, foraggio ed altre vettovaglie. Aggredisce il Gattamelata nella bastia di Castelfranco Emilia: a causa delle forti piogge dopo diciotto giorni è costretto a desistere dalle operazioni d’ assedio. Si reca a Parma (ove è ospitato da Andrea dei Valerii) e da qui si sposta in Lombardia. Segue la vicenda del rientro nel Veneto dall’Ungheria di Marsilio da Carrara che cerca di sollevare Padova ai veneziani: il complotto viene scoperto e Marsilio da Carrara viene giustiziato. | |||
1435 | |||||
Gen. apr. | Lombardia Toscana | Perde San Gemini ad opera di Francesco Sforza che porta le sue scorrerie nei territori umbri controllati dai suoi uomini. Ordina al figlio Francesco di attraversare gli Appennini per unirsi con Niccolò Fortebraccio ed insieme depredare lo stato della Chiesa. Conclude una tregua di trenta giorni con lo Sforza; con la scorta di 300 cavalli ritorna nel senese a Bagni di Petriolo. | |||
Mag. | Toscana Liguria | Si reca a Siena ove gli sono resi onori dalle autorità. Trama nuove insidie ai danni del papa; andate anche queste a vuoto, raggiunge Talamone e per mare rientra in Liguria. Nel tragitto a Bagni di Petriolo sono scoperti alcuni fiorentini che, presentatisi come ambasciatori, hanno il compito di avvelenarlo. Scoperti, costoro sono legati ad un albero ed uccisi da lui personalmente con l’arco e con la balestra. Alla fine i loro cadaveri, squarciati in più punti, sono lasciati impiccati sui tronchi. | |||
Giu. | Forlì | Chiesa | Capitano g.le | Emilia e Romagna | In Emilia ed in Romagna; lascia Lugo ed a fine mese si accampa con 5000 cavalli tra Faenza e Granarolo formalmente agli stipendi del signore di Forlì. Si trasferisce a Casemurate; scorre nel cesenate mettendo in difficoltà i malatestiani. Sono catturati alcuni uomini d’arme dello Sforza che proteggono i lavori nei campi e sono uccisi alcuni contadini. |
Lug. | Romagna ed Emilia | Lo Sforza cattura a sua volta 36 uomini d’arme del Piccinino nel bolognese. Ai primi del mese il Piccinino giunge a Magliano nel forlivese dove Antonio Ordelaffi gli fa pervenire molte macchine da guerra; si sposta di seguito nel faentino; si ferma tra Faenza e Solarolo, scorre nei territori di Russi e di Villafranca, mentre lo Sforza staziona nel cesenate. A metà mese rientra nel bolognese per cercare di sorprendere a Piumazzo il Gattamelata; fallita l’insidia, ritorna nel faentino nei pressi di Solarolo. Con l’aiuto degli abitanti sconfigge a Morano il Manfredi; si sposta a Bagnolo con 6000 uomini tra cavalli e fanti; vorrebbe assalire lo Sforza per prestare soccorso al Fortebraccio. Ne viene dissuaso per sua sfortuna dal commissario ducale Erasmo da Trivulzio, che gli fa perdere il momento a lui favorevole. Lo Sforza ha così il tempo di ristabilire le sue schiere; con l’arrivo del Gattamelata e di Tiberto Brandolini è, anzi, in grado di opporre al Piccinino contingenti di truppe eguali numericamente alle sue. Niccolò Piccinino occupa Meldola ed assedia Mercato Saraceno. | |||
Ago. | Romagna ed Emilia | Il Fortebraccio viene ucciso a Fiordimonte; il duca di Milano si rappacifica con Eugenio IV. Niccolò Piccinino rientra nel bolognese e cede ai pontifici Bologna, Imola, Castel Bolognese, Castel San Pietro Terme ed altri castelli in cambio di 2000 ducati, dei quali si dice creditore nei confronti degli abitanti del capoluogo. | |||
Sett. | Liguria e Lombardia | Alfonso d’Aragona ad agosto è stato sconfitto e catturato dai genovesi nella battaglia navale di Ponza. Il Piccinino si reca a Savona dove è stato condotto il re d’Aragona. Con Bernardino degli Ubaldini della Carda lo scorta dalla Liguria a Milano nel castello di Porta Giovia. | |||
Dic. | Milano | Genova Firenze Chiesa Venezia | Capitano g.le | Liguria ed Emilia | Accompagna a Portovenere Alfonso d’Aragona, appena liberato dal Visconti. Si trova di nuovo in Liguria con 20000 armati sia per domare la rivolta dei genovesi sobillata da Francesco Spinola, sia per prestare soccorso ad Erasmo da Trivulzio assediato nel Castelletto. Scende per la Val Polcevera, obbliga Tommaso Fregoso a ritirarsi entro Genova; devasta i dintorni, depreda il contado di Albenga. A causa della resistenza opposta dai difensori della località è costretto a rientrare a Parma. |
1436 | |||||
Primavera/ estate | Liguria | Punta nuovamente sulla Liguria allorché i genovesi si impadroniscono di Portovenere a spese degli alleati aragonesi. Muove su Genova, attraversa la Val Polcevera, mette ogni cosa a ferro e fuoco fino a Sampieradarena ove fa incendiare i navigli trovati nei cantieri collocati sulla spiaggia. Il Castelletto si arrende agli avversari. Niccolò Piccinino si getta sulla Riviera di Ponente: è a Voltri ed assedia Albenga (alla cui guardia si trova Tommaso Doria). Nella località entrano soccorsi inviati dai fiorentini. Fa prigionieri, razzia bestiame; bottino e persone sono condotti a Finale Ligure, controllata dal marchese Galeotto del Carretto alleato dei ducali. E’ catturato dai suoi uomini un certo Valente Focaccia, che sta portando con sé alcune lettere da Genova ad Albenga: gli fa legare le gambe al collo e lo fa gettare con un trabucco entro Albenga. A luglio è impegnato dalle sortite di Baldaccio d’Anghiari. Si deve ritirare dalla regione. Il fatto sarà considerato come miracoloso dagli abitanti di Albenga ed il suo ricordo verrà solennizzato da una processione per alcuni secoli. | |||
Sett. | Emilia | A San Martino dei Bocci (San Martino), Fornovo e Parma. | |||
Ott. nov. | Toscana | Si trasferisce in Toscana con i fuoriusciti fiorentini alla testa di 6000 cavalli e di molti fanti; ha un trattato in Arezzo con il connestabile di una porta, Antonello d’Arezzo. La trama viene scoperta. Giunge a Lucca, chiede il passo ai fiorentini per dirigersi verso il regno di Napoli al servizio di Alfonso d’Aragona. Gli avversari rispondono inviando a Santa Gonda, sulle rive dell’Arno, lo Sforza con 5000 cavalli e 2500 fanti. I due condottieri si fronteggiano per due mesi senza tentare alcuno scontro decisivo; nel contempo il Piccinino si impossessa di vari castelli nel pisano, blocca lo Sforza che resta fermo inoperoso. | |||
Dic. | Toscana | A fine mese è respinto di notte un suo attacco a Vicopisano; approfitta ancora una volta dell’ inazione dello Sforza e del commissario fiorentino Neri Capponi per saccheggiare la Valle di Buti e dare alle fiamme San Giovanni alla Vena. Il giorno di Natale irrompe in Santa Maria in Castello ed in Filettole con l’usuale corollario di cattura di prigionieri, razzie di bestiame ed appropriazione delle vettovaglie ivi contenute. Si acquartiera a Santa Maria in Castello; da qui continua le sue incursioni nel fiorentino. | |||
1437 | |||||
Gen. | Toscana e Liguria | Entra in Lunigiana; si impadronisce di Castelnuovo e di Santo Stefano di Magra; in quattro giorni ottiene a patti Sarzana (alla cui difesa si trova Spinetta Fregoso coadiuvato da da Bartolomeo Lomellini); ritorna nel genovese allorché gli sono date speranze di impadronirsi del capoluogo per trattato. Assedia senza esito Pietrasanta; si muove in Garfagnana per occupare Barga. | |||
Feb. | Toscana | Si accinge ad assediare Barga; dispone le sue truppe in tre campi separati: uno è conquistato dal Sarpellione, da Pietro Brunoro e da Niccolò da Pisa che mettono in fuga il Piccinino e lo obbligano ad abbandonare due bombarde e molte munizioni. | |||
Mar. | Toscana e Liguria | Lucca è assediata dallo Sforza e dal Gattamelata. Il Piccinino riordina le sue milizie, rioccupa Santa Maria in Castello e devasta il pisano; minaccia il pistoiese; entra ancora in Sarzana; ma nulla può contro le truppe della lega. Viene richiamato dal duca di Milano preoccupato dai successi conseguiti dai veneziani sull’ Adda. | |||
Apr. | Toscana Emilia Lombardia Romagna | Transita per Pontremoli, raggiunge la Lombardia; vince a Medolago Gian Francesco Gonzaga ed il Gattamelata: i veneziani perdono 3000 uomini tra prigionieri e morti, per lo più affogati nell’ Adda. Attraversa l’Emilia ed in Romagna minaccia veneziani e pontifici tra Ravenna ed Imola. | |||
Mag. | Emilia | Scaccia da Bologna i fratelli Malatesta. | |||
Giu. | Emilia e Lombardia | Da Fornovo invia Angelo Belmamolo a Pontremoli per affrontare lo Sforza. Tocca Borgo San Donnino (Fidenza) ed irrompe nel cremonese. Si impadronisce di alcune fortezze, tra cui Casalmaggiore dopo otto giorni di assedio. Informato che i veneziani sono giunti a Binanuova con i carriaggi e le bombarde, fa marciare tutte le sue truppe su Cremona. Ordina ad Urbano di San Luigi ed a Antonello Ruffaldi di seguirlo. | |||
Ago. | Toscana Lombardia | Giunge nei pressi di Pontremoli e vendica a Filattiera l’uccisione del capitano Bartolomeo da Rimini. Si sposta poi nel bresciano, si accampa a Malpaga ed occupa Monticelli d’Oglio. | |||
Sett. | Lombardia | Al comando di 12000 cavalli e molti fanti vince una volta di più i veneziani di Sigismondo Pandolfo Malatesta e di Gian Francesco Gonzaga a Calcinato: nella ritirata gli avversari perdono artiglierie, uomini, spingarde e bagagli. Gian Francesco Gonzaga ripara nel mantovano. Il Piccinino prosegue nella sua azione vittoriosa, tende un agguato sull’ Oglio al Gattamelata; si accampa nei pressi di Malpaga ed occupa Monticelli d’Oglio. Costringe il capitano avversario a rifugiarsi a Pontoglio; organizza ai suoi danni una nuova imboscata allorché è informato che il Gattamelata, inferiore di forze, sta puntando sul mantovano. Obbliga la flotta veneziana ad abbandonare le acque del bresciano e del bergamasco. In differenti azioni si appropria di 500 carri e fa prigionieri 2000 uomini. Perde, tuttavia, tempo nell’ espugnazione del castello di Calepio che conquista dopo venti giorni di assedio. Bartolomeo ed Onofrio da Calepio, fatti prigionieri, sono condotti a Milano e per ordine del duca sono trascinati a coda di cavallo: il loro corpo è squartato ed i lacerti sono collocati su alcune forche. Il Piccinino fa spianare il castello dalle fondamenta e distrugge il locale ponte sull’Adda. Di seguito attacca Costa di Mezzate: le acque del Serio si gonfiano all’ improvviso; decide di rientrare nel milanese per non vedere cessare il flusso dei rifornimenti al suo campo. Molti dei suoi soldati annegano nel fiume in piena. | |||
Ott. | Lombardia | Si impadronisce di Urgnano che si arrende a discrezione; fa gettare dalla torre il connestabile e 38 fanti che ne sono stati alla difesa; ottiene Sarnico, Predore; ha a patti, dopo un breve fuoco di artiglieria Cologno al Serio e Brignano Gera d’Adda; occupa Caprino Bergamasco e Ponte San Pietro di cui fa distruggere il castello. | |||
Nov. | Lombardia Emilia | Assale Bergamo: distrugge Borgo Pignolo, dà un assalto alla rocca alla cui difesa si trova Bartolomeo Colleoni; tenta per otto giorni di impadronirsi della città con continui attacchi dalla parte di Sant’ Agostino. A metà mese si spinge in Val Brembana ed è battuto a Sorisole da Diotisalvi Lupi: nello scontro viene ferito da una sassata. Si trasferisce nel parmense per controllare i movimenti dello Sforza che si è fermato nel reggiano. Gian Francesco Gonzaga, nello stesso tempo, abbandona ufficialmente il soldo della Serenissima per quello ducale. | |||
Dic. | Emilia e Lombardia | Invia soccorsi ai lucchesi: questi sono bloccati sugli Appennini a Castiglione; ritorna allora verso Modena e la Lombardia dove è stato convocato dal Visconti. | |||
1438 | |||||
Gen. | Emilia | Trascorre i primi due mesi dell’anno a Parma. Il duca di Milano lo nomina marchese di Pellegrino e gli concede in feudo Borgonovo Val Tidone, Ripalta, Borgo Val di Taro, Varese Ligure, Somaglia, Pellegrino Parmense, Bardi e Compiano. A queste seguiranno a giugno Castell’Arquato e Castelponzone. Il suo cancelliere Albertino da Cividale (aprile) viene invece infeudato di Calestano, Mazzolara e Vigolone. I centri che gli sono donati sono stati tolti agli Arcelli, ai Landi, ai Pallavicini ed agli Scotti. | |||
Mar. mag. | Milano | Chiesa | Lombardia Emilia e Romagna | Simula una controversia con il duca di Milano a causa dell’ accordo intervenuto tra lo stesso duca e lo Sforza circa il matrimonio di quest’ultimo con la figlia del Visconti Bianca Maria. Abbandona con le sue squadre la Lombardia e finge di volere passare agli stipendi dello stato della Chiesa chiedendo la signoria di Perugia, di Assisi e di Città di Castello, nonché le cariche di gonfaloniere e di capitano generale. Tocca Mirandola, giunge nel bolognese e si accampa sull’ Idice: il governatore di Bologna lo rifornisce le sue truppe di vettovaglie. Tocca Villafranca, supera il ponte di Schiavonia e perviene a Casemurate. A metà maggio esce da tale località e si accosta a Forlì, gira dalla Porta di San Pietro a quella di Schiavonia e ritorna alla Cosina ed a Villafranca. Tra le sue truppe si trova anche Antonio Ordelaffi; si congiunge con Astorre Manfredi e saccheggia Oriolo (Oriolo dei Fichi)) a spese dei fiorentini; si attenda tra Ravenna e Forlì e contatta veneziani e pontifici per proporsi al loro sevizio. Fervono le trattative al riguardo; i pontifici gli anticipano di 5000 ducati per combattere lo Sforza che si sta impadronendo della marca d’ Ancona. Suoi emissari, nello stesso tempo, avvicinano in alcune città dello stato della Chiesa i malcontenti e li invogliano a chiedere aiuto al Visconti. Niccolò Piccinino ritorna ad Imola, si incontra con Raffaele Foscarari ed altri partigiani dei Bentivoglio che lo invitano a Bologna. Giunto a Porta Maggiore con le sue schiere invia un trombetta al governatore e gli chiede la signoria della città; i congiurati lo chiamano alle Porte di San Donato e di San Vitale e gliele fanno trovare aperte; assedia il rappresentante del governo pontificio nel suo palazzo. L’edificio è messo a sacco dagli abitanti; i difensori sono costretti alla resa. Sono svaligiate le compagnie di Domenico Malatesta che si trovano nella città, mentre non sono sottoposte al medesimo trattamento quelle del fratello Sigismondo Pandolfo Malatesta e quelle di Pietro Giampaolo Orsini. Assedia il castello di Porta Galliera dopo avere fatto scavare intorno ad esso un profondo fossato per impedire eventuali sortite. | |
Giu. | Emilia e Romagna | Le sue truppe mettono a sacco Crespellano, Bazzano, San Lorenzo in Collina e Montemaggiore; conquista Imola e tutto il contado con l’eccezione di Cento e di Pieve di Cento. A Bologna cede il castello di Galliera; Niccolò Piccinino vi colloca un proprio presidio di 400 fanti nonostante gli accordi presi in precedenza con i suoi fautori. Assoggetta Bagnacavallo, Russi e Fusignano; impone una taglia di 3000 fiorini al signore di Ravenna Ostasio da Polenta alleato dei veneziani. Avuta una risposta negativa si prepara ad assediare la città. Fa costruire un ponte sull’ affluente del Po ed inizia le operazioni. I veneziani inviano per mare una flottiglia di barche con cavalli e fanti agli ordini di Antonello della Torre. Le milizie della Serenissima assalgono il ponte; con il ferimento di Maffeo da Molin sono costrette a retrocedere. Dopo quattro giorni di assedio Ostasio da Polenta deve riconoscere al Piccinino i 3000 fiorini di taglia richiesti. Negli stessi giorni anche Sansepolcro inalbera i vessilli viscontei. Niccolò Piccinino esce da Bologna ed instancabile varca il Po a Soncino con il disegno di collegarsi con Gian Francesco Gonzaga, altro capitano generale visconteo. Penetra nel cremonese, dove gli si arrendono San Giovanni in Croce, Castelletto, Vidiceto e Rivarolo Mantovano; assedia Casalmaggiore alla cui difesa si trova il provveditore Giacomo Antonio Marcello. Sulla riva dell’Oglio si collocano i provveditori Federico Contarini ed Andrea Mocenigo. I veneziani non hanno il coraggio di attaccare i viscontei, per cui dopo cinque giorni la località si arrende a discrezione: 60 sono le persone uccise o impiccate nell’occasione. | |||
Lug. | Lombardia | Si ferma sull’ Oglio di fronte al Gattamelata che staziona ad Acquanegra sul Chiese con 9000 cavalli e 6000 fanti: finge di volere attraversare il fiume e fa costruire un ponte di barche sul quale passano alcuni soldati per impegnare gli avversari. Nel contempo con l’ausilio del Gonzaga, che ha fatto allestire altri tre ponti, supera di notte l’Oglio tra Marcaria e Canneto d’Oglio preceduto da Luigi dal Verme. Alla testa di 45 squadre di cavalli si muove per sorprendere l’accampamento nemico: alcuni fanti veneziani hanno però catturato un certo Beretta, già disertore della Serenissima, che per salvare la vita svela il piano del Piccinino. I veneziani abbandonano immediatamente il loro campo e per la via di Gambara e di Isorella si rifugiano a Brescia distruggendo i ponti alle loro spalle. Senza combattere pervengono in potere di Niccolò Piccinino le rocche di Binanuova, Pontevico, Gottolengo, Calvisano e Quinzano d’Oglio; entra in Val Camonica accolto con gioia dai partigiani dei Visconti, avanza lungo la Val Sabbia, si impossessa di Gavardo; colloca i suoi quartieri a Nozza, dove è contrastato da Paride di Lodrone e da Tebaldo Graziotti. Gli viene contro il Gattamelata che si muove in difesa di Gavardo e Salò; il Piccinino aspetta il Gonzaga che rafforza il suo esercito con 2000 cavalli e 2000 fanti e passa alla controffensiva. Sconfigge l’avversario a Gardone Riviera e lo costringe a rientrare a Brescia; può così occupare senza problemi anche Rivoltella, Salò (dove i suoi soldati entrano confusi con i contadini del circondario) e Sirmione. Anche Montichiari gli apre le porte; il Piccinino ne ottiene la rocca con tre giorni di bombardamento. Pure Gian Francesco Gonzaga e Luigi dal Verme fanno la loro parte impadronendosi nel veronese di Valeggio sul Mincio e di parte del contado. Molti sono i prigionieri e grande è pure la quantità di bestiame razziato. Il tutto è condotto a Peschiera del Garda. | |||
Ago. | Lombardia | Ottiene Soncino e Pontoglio; si trasferisce in Franciacorta; Chiari gli apre le porte: ne ha a patti anche la rocca i cui difensori (300 fanti e 600 cavalli) non sono subito liberati secondo gli accordi stabiliti, ma scaglionati nel tempo ed a piccoli drappelli. Allorché perviene in suo potere anche Palazzolo sull’ Oglio passa ad assediare Rovato, alla cui guardia si trova Leonardo da Martinengo con 2000 uomini. E’ colto di sorpresa da un’incursione del Gattamelata, mentre si sta spostando verso tale centro: 2000 suoi uomini cadono in un agguato sui monti di Calino; malconcio si porta a Cologne. Si riprende dalla sconfitta ed a fine mese occupa Rovato (il cui castello è messo al solito a sacco), Orzinuovi (per trattato) e Gussago (difesa dal provveditore Giacomo Antonio Marcello e da Tebaldo Brusati con 200 bresciani). | |||
Sett. | Lombardia | Espugna con 4 assalti consecutivi Monticelli Brusati; alla località seguono Iseo e Roncadelle dove pone i propri alloggiamenti: Brescia in questo modo è sempre più stretta in una morsa. Un primo tentativo del Gattamelata di uscire dalla città va a vuoto; un secondo, condotto con 3000 cavalli, 2000 fanti, guastatori e balestrieri ha viceversa successo e praticamente decide le sorti della campagna. Il condottiero veneziano punta contro il campo visconteo di Roncadelle, devia all’ improvviso per le montagne di Lodrone, Arco e Trento. Con la partenza del rivale Niccolò Piccinino si impossessa di Mompiano allo scopo di tagliare i rifornimenti idrici a Brescia. Fa condurre un primo assalto di tre ore alla Porta di San Giovanni o delle Pile. | |||
Ott. | Lombardia | Si colloca sul colle di San Fiorano nell’ antico convento dei domenicani; vi fa costruire una bastia mentre altre due sono erette a Santa Croce ed a Sant’Eufemia della Fonte. Dopo otto giorni inizia a battere la città dalle alture vicine giorno e notte con sedici bombarde, la più piccola delle quali lancia pietre di 300 libbre. Sono aperte larghe brecce nelle mura che molti sterratori bresciani si affannano in continuazione a colmare con fascine e pietrame accumulato nei terrapieni. Niccolò Piccinino ordina la costruzione di macchine da guerra, svuota dell’acqua il fossato di Canton Mombello e la immette nei letti del Naviglio e del Garza; fa scavare trincee ed altri ripari affinché i soldati si avvicinino con più sicurezza alle mura. Ha ai suoi ordini 20000 uomini: costoro si accampano a Sant’ Apollonio, a San Salvatore, a San Matteo ed a Sant’Andrea. | |||
Nov. | Lombardia | Taddeo d’Este con una fortunata sortita distrugge il campo visconteo posto alla chiesa di Sant’Apollonio; il Piccinino rafforza allora il suo parco di artiglieria e lo porta a 80 pezzi; vengono collocate 4 nuove bombarde a Canton Mombello vicino alla chiesa di San Matteo; altre 2 sono piantate a Sant’ Andrea e 2 a Sant’Apollonio. Si sposta a San Fiorano; tenta con il Gonzaga un nuovo attacco generale a Brescia che viene portato alla Torlonga; segue a questo un altro diretto nella parte orientale. Taliano Furlano si muove in avanscoperta, crolla per una mina la torricella di Sant’Andrea, i ducali superano le rovine, scavalcano il fossato prosciugato in precedenza e raggiungono la cima del terraglio di Mombello senza trovare opposizione nei difensori. La mischia successiva dura quattro ore; cadono 200 viscontei e una quarantina di bresciani; molto elevato è pure il numero dei feriti. Respinto, porta personalmente il suo più massiccio attacco, con tutti i fanti appoggiati dagli uomini d’arme appiedati, a Sant’Apollonio: lo scontro dura dalla mattina alla sera. | |||
Dic. | Lombardia | E’ sempre sotto Brescia. Invita i difensori alla resa a patti; scatena un violento assalto condotto da 15000 uomini sempre tra il Canton Mombello e Sant’Apollonio: l’azione è preceduta da una forte offensiva a Porta Pile per distrarre l’attenzione dei difensori. Lo stesso Piccinino punta una bombarda il cui proiettile uccide in un colpo solo diciannove uomini. I ducali sono ancora una volta respinti; al tramonto gli attaccanti iniziano a ripiegare prima dalla parte del Canton Mombello, poi da quella di Torlonga e del Rovarotto. Il giorno seguente il Piccinino scaglia all’ alba un corpo di 500 cavalli contro il Canton Mombello, in pratica privo di difese, le cui rovine possono essere scavalcate dai cavalli senza scendere di sella. Anche al Rovarotto si ripete un analogo attacco con il sostegno di soldati armati di schioppetto; a queste armati i difensori oppongono quelle usuali in tali circostanze come il lancio di fascine infiammate, recipienti colmi di pece fusa e di calce bollente, sassi e vasi forati ripieni di polvere da sparo. Esce dalla Torlonga uno squadrone di cavalleria veneziana che investe le posizioni viscontee di partenza provocando la confusione nelle file degli attaccanti. I ducali arretrano e sono inseguiti fino ai loro alloggiamenti dai difensori. Nei vari attacchi muoiono nel complesso 2000 viscontei; le perdite dei bresciani sono pure esse elevate ed ammontano a 800 cittadini, 500 contadini, posti alla sorveglianza delle mura, e 200 soldati del presidio. A metà mese il Piccinino decide di ritirarsi; dà alle fiamme i suoi alloggiamenti e si pone in agguato alla Pietra del Gallo. Con il fallimento di tale insidia colloca i propri quartieri invernali nella fascia pedemontana, tra Castenedolo e Ghedi; lascia guarnigioni a Mompiano, Santa Croce e Sant’ Eufemia della Fonte con l’obiettivo di bloccare il flusso dei rifornimenti a Brescia. | |||
1439 | |||||
Gen. | 2500 cavalli | Lombardia | Muove da Riva del Garda con il Gonzaga alla testa di 6000 soldati ed assale una volta di più Brescia; costruisce tre bastie in Val di Sabbia ed in Valtrompia di cui ha il comando Cesare da Martinengo, ed una sul Mincio. Reagisce subito prontamente alla del Furlano a Castel Romano ad opera di Paride di Lodrone e di Diotisalvi Lupi. Guidato da alcuni valligiani raduna buona parte delle truppe e si prepara per una spedizione in Trentino ai danni dei conti di Lodrone. Si inoltra invece in Val Sabbia; divide l’esercito in più parti e, di notte, fa assalire dai suoi uomini Vestone e la località della Pertica che sono date alle fiamme. Viene razziato il bestiame e sono messi a sacco i beni; tutti gli abitanti (siano essi guelfi che ghibellini) sono fatti prigionieri. Dalla Val Sabbia costeggia il lago d’Idro ed avanza su Lodrone e Castel Romano. | ||
Feb. | Trentino e Veneto | Ha a patti Lodrone con un furioso assedio di quindici giorni; conquista anche Castel Penede, Tenno ed Arco; si spinge sotto Castel Romano: dopo tre giorni desiste dalle operazioni a causa dell’asprezza dell’inverno e delle difficoltà delle strade che rendono insicuro il vettovagliamento delle sue truppe. Si ritira negli accampamenti invernali posti nella Riviera di Salò: da qui ostacola i movimenti della flotta veneziana di 80 navi, tra grandi e piccole, trasportate a Torbole via terra. Si sposta nel Veneto ed a Villa Bartolomea si incontra con Luigi dal Verme e Gian Francesco Gonzaga. I nemici veneziani tagliano gli argini dell’ Adige. | |||
Apr. | Veneto | A metà mese attraversa l’Adige ad Angiari con il Gonzaga e dilaga nel veronese. Respinto a Malopera, si sposta con la flotta gonzaghesca al punto in cui il Buso sfocia nel fiume; sbarcato, incendia Sanguinetto, Asparetto, Casaleone, Sustinenza, Concamarise; mette a sacco Angiari, San Pietro, Malavicina, Cerea e Bovolone per potere dare il soldo ai suoi armati; si impossessa di Porto e Legnago, la cui rocca si arrende con la minaccia di fare uccidere cinque nobili veneziani, catturati dai ducali, se il castellano non avesse aderito alla sua richiesta. Il provveditore di Legnago Pietro Querini fa tagliare gli argini dell’Adige per rallentare la sua marcia. Il Piccinino si impadronisce nel vicentino di Lonigo, Brendola, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montorso e Valdagno; rientra nel veronese con il Gonzaga, occupa Soave, Monteforte d’Alpone, Villanova, San Bonifacio, Arcole, Brognoligo, Roncà Castelcerino, Montecchia di Crosara, Colognola ai Colli e Caldiero. | |||
Mag. | Veneto | Anche gran parte del vicentino è controllato dai viscontei: il Gattamelata si fortifica nel serraglio di Padova. Niccolò Piccinino ha Illasi ed assedia Bartolomeo Colleoni in Verona. | |||
Giu. | Veneto | Viene affrontato dallo Sforza che giunge a Cologna Veneta con 14000 cavalli e 8000 fanti. Niccolò Piccinino abbandona l’assedio di Verona e si fortifica a Soave dove in una sola notte fa scavare un fossato lungo sette chilometri che unisce la località con le paludi formate dall’ Adige; un ponte di barche collega il suo campo con il mantovano per avere una stabile via di rifornimenti. Fa deviare le acque del fiume nel fossato sicché sono facilmente bloccati a Porto ed a Legnago alcuni galeoni veneziani che non possono più manovrare per l’abbassamento del livello dell’ Adige; ad alcuni marinai degli equipaggi, fatti prigionieri, sono tagliate le mani e la lingua perché hanno insultato Gian Francesco Gonzaga come traditore. Attaccato a Roncà all’imbrunire deve allontanarsi con il marchese di Mantova per la pressione esercitata da Troilo da Rossano e da Niccolò da Pisa; incendia le opere difensive costruite nelle vicinanze, attraversa l’Adige, tocca Porcile (Belfiore) e si ritira in ordine a Vigasio. La peste colpisce i suoi soldati. | |||
Ago. | Lombardia | Rientra in Lombardia dove riprende le operazioni contro Brescia dopo che Francesco Sforza si è ritirato dall’ assedio di Bardolino per rifugiarsi, a sua volta, a Zevio a causa della peste. Niccolò Piccinino fa approntare una flotta a Desenzano del Garda. Nel mese gli sono riconosciuti in feudo Calestano, Marzolara e Vigolzone. | |||
Sett. | Lombardia Trentino | Giunge sotto Goglione (Prevalle) con Gian Francesco Gonzaga al comando di 5000 cavalli; si unisce loro Taliano Furlano; insieme danno alle fiamme Sale (Serle). Si porta a Toscolano-Maderno ed occupa Gavardo dopo avere vinto nei pressi i veneziani. Il Gattamelata riesce a trasportare attraverso il Monte Baldo una flotta lacuale. Il Piccinino cala a sua volta le sue imbarcazioni nel Garda a Desenzano sulla sponda meridionale. Tenta una prima volta di distruggere la flotta lacuale veneziana alla cui difesa si trova Troilo da Rossano: nello scontro è disarcionato e rischia di essere ucciso nella calca. Non si perde d’animo; raduna un grande numero di guastatori cui fa tagliare i tronchi ed i rami di moltissimi alberi utilizzati come piloni lungo tutta la sponda bresciana del lago al fine di impedire l’approdo a terra della flotta nemica. I veneziani sono costretti ad allargarsi su Salò. Niccolò Piccinino approfitta della sua superiorità operativa e divide il suo esercito in tre parti: nella prima si trova Luigi da San Severino che alle prime luci dell’alba attacca il campo veneziano; nella seconda vi è il Furlano che marcia sui monti di Toscolano-Maderno, conquista un forte sopra Salò e piomba nel campo nemico; egli si colloca nella terza schiera con il Gonzaga e marcia sulla litoranea. L’attacco congiunto dei ducali provoca disordine e fuga generale. I difensori riparano nelle navi; si accende un nuovo combattimento non meno feroce; è assalita la flotta all’ancora. Quasi tutte le navi pervengono in suo potere e molti sono i prigionieri tra i quali Taddeo d’Este. Con la vittoria si impadronisce del castello di Maderno il cui castellano Andrea Leoni si arrende ancor prima di essere investito. Niccolò Piccinino può così recuperare tutti i castelli sul lago di Garda con l’eccezione di quello di Castel Penede. Ritorna a Riva del Garda, si fa raggiungere da Luigi da San Severino con 600 cavalli e rientra in Val di Ledro. I fanti di Diotisalvi Lupi, rientrati dalla Val Camonica, e quelli dei conti di Lodrone sono sorpresi dalla sua azione notturna. | |||
Ott. | Trentino | Viene sconfitto a Lodrone da Guerriero da Marsciano in uno scontro in cui tra i ducali sono catturati 350 cavalli e 150 fanti. | |||
Nov. | Trentino | Francesco Sforza si propone come obiettivo quello di soccorrere Brescia attraverso il Trentino. Niccolò Piccinino ed il Gonzaga si muovono per intercettarlo sotto la rocca di Tenno; colloca numerose truppe su un colle ed impedisce il passo ai nemici. Gian Francesco Gonzaga cede di fronte a Troilo da Rossano; egli si trova in sempre maggiore difficoltà di fronte allo Sforza: mentre è in corso il combattimento irrompono alle sue spalle i bresciani che, dall’alto dei monti, incominciano a precipitare massi sui viscontei. I suoi uomini, presi dal panico, si sbandano. Niccolò Piccinino ripara nella vicina fortezza con 10 cavalli: nella battaglia muoiono più di 300 ducali contro 60 veneziani; molti sono i feriti ed i prigionieri tra i quali si annoverano Carlo Gonzaga e Cesare da Martinengo. E’ assediato dal Gattamelata in Tenno; lo Sforza promette un premio di 5000 ducati per chi lo catturi. Rocambolesca è la sua fuga dal castello: si fa rinchiudere in un sacco da un soldato tedesco di umile condizione e di grande forza. E’ così trasportato per il campo superando ogni controllo perché fatto passare per un morto di peste condotto alla sepoltura; per alcune fonti la sua fuga è, invece, agevolata da un condottiero dello Sforza, identificato a volte in Ugo da San Severino ed a volte nel Sarpellione. In ogni caso il Piccinino riesce a raggiungere Rodengo-Saiano e Riva del Garda; si imbarca su una piccola nave, attraversa il lago e perviene al campo di Peschiera del Garda. Riceve truppe fresche dal mantovano. A metà mese con il Gonzaga, il dal Verme e Francesco della Mirandola entra in Verona alla testa di 800 cavalli: sono appoggiate le scale in un punto della Porta di Santa Croce indicato da un disertore (il connestabile Giacomino da Castel Bolognese); altri suoi uomini agiscono parimenti alle Porte di Sant’Antonio e del Rufiolo. Il Gonzaga saccheggia il borgo di San Zeno; presto il Ponte Nuovo, il Ponte della Pietra, Porta Vescovo, il Ponte della Nave, la Porta Calzari, la torre di Sant’ Onorio, la Porta di San Grigolo (San Felice) sono conquistati dai ducali. Solo Castelvecchio, Porta Braida ed i castelli di San Felice (dove si sono rifugiati i rettori Antonio Diedo e Vittore Bragadin) e quello di San Pietro resistono. Tre giorni dopo la situazione si capovolge. I suoi soldati, mentre sono ancora intenti al saccheggio, sono sorpresi da Francesco Sforza e dal Gattamelata giunti a marce forzate da Tenno. Parte dei suoi muore per il crollo del Ponte della Pietra che precipita nell’ Adige per l’ eccessivo peso delle persone che vi si sono rifugiate. In un primo momento si rinchiude con Gian Francesco Gonzaga nella cittadella; il proponimento è breve; decide di abbandonare la città per la Porta di Santa Croce con il marchese di Mantova. Fugge a Vigasio, inseguito dal Rossano e dal Sarpellione; da qui prosegue per Valeggio sul Mincio. L’iniziativa costa ai viscontei nella sola fuga 300 cavalli, 500 fanti, 1000 mantovani ed un grande numero di saccomanni e di bagagli. Il disastro più che nell’ imprevidenza del Piccinino trova la sua causa nella disubbidienza del Furlano, che non si è mosso da Brescia per coprirgli le spalle a Verona per ordine dello stesso duca di Milano, desideroso di mettere sempre l’uno contro l’altro i suoi capitani. | |||
Dic. | Lombardia Trentino | Ripiega nel bresciano ed ostacola sempre le operazioni di soccorso al capoluogo. Da Roncadelle si spinge sino a Rebuffone, transita per Rodengo-Saiano e Monticelli Brusati, incendia Gussago e Cellatica, devasta Ome, Brione, Abbazia di San Vigilio, Nave e la Val Trompia giungendo a Gardone. Ritorna sotto le mura di Brescia e minaccia la città a Porta Pile; si dirige verso la Franciacorta. Lungo la sua marcia devasta ogni cosa per l’avvicinarsi di una colonna veneziana giunta a Lumezzane con il Sarpellione. Si reca a Riva del Garda e batte lo Sforza ad Arco liberando in tal modo il centro dall’ assedio dei veneziani. Il freddo induce gli avversari a ritirarsi ai quartieri invernali. Altrettanto fa il Piccinino che colloca i suoi alloggiamenti tra Castenedolo, Ghedi ed in Valtellina. | |||
1440 | |||||
Gen. | Lombardia | Si trova al campo di Rivoltella. Con Gian Francesco Gonzaga fa restituire a Francesco Sforza 4 muli, carichi di pagnotte, destinati alle truppe della Serenissima. Anche un fante dello Sforza è lasciato libero di rientrare a Verona. | |||
Feb. | Lombardia ed Emilia | Attraversa l’Oglio e mette a sacco Pontevico; varca il Po con 6000 cavalli e 5000 fanti e si trasferisce nel parmense. Convoca Annibale Bentivoglio, che negli stessi giorni ha ucciso a Bologna Raffaele Foscarari; lo licenzia e si dirige verso la città. E’ segnalato nella sua marcia a Cavriago. | |||
Mar. | Milano | Cesena Firenze Chiesa | Capitano g.le | Emilia e Romagna | Entra in Bologna con 5000/6000 cavalli e numerosi fanti per la Porta di Saragozza e ne esce per la porta di strada Maggiore per prendere alloggio “alli Crociati”: il senato lo invita a venire entro le mura. Avuti 20000 ducati dai cittadini, riammette nella città i Canedoli e l’abate Bartolomeo Zambeccari. Si dirige, quindi, in Romagna mentre i fuoriusciti fiorentini, con Rinaldo degli Albizzi, lo spingono ad avviarsi verso la Toscana. Accetta il dominio di Imola per i Visconti e si addentra nel forlivese: Antonio Ordelaffi lo incontra a Cosina e gli consegna le chiavi di Forlì che gli sono restituite. E’ raggiunto al campo di Ronco dal Manfredi; si porta a Meldola ai danni dei Malatesta; avuta la località, mette a sacco Teodorano e si incontra a Cesena con Domenico Malatesta dal quale si fa consegnare 4 rocche, tra cui quelle di Cesena e di Montefiore Conca. Il Piccinino si fa pure dare 2000 ducati dal signore di Forlì; ha un colloquio con Sigismondo Pandolfo Malatesta a Polenta. Il signore di Rimini cede alle sue richieste come Pietro Giampaolo Orsini a Forlimpopoli. Lascia Meldola, transita per Fiumana e prende la strada degli Appennini facendo prigionieri e razziando bestiame nel fiorentino. Si ferma a Bagno di Romagna. |
Apr. mag. | Romagna Emilia Toscana e Umbria | Conquista Pianetto ed attacca Modigliana, che gli si arrende a patti; vengono in suo potere anche Portico di Romagna, Rocca San Casciano, Monte Sacco, Montevecchio, Riolo Terme, Premacore; 20 castelli dei pontifici si sottomettono ai viscontei. Alla notizia di una congiura in Bologna organizzata dai Canedoli e da Carlo Zambeccari ai danni dei Bentivoglio ritorna nella città, cattura Battista, Galeotto e Ludovico Canedoli e li fa incarcerare, rispettivamente, a Borgonovo Val Tidone, Pellegrino Parmense e Borgo Val di Taro; fa uccidere l’abate Zambeccari non curandosi della possibile scomunica da parte delle autorità pontificie. Il commissario fiorentino Bartolomeo Orlandini abbandona vilmente Marradi: i viscontei possono così irrompere in Toscana; ai fuoriusciti che accompagnano il Piccinino è proibito di dare alle fiamme case e villaggi. Il condottiero entra nel Mugello, punta su Vicchio, assedia Pulicciano; occupa Pagliericcio, Mucciano, supera le colline di Fiesole, ottiene Mucciano, varca l’Arno e scorre la pianura verso Pontassieve e Remoli ove sono catturati 120 saccomanni fiorentini. Fa prede e devastazioni fino a Vallemagna. Perde, tuttavia, ventotto giorni nell’assediare Pulicciano. A Firenze non nasce alcun tumulto a favore dei fuoriusciti. Nel capoluogo entrano, anzi, 1500 cavalli sforzeschi guidati da Neri Capponi e le truppe di Pietro Giampaolo Orsini che muta partito nell’arco di pochi giorni. Rinaldo degli Albizzi cerca di convincere il Piccinino a muovere contro Pistoia con la speranza di una sollevazione ad opera dei Panciatichi avversi ai Cancellieri, e di spingere, nel contempo, i fiorentini ad una battaglia campale. Il Piccinino preferisce, invece, ascoltare il parere del conte di Poppi Francesco di Battifolle per trasferirsi in Casentino e da qui tagliare le comunicazioni tra Arezzo e Perugia, da dove si stanno muovendo le truppe dello stato della Chiesa. Si impossessa di Bibbiena, di Borgo alla Collina, di Romena e Pitiano nei pressi di Vallombrosa. A Romena si vendica dei fiorentini che, contro i patti nel riconquistare il castello di Torre a Vaglia, hanno ucciso tutti i fanti che ne erano alla difesa e decapitato il fuoriuscito Leonardo Raffacani. Alla notizia fa venire davanti a sé i fanti che si sono arresi a patti; sono impiccati quelli della fazione dei Cancellieri e, al contrario, liberati i fautori dei Panciatichi. Il comandante della guarnigione Bartolomeo da Bologna viene catapultato entro le mura di Castel San Niccolò. Inizia le operazioni di assedio di tale fortezza. Vi perde trentuno giorni sotto le sue mura. Alla guardia si trova Morello da Poppi con 120 fanti; la vista dei difensori è rallegrata dalla visione degli impiccati di Romena collocati attorno al castello. Il Piccinino fa prendere a Poppi la madre del comandante del presidio, la fa condurre in catene davanti alle mura affinché il figlio la possa vedere. Gli è offerta inutilmente la liberazione della madre in cambio della resa. L’assedio diviene con i giorni sempre più stretto e cattivo. Molti degli abitanti assediati cercano di fuggire. Coloro che sono catturati sono posti sulle briccole e catapultati dentro il castello. In tale modo muoiono 37 persone, di cui 25 solo in una notte. Nelle more il condottiero prende e mette a sacco Borgo a Stia, Palagio, Ortignano, Giugatoio, Ozzano ed il forte di Reggiolo in fiamme a causa di una freccia o di un verrettone incendiario che si abbatte sul tetto di paglia di una casa. L’incendio, alimentato dal vento, provoca la morte di 150 persone tra uomini, donne e bambini che vi si sono rifugiati in precedenza. Stringe sempre più d’assedio Castel San Niccolò. I fiorentini (Pietro Giampaolo Orsini con i commissari Neri Capponi e Bernardo dei Medici, 2200 cavalli, pari ad un terzo dei viscontei) si muovono da Figline Valdarno per prestare soccorso ai difensori del castello. Niccolò Piccinino blocca loro il passo con la costruzione di una forte bastia fatta costruire sul monte che sovrasta il castello. A fine maggio i difensori della fortezza si arrendono a patti, salva la vita. Il Piccinino fa solo impiccare 2 saccomanni che hanno disertato dalle sue file per trovarvi rifugio. Punta su Rassina, che gli apre le porte dopo otto giorni di assedio. Conquista Chiusi. Informato del prossimo arrivo di Micheletto Attendolo, in marcia da da Assisi e da Bettona verso Firenze, invia alcune schiere a Sansepolcro (dove si trova il figlio Francesco) ed a Montone per sbarrare loro il passo; altri 1000 cavalli e 1000 fanti sono in modo analogo da lui inviati in Umbria. Costoro si attendano a due o tre miglia da Perugia, a Ponte San Giovanni ed a Piscille dandosi da fare a derubare di vettovaglie e foraggio le campagne vicine. Effettua una scorreria a Monte Castello di Vibio; il bestiame razziato è condotto a Collelungo; soccorre la rocca di Sberna e porta altre devastazioni ai territori finitimi. | |||
Giu. | Toscana Umbria Romagna | Ai primi del mese si avvicina a Pieve Santo Stefano alla cui difesa si trova Leale d’Anghiari. Entra in Sansepolcro per la porta della Pieve, detta poi Fiorentina. Questa viene aperta dagli abitanti, che si sono ribellati ai pontifici per il cattivo governo del commissario Antonio Malatesta, vescovo di Cesena. Da Sansepolcro punta su Città di Castello; lascia le relative operazioni di assedio nelle mani del figlio Francesco. Si reca poi nel perugino con lo scopo di insignorirsi della città; si accampa a cinque miglia della mura ed entra in Perugia, preceduto da 6 trombe e da un grande numero di cittadini, per la Porta di Sant’ Angelo con 300/500 cavalli. E’ accolto con tutti gli onori. Alloggia nel Palazzo dei Priori; si reca dal legato pontificio (l’arcivescovo di Napoli); persuade quest’ultimo a lasciare la città per recare un proprio messaggio al papa Eugenio IV. Fa incarcerare il tesoriere pontificio, il fiorentino Michele Benini, con l’accusa di malversazione. Ricevuti, infine, 8000 ducati ritorna alle sue truppe. A metà mese si avvicina con i fuoriusciti a Cortona alla testa di 6000 cavalli e molti fanti. Si ferma tre giorni davanti alla Porta Colonia. Finge un attacco al borgo di San Vincenzo, mentre i suoi fautori all’interno della città hanno il compito di aprire ai suoi uomini la porta in posizione opposta rispetto al borgo. Sono arrestati i capi della congiura (i Boscia) ed è raddoppiata la sorveglianza. I congiurati, 50 persone, sono tutti decapitati. Niccolò Piccinino si ritira in buon ordine con il bottino che, poi, su richiesta dei perugini farà riavere agli abitanti di Cortona. Si dirige a Pian del Carpine (Magione); da qui tocca la Val di Pierla e per Ponte Pattoli punta su Città di Castello. Assale la località con 2000 cavalli e molti fanti. Giungono in soccorso dei difensori Troilo da Rossano (100 lance) e Paolo della Molara (80), più alcuni fanti e 30 schioppettieri. Vi è uno scontro: i fanti e gli schioppettieri sono catturati dai viscontei, come pure 70 uomini d’arme di Paolo della Molara. Di seguito i nemici sconfiggono i viscontei; il della Molara si appropria di 70 cavalcature ed entra in Città di Castello con Trilo da Rossano. Negli stessi giorni i milanesi sono sconfitti a Soncino dallo forza; a seguito di tale fatto il duca di Milano sollecita il Piccinino a fare rientro in Lombardia. A fine mese delibera di fortificarsi in Sansepolcro alle pendici dei monti che dividono l’alta Val Tiberina con la Val di Chiana: anche 2000 uomini del contado si uniscono con i suoi per affiancarlo nelle sue auspicate razzie. Ispeziona nottetempo il terreno e decide il suo piano di battaglia: esso prevede che la maggior parte degli uomini d’arme ed un nucleo di fanti scelti (tra cui molti schioppettieri, di cui una quarantina tedeschi inviati dallo Sforza in soccorso dei fiorentini e catturati durante le operazioni attorno a Città di Castello) assaltino il campo nemico ad Anghiari mentre una parte della sua cavalleria leggera avrebbe dovuto intercettare i saccomanni avversari per impedire loro di tornare al soccorso della base. Tra Sansepolcro ed Anghiari vi sono circa nove chilometri di strada, distanza che un fante può coprire a passo veloce in poco più di un paio d’ore. Tale circostanza avrebbe inficiato l’effetto sorpresa nonché la capacità operativa dei fanti provati dalla marcia sotto il sole di giugno. Niccolò Piccinino finge allora di prendere la strada per la Romagna scendendo al ponte delle Forche, così chiamato perché località è adibita alle pubbliche esecuzioni, a tre chilometri da Sansepolcro. Da qui parte la strada per Anghiari lontana altri sei chilometri. In tal punto decide di fare montare sul dorso delle cavalcature anche gli schioppettieri per ovviare agli inconvenienti di cui soffre il suo piano. Aspetta mezzogiorno, l’ora più calda della giornata, per partire sicuro che gli avversari sarebbero rimasti nei loro padiglioni durante la canicola. I suoi soldati si muovono sotto l’insegna del biscione che divora un bambino, propria dei Visconti, ed il leopardo accovacciato, tipica del Piccinino e, prima ancora, del suo maestro il Montone. Si narra che durante la marcia abbia visto una grossa biscia saltare da un albero ad un altro di fichi, detto in genere di “San Pietro”. Nel balzo il serpente rimane inforcato da un ramo aguzzo finendo ucciso all’istante. Il Piccinino si domanda se un tale segnale non abbia un valore profetico che lo inviti ad evitare lo scontro proprio nel giorno dei SS. Apostoli Pietro e Paolo. Non dà peso al presagio e prosegue nella sua marcia. Giunto al ponte delle Forche l’esercito ducale si divide in due parti secondo i piani: la cavalleria leggera prende la via di Citerna, mentre la cavalleria pesante e la fanteria attraversano il Tevere e si dirigono di corsa verso Anghiari. Arrivato in vista del ponte di un piccolo fiume si accorge che vi si sono appostate le compagnie di Micheletto Attendolo che gli impediscono l’accesso. Capisce di non poter più contare sull’ effetto sorpresa, cambia l’ordine di attacco decidendo di sfruttare la propria superiorità numerica. Si muovono le squadre del figlio Francesco e quelle di Astorre Manfredi. Micheletto Attendolo, in un primo momento, riesce a sostenere l’impatto; alla fine è costretto a ritirarsi; combatte fino ai piedi del colle d’Anghiari. Niccolò Piccinino occupa velocemente il ponte ed il guado: a questo punto giungono le truppe pontificie di Simonetto da Castel San Pietro che evitano lo sfondamento della debole linea difensiva. L’arrivo dei nuovi avversari obbliga i viscontei ad indietreggiare oltre il ponte. Il condottiero invia altre squadre a sostegno del figlio Francesco e di Astorre Manfredi aumentando, nel contempo, la pressione delle proprie fanterie. I ducali attraversano il fiume ed assalgono gli avversari sui fianchi. E’ catturato Niccolò da Pisa; l’Attendolo è salvato dal provvidenziale intervento di Pietro Giampaolo Orsini e di Simoncino d’Anghiari che riequilibra le sorti del combattimento e permette la liberazione di Niccolò da Pisa. Le truppe del Piccinino sono bloccate dal tiro dei balestrieri genovesi, disposti sulle alture vicine e, soprattutto, dal fuoco a corta distanza delle bombarde nemiche. Il condottiero umbro dopo tre ore fa dare dai trombettieri il segnale dell’ ultimo attacco. I collegati non solo resistono ma sono in grado di passare alla controffensiva. Vista la situazione Astorre Manfredi, di propria iniziativa, si sposta in avanti per frenare la carica nemica; la sua azione provoca un buco nella linea viscontea. Ne approfitta Pietro Giampaolo Orsini che utilizza le truppe tenute in riserva, le lancia contro lo schieramento visconteo non più compatto e respinge gli avversari in modo definitivo oltre il ponte. Nonostante tutto il Piccinino riesce a riorganizzare le proprie file ed a reggere per un’altra mezz’ora, anche con l’aiuto delle milizie ausiliarie di Sansepolcro che hanno provveduto a colmare i fossi ai lati della strada. Al tramonto si alza un forte vento dai monti; la polvere investe i viscontei togliendo loro la vista e il respiro. I cavalli fiorentini e pontifici superano il ponte. Impera il disordine. Il fronte cede ed i soldati si abbandonano alla fuga con meta Sansepolcro. La città è raggiunta dalle loro grida “alle cinghie, alle cinghie!”. Con il figlio Francesco e Guidantonio Manfredi è in grado di radunare parte degli sbandati (1000 cavalli) e, con l’aiuto della sera, riparare a Sansepolcro. Perde tutti i frutti delle precedenti scorrerie perché ha dovuto lasciare i propri carriaggi fuori le mura cittadine. Anche tutti gli stendardi viscontei cadono in mano nemica. I fiorentini li esporranno alzati al rovescio nella chiesa di Santa Maria del Fiore. Lo scontro, che ha conosciuto diverse fasi alterne, termina dopo quattro ore. Tra i viscontei vi sono 60 morti tra gli uomini d’arme ed altri 80 tra i cavalli leggeri; 800 sono i feriti dei quali molti morranno nei giorni seguenti per le ferite riportate. I collegati denunciano la morte di 40 uomini d’arme, mentre altri 200 sono rimasti feriti. Sono catturati dai pontifici dell’ Attendolo e dai fiorentini di Pietro Giampaolo Orsini 22 capisquadra su 26, 400 connestabili, 1540 uomini di taglia e 3000 cavalli. Nella fuga degli uomini del Piccinino vengono uccise, calpestate dai cavalli, anche 60 donne che, per ordine del condottiero umbro, si trovano ai bordi della strada con recipienti pieni d’acqua pronti a dissetare i soldati. Sconsolato, il Piccinino medita il suicidio; i fiorentini rilasciano subito i suoi uomini ed egli può pensare a ricostruire il suo esercito. Si ritira a Mola con 2000 cavalli ed invia a Sansepolcro il figlio Francesco e Carlo di Montone; si rifugia agli inizi a Pistoia per dirigersi poi indisturbato nel contado di Gualdo Tadino (ora ha 3000 cavalli ai suoi ordini) al finne di aspettarvi (invano) le milizie del Malatesta, signore di Rimini. Spinto dal duca di Milano, prende la via di Gubbio ed è rifornito di vettovaglie e di armi da Guidantonio da Montefeltro; attraversa in fretta gli Appennini e giunge in Romagna a Rimini. | |||
Lug. | Romagna Lombardia | Si muove tra Forlimpopoli e Montecchio; vengono a rendergli atto d’omaggio Antonio Ordelaffi, Annibale Bentivoglio ed altri nobili bolognesi; con Guidantonio Manfredi assedia in Castrocaro Terme Matteo da Sant’ Angelo. Si incontra con il figlio Francesco a Forlì e si reca a Faenza. Lascia il figlio ed il Manfredi e rientra in Lombardia. | |||
Sett. | Lombardia | Fronteggia ancora una volta lo Sforza ed il Gattamelata, che durante la sua assenza hanno recuperato per conto dei veneziani tutto il bresciano e liberato il capoluogo dal lungo assedio. | |||
Ott. | Romagna Emilia | Alla difesa di Forlì. Lascia presto la città per puntare su Parma. | |||
Nov. | Emilia | Vengono a trovarlo a Parma Gaspare e Giovanni Malvezzi che gli sono inviati dal senato bolognese: chiede a costoro 15000 ducati da consegnarsi in tre rate. Viene inoltre stipulata una convenzione tra le parti per la quale il Piccinino introduce in Bologna 100 lance mentre i bolognesi si impegnano a pagare non solo il loro soldo ma anche lo stipendio di 100 fanti di guardia al Palazzo degli Anziani ed al castello di Galliera. Punta su Borgo San Donnino (Fidenza) e Castelvetro di Modena. | |||
Dic. | Emilia | A Parma, ospite di Andrea dei Valerii. | |||
1441 | |||||
Gen. feb. | Lombardia | Si provvede di uomini e di provviste per mezzo di gabelle ed imposte che toccano tutti i cittadini del ducato milanese, siano essi laici o ecclesiastici: sono così raccolti 300000 ducati dal suo collaboratore Giacomo da Imola. Supera l’Oglio con 8000 cavalli e 3000 fanti e muove contro Orzinuovi: Giovanni Sforza gli si oppone; il Piccinino, invece, devia a sinistra per trasferirsi in Ghiaradadda. Giovanni Sforza rientra ad Orzinuovi ed il capitano visconteo con una marcia notturna si spinge al guado di Rudiano. A metà febbraio attraversa ancora l’Oglio, batte l’avversario, ha per trattato Chiari e ne cattura la guarnigione. Rilascia i soldati e trattiene prigionieri i soli capisquadra. In questi frangenti lo Sforza, il Gattamelata e Taddeo d’Este sono tutti a Venezia per le nozze del figlio del doge Francesco Foscari, Jacopo. Niccolò Piccinino si impossessa di seguito di Palazzolo sull’ Oglio; ne assedia la rocca per sette giorni; espugna Iseo e vi svaligia 2000 cavalli sforzeschi. Si sposta in Franciacorta; ha Bornato; Passirano e Paterno, nonché Manerbio, Pontevico, Binanuova, Calvisano, Gambara e Pralboino gli aprono le porte. | |||
Mar. | Lombardia | Si impadronisce del ponte e della rocca di Canneto sull’Oglio; respinto da Asola, ottiene Marcaria dopo sei giorni, occupa Rivarolo Mantovano; rientra nel bresciano, gli si arrendono Gottolengo ed Orzinuovi, espugna la bastia posta sul ponte dell’ Oglio vicino a Soncino e pianta sei bombarde contro la località: corrompe 38 soldati di guardia ad una porta ed entra nella città costringendo alla resa Michele Gritti che sorveglia Soncino con 400 cavalli. Il provveditore è condotto prigioniero a Milano. A fine mese a causa della mancanza di foraggio per la cavalleria è obbligato a ridursi nelle sue stanze; il dal Verme ed il Sarpellione (che ha abbandonato lo Sforza) puntano viceversa su Lovere. | |||
Apr. | Lombardia | Rientra a Milano per procurarsi il denaro per le paghe delle sue truppe. | |||
Mag. giu. | Lombardia | Al campo; rimane con 3000 cavalli fino a metà giugno tra Soncino ed Orzinuovi; si sposta poi a Manerbio ed a Gambara per controllare i movimenti degli avversari. Avuto sentore di un attacco alla sua postazione lascia di notte in silenzio il campo e per il ponte di Pontevico penetra nel cremonese e si rafforza sull’ Oglio. E’ seguito dopo due giorni dallo Sforza che con uno stratagemma supera il fiume. Il Piccinino si colloca tra Romano di Lombardia ed il Serio; avvia alla difesa di Martinengo 1200 cavalli e 500 fanti agli ordini di Giacomo da Caivana e di Perino Fregoso. Si trincera a Cignano con 10000 cavalli e 3000 fanti. Gli accampamenti sono protetti da bastioni e fossati. Vi è assalito dallo Sforza che dispone di forze superiori alle sue (16000 cavalli e 7000 fanti). Continue sono le scaramucce in una delle quali i viscontei si impossessano di 500 cavalcature e sono uccisi 20 uomini d’arme. Francesco Sforza si trova di fronte il suo esercito ed alle spalle la guarnigione di Martinengo. Il rivale, per liberarsi da tale situazione, si propone di assediare Martinengo, tallonato alle spalle dal Piccinino che, lasciato il campo di Cignano, si avvicina anch’ egli a tale località. Innumerevoli sono le scaramucce. Il Piccinino fa costruire due bastie vicino agli alloggiamenti degli avversari per tagliare loro le linee di vettovagliamento; in breve mette in estrema difficoltà lo Sforza tanto che quest’ultimo vede trasformarsi la sua posizione da assediante a quella di assediato. I due condottieri restano diciotto giorni a contatto. | |||
Lug. sett. | Lombardia | In tale circostanza Niccolò Piccinino commette un grave errore di comunicazione allorché chiede con forza al duca di Milano la signoria di Piacenza; è pure in lizza con altri pretendenti al matrimonio con l’unica figlia del Visconti, Bianca Maria. D’altra parte il Visconti non ha solo questa richiesta da fronteggiare: altri capitani viscontei pretendono la loro parte, chi la signoria di Novara (Luigi da San Severino), chi quella di Tortona (Luigi dal Verme), chi le terre di Bosco Marengo e di Frugarolo (Taliano Furlano). Come risultato il Visconti preferisce il male minore: fa contattare in gran segreto lo Sforza dal proprio segretario Eusebio Caimi e gli propone una tregua; al Piccinino è intimata la cessazione immediata dalle ostilità per un anno (agosto). Il condottiero si oppone con forza alla decisione presa alle sue spalle; deve cedere allorché il duca minaccia di abbandonarlo. Nel levare il campo da Martinengo si bacia con lo Sforza e conclude con lui un patto segreto che prevede la spartizione dello stato della Chiesa e del senese. Il Visconti gli conferma la carica di luogotenente generale e lo esenta, al contrario degli altri feudatari, da alcune restrizioni poste in atto nei loro confronti. | |||
Ott. | Piccinino | Pallavicini | Lombardia ed Emilia | Nemico acerrimo dello Sforza e dei suoi fautori come Rolando Pallavicini, dopo il matrimonio del suo emulo con Bianca Maria Visconti, accusa di tradimento il marchese di Busseto davanti al duca e con il suo favore assale Fidenza. | |
Nov. | Emilia | A Piacenza. Assedia Rolando Pallavicini in Busseto. | |||
1442 | |||||
Gen. | Emilia Lombardia | Continua la campagna contro Rolando Pallavicini che si arrenderà a settembre. Da Casalbuttano invia i suoi uomini alle stanze invernali. I danni provocati alle case ed ai beni dell’ avversario sono valutati in 400000 ducati. | |||
Feb. | Emilia | Congedato da Filippo Maria Visconti, esce da Fiorenzuola d’Arda con 1000 cavalli. | |||
Mar. | Emilia | A Bologna (di cui è praticamente signore); viene accolto dagli Anziani alla Porta di San Felice. Nella città alloggia nel Palazzo Pubblico. Assolda molte truppe ed esprime il desiderio di ritornare a Perugia: tratta con alcuni emissari perugini (Gregorio Antignola, Guido Morello da Montesperelli, Rodolfo Signorelli) le condizioni per un’eventuale condotta con lo stato della Chiesa. | |||
Apr. | Chiesa | Sforza Venezia Firenze | Gonfaloniere dello stato della Chiesa 4000 cavalli e 1000 fanti | Emilia e Marche | Sempre a Bologna. Riceve gli ambasciatori di Siena, dei Malatesta, dei Manfredi, dei Gonzaga. Il senato cittadino organizza una giostra in suo onore. Si deteriorano nel frattempo i rapporti tra il duca di Milano e lo Sforza; si definiscono anche le trattative del Piccinino con lo stato della Chiesa. Viene nominato gonfaloniere dello stato della Chiesa per combattere lo Sforza nelle Marche ed in Umbria. Gli viene concessa una condotta di 4000 cavalli e di 1000 fanti per un anno di ferma ed uno di beneplacito; gli è riconosciuto uno stipendio annuo di 100000 fiorini; tra le condizioni a suo favore vi è anche quella di non dovere affrontare viscontei, veneziani, fiorentini, i Manfredi, i Gonzaga ed i senesi. Suoi uomini, nel frattempo, agiscono nelle vicinanze di Perugia e di Città di Castello dando il guasto alle campagne. Altri, come Ludovico Gonzaga, sono segnalati nei pressi di Piegaro; altri ancora, come il Pazzaglia bloccano le strade a Ponte San Giovanni. |
Mag. | Emilia Romagna e Umbria | Gli sono concessi in signoria dal Visconti alcuni feudi appartenenti ai Pallavicini come Solignano, Sant’Andrea, Miano, Varano de’ Melegari, Bilzola, Visiano, Costamezzana, Cellula, Borghetto, Lanzobordone, Tabiano, Liano, Bargone, Castellina, Gallinella, Molendino, Felegara, Monte Mormillo e Monte Palerio al posto di Castelponzone di cui non è mai entrato in possesso; gli sono anche confermati Fiorenzuola d’Arda, Candia Lomellina, Villata, Frugarolo, Pianello Val Tidone, Albareto e Sala Baganza già appartenenti agli Arcelli, ai Landi ed agli Scotti. Dal punto di vista militare raccoglie 2000 cavalli per la sua ultima campagna. Esce da Bologna; raggiunge la Romagna ove minaccia in Forlì Pietro Brunoro. Si ferma a Villafranca e ne devasta i dintorni. Invia in Forlì alcuni capisquadra per spiare la situazione; costoro gli riferiscono che la città e la sua rocca sono ben difese. Al seguito del Piccinino si trova anche Annibale Bentivoglio. Allorché quest’ultimo decide di rientrare a Bologna il Piccinino scrive al figlio Francesco, che ha lasciato in tale località con molte squadre di uomini d’arme e bandiere di fanti, di catturarlo con tutti i suoi partigiani. Dopo pochi giorni si allontana, si reca a Faenza con il Manfredi e si incontra a Cesena con Domenico Malatesta; tocca Casemurate e per la Val di Savio si dirige verso Perugia. A fine mese al ponte d’Avorio, presso Città di Castello, i perugini gli consegnano 3000 fiorini e riforniscono con larghezza di vettovaglie le sue truppe. In Città di Castello fa riammettere i fuoriusciti; elegge commissario della località Pietro Paolo da Spello. Nascono gravi disordini nel centro; sono mortalmente feriti 2 priori facenti per lo più parte della fazione dei Vitelli. Penetra nel contado di Bettona ed occupa Costano. | |||
Giu. | Umbria e Marche | E’ nei pressi di Assisi; entra in Perugia per la Porta di San Pietro accompagnato da 200 cavalli disarmati, da Ludovico Gonzaga e da altri capitani. Riceve il bastone di gonfaloniere dello stato della Chiesa dal governatore pontificio, l’arcivescovo di Napoli, di fronte ai commissari del papa, del re di Napoli e del duca di Milano. Gli sono consegnate due bandiere: una con lo stemma dello stato della Chiesa (chiavi bianche in campo rosso) e la seconda con lo stemma del papa Eugenio IV. I suoi soldati si spostano nel todino, si fermano a San Gismondo e danno il solito guasto alle campagne. Si congiungono alle sue forze Pietro Giampaolo Orsini, Cristoforo da Tolentino, Ludovico Gonzaga con 2000 cavalli e più fanti, Carlo di Montone con altri 1000 cavalli e numerosi fanti. Con costoro assale Todi per espellerne il Sarpellione (ritornato al servizio dello Sforza) che vi staziona alla difesa con un presidio di 1000 cavalli. Intercetta presso Bettona alcuni rinforzi sforzeschi provenienti da Fabriano e cattura 250 cavalli. Il Sarpellione cede Todi e ne esce munito di un salvacondotto assieme con i suoi uomini. Il Piccinino conquista San Gemini, mette a sacco alcuni castelli e si colloca tra Montefalco e Gualdo Cattaneo. Si muove verso Foligno dai cui abitanti esige 10000 fiorini; perviene a Serravalle di Chienti ed entra in Camerino. Nello stesso mese è investito dal Visconti di Busseto, sempre a spese del Pallavicini. | |||
Lug. | Marche | Compie un’incursione nel territorio di San Ginesio; conquista Belforte del Chienti alla cui difesa si trovano 200 cavalli: il centro si arrende dopo ventisette giorni d’assedio per la mancanza d’acqua. Alla notizia che lo Sforza è giunto a San Severino Marche si ritira presso San Ginesio dove è preceduto dal suo avversario; si accampa a Pian di Piega; occupa Sarnano ed Amandola affinché non gli siano tagliate le linee di rifornimento che attraversano gli Appennini. | |||
Ago. | Marche | Ottiene a patti il cassero di Montefortino con Antonello della Torre e Sacramoro da Parma, dopo avere obbligato alla resa il castellano Scaramuccia da Torchiaro con un violento fuoco di artiglieria. Militano ora ai suoi ordini 16000 uomini tra cavalli e fanti: ben 300 sono i cavalli dei suoi famigliari, dei suoi cancellieri e dei loro aiutanti. Ha continui scontri con gli sforzeschi sui Monti Sibillini; in uno di questi è sconfitto ad Amandola dal Brunoro e dal Malatesta. Durante i combattimenti che durano tre giorni, su invito del commissario fiorentino Bernardo dei Medici, ha un breve colloquio con lo Sforza; il giorno seguente è a Sarnano ed è stipulata tra i contendenti una tregua di otto mesi. Occupa Tolentino con l’aiuto di Cristoforo da Tolentino e si ferma nei piani della Rancia; si sposta a sud fronteggiato dal Malatesta tra Visso e Sarnano. | |||
Sett. | Napoli | Sforza | 4000 cavalli e 1000 fanti | Marche e Umbria | Intervengono ancora Bernardo dei Medici e la moglie dello Sforza, Bianca Maria Visconti che viene a trovarlo al campo con una scorta di 150 cavalli; al piano della Rancia è rifatta la composizione tra le parti. Niccolò Piccinino si ferma a Verchiano e per Colfiorito rientra in Umbria. Ora è lo Sforza a rompere la tregua con il saccheggio di Ripatransone; il Piccinino viene a conoscenza del fatto nel folignate. Nello stesso mese passa agli stipendi del re di Napoli con una condotta di 4000 cavalli e 1000 fanti (5000 cavalli e 3000 fanti per alcune fonti). Il costo complessivo della condotta è valutato in 168000 ducati l’anno. Gli è concessa in feudo la contea di Albe (da conquistare). |
Ott. | Umbria | Riprende le ostilità ed occupa Gualdo Cattaneo con la rocca: gli sono aperte le porte perché, dopo avere catturato 40 abitanti fuori le mura; permette loro di rientrarvi liberamente. Assale Assisi con l’aiuto dei perugini. Raggiunto dal patriarca Ludovico Scarampo, si accampa a San Damiano con 20000 armati. Attacca le rocche cittadine con le bombarde. | |||
Nov. | Umbria | Si dispone all’assalto generale ad Assisi difesa da Alessandro Sforza. Il Pazzaglia, Riccio di Taranto e Niccolò Brunoro entrano nella città per una condotta sotterranea di un antico acquedotto; egli vi irrompe per una breccia aperta dagli stessi difensori nella cerchia muraria. La strada è spianata dai guastatori; per essa penetrano centinaia di cavalli e di fanti; anche Pietro Giampaolo Orsini irrompe in Assisi appoggiando le scale presso la Porta di San Francesco. Solo Carlo di Montone assale gli 800 cavalli di Alessandro Sforza che si rinchiudono nella rocca maggiore con i cittadini più ricchi. Molti abitanti cercano scampo in San Francesco ed in Santa Chiara: il Piccinino si porta nel secondo convento e propone alle donne, che vi si sono rifugiate con i figli e le loro masserizie, di lasciare il luogo per essere accompagnate sotto scorta a Perugia. Al rifiuto opposto sia dalle donne che dalle suore per l’odio che hanno gli abitanti della città verso i perugini i suoi soldati si gettano su tutti coloro che si trovano nel monastero e tutte le donne sono vendute all’asta. Il sacco dura tre giorni ed è salutato a Perugia dal suono a festa delle campane. Il Piccinino attacca le due rocche e ne fa uscire coloro che vi si sono rifugiati; si oppone alla distruzione di Assisi, anche se i perugini gli offrono al riguardo 15000 fiorini. | |||
Dic. | Umbria | Alessandro Sforza fugge nottetempo dalle rocche di Assisi; si arrende subito il cassero minore, mentre quello maggiore cederà a patti solo il mese seguente alla condizione di non ricevere soccorsi entro il termine di tre giorni. | |||
1443 | |||||
Gen. | Umbria | Si ammala per gli strapazzi e per il pensiero di essere tradito dai suoi capitani (il Pazzaglia, Pietro Giampaolo Orsini, Cristoforo da Tolentino). Un vescovo ed il governatore di Città Castello, Agamennone degli Arcipreti, gli recano due doni del papa (un cappello di ermellino tempestato di perle del valore di 700 fiorini ed una spada con una guaina d’oro del valore di 200 fiorini). | |||
Feb. | Umbria | Ristabilitosi, si reca a Perugia. E’ ospitato da nello Baglioni. | |||
Mar. | Umbria e Toscana | Lascia a Perugia come suo luogotenente Carlo di Montone e parte alla volta di Siena; vi entra per la Porta Nuova; presta atto d’omaggio al papa Eugenio IV. Tocca anche Poggio Malavolti dove gli sono consegnati 500 fiorini; si sparge la notizia di un fallito attentato nei suoi confronti ordito a Bagni di Petriolo dai fiorentini su sollecitazione dello Sforza. | |||
Apr. | Con la defezione del figlio Jacopo dall’esercito aragonese il re di Napoli decide di richiamare le truppe che militano ai suoi ordini. Si sdegna con Alfonso d’Aragona e gli manda a dire che come a suo tempo ha fatto avere al sovrano il regno di Napoli, ora può farglielo perdere. | ||||
Giu. | Umbria e Lazio | Occupa e mette a sacco Montegabbione e Monteleone d’Orvieto: salva la vita agli abitanti, agli uomini d’arme di Ugolino da Montemarte ed ai fanti di Andrea Corso, costretti a cedere per la mancanza di vettovaglie. Salpa a Civitavecchia con 6 galee e sbarca a Terracina o a Gaeta per incontrarsi con il re di Napoli e studiare un piano comune per abbattere lo Sforza. Alfonso d’Aragona gli concede l’uso del cognome d’Aragona da aggiungere al suo usuale. Ritorna a Corneto (Tarquinia) ed assedia in Acquapendente e Toscanella (Tuscania) il Sarpellione. Al campo di Tuscania fa decapitare il conte di Aversa colpevole di avere permesso l’ingresso nella località di vettovaglie e di armati a favore dei difensori. | |||
Lug. | Marche e Umbria | Si muove nelle Marche; domanda vanamente ai perugini l’invio di denaro, fanti e balestrieri per il proseguimento della campagna; con la risposta negativa deve fare ricorso agli abitanti di Camerino. Si colloca vicino a Visso. Il Brunoro esce da San Severino Marche e con Sigismondo Pandolfo Malatesta assale nottetempo il suo campo alla testa di molti cavalli e fanti (3000/ 4000): il Piccinino è costretto a lasciare l’assedio del centro ed a ripiegare a Norcia. | |||
Ago. | Marche | A Pieve Torina si collega con gli aragonesi; si trova al comando di 24000 armati tra fanti e cavalli. Con l’arrivo delle fanterie spagnole di Giovanni di Lira ha a patti Visso, si incammina lungo il Chienti verso San Severino Marche. Entra nella città, abbandonata dagli sforzeschi, effettua una scorreria nel territorio di Cingoli, si ferma tra Montelauro e Monticello. Matelica, Tolentino e Macerata inalberano le insegne dello stato della Chiesa. Troilo da Rossano e Pietro Brunoro gli consegnano Jesi e Fabriano. Assale Rocca Contrada (Arcevia) alla cui difesa si trova Roberto da San Severino: ne ottiene la resa a patti con il blocco del rifornimento idrico alla città. | |||
Sett. | Marche e Romagna | Occupa Cingoli. Sposta il suo campo sul Metauro per assediare lo Sforza in Fano con 30000 uomini per terra ed 8 galee per mare. Carlo di Montone cattura Antonello da Corneto che è interrogato senza ottenere risposte sulla situazione all’interno della città: nasce l’idea di uno scontro in campo aperto tra 10/50/100 uomini delle due parti. Liberato Antonello da Corneto, rientra a Fano; lo Sforza accetta in apparenza la sfida tra 100 campioni. Il re di Napoli si oppone al progetto; lo Sforza si rivolge invece direttamente al duca di Milano e lo persuade ad opporre il suo veto. Il Piccinino si presenta con i suoi 100 campioni al luogo indicato; lo Sforza non si fa trovare adducendo come scusante la vicinanza delle truppe aragonesi al terreno. Il Piccinino prosegue nella sua campagna, guada il Foglia e si accampa a Montelauro; si trasferisce in Romagna tacciando il rivale di codardia e di mancanza di parola. Staziona tra Rimini e Pesaro, si ferma a Montecchio, espugna e mette a sacco Piandimeleto, si attenda sul Foglia presso l’abbazia di San Tommaso. Da qui devasta i contadi di San Giovanni in Marignano, Riccione, Misano Adriatico, Villa Vittoria, Santa Maria di Scacciano e dà alle fiamme Tomba presso Pesaro. | |||
Ott. | Marche | A Montelabbate. Attacca Fano. In uno scontro rimane ucciso Luca da Castello. | |||
Nov. | Marche | Francesco ed Alessandro Sforza e Sigismondo Pandolfo Malatesta vengono incontro ai rinforzi inviati loro da veneziani e fiorentini. Niccolò Piccinino spedisce Domenico Malatesta, Roberto da Montalboddo, Angelo di Roncone e Pietro da Bevagna (4000 cavalli) a Montelabbate per tagliare loro il passo: costoro non escono dalle alture e gli sforzeschi non trovano alcun ostacolo nella loro marcia. Il Malatesta si muove all’ avanguardia e pone il campo a Montelauro sul Foglia: il signore di Rimini dà inizio all’attacco con la fanteria. Agli sforzeschi si congiungono veneziani e fiorentini (Guido Rangoni, Taddeo d’Este, Simonetto da Castel San Pietro). I bracceschi (che già si sono ammutinati per il ritardo delle paghe), dopo un inizio loro favorevole, si danno alla fuga a seguito del numero soverchiante degli avversari. Niccolò Piccinino si rifugia con pochi uomini a San Donato, nei pressi di Fabriano. Non si perde d’animo, raduna gli sbandati e trova modo durante i mesi invernali di ricostituire un nuovo esercito. Tocca Fabriano. | |||
Dic. | Marche | Espugna Pignano e Monte Urano, riconquista Montegranaro e la mette a sacco dopo averne espulso gli abitanti; invia alla difesa di Monte San Pietrangeli Giacomo da Caivana e Niccolò Terzi con 1300 uomini tra fanti e cavalli. La vittoria dello Sforza è presto sterilizzata dalla sua iniziativa. | |||
1444 | |||||
Gen. | Marche | Esce da Recanati e giunge a Montecchio (Treia). Invia alla difesa di Ripatransone 300 cavalli; costoro fanno entrare nei borghi 400 cavalli ed alcuni fanti sforzeschi, chiudono le porte alle loro spalle e causano la sconfitta degli avversari che perdono più di 300 uomini tra morti e prigionieri. Nel mese gli viene rinnovata la condotta dagli aragonesi. | |||
Feb. mar. | Marche | Assolda nuove truppe e riceve in soccorso dagli aragonesi 2000 uomini. Contrasta gli sforzeschi negli Appennini; si scontra spesso con il Sarpellione. A marzo le sue truppe si accampano tra Monte San Pietrangeli e Montegranaro: sono tese alcune imboscate a 40 abitanti di Montegiorgio che stanno trasportando in territorio nemico, a Fermo, alcuni carichi di frumento. Niccolò Piccinino lascia Montegranaro e cerca di sorprendere Rocca Contrada (Arcevia). | |||
Mag. | Marche | Cavalca verso Montemilone (Pollenza) che deve occupare per trattato; sorpreso su un ponte del Potenza dal Sarpellione, si rifugia in una piccola torre e di notte ritorna al suo campo. Corre a Montegiorgio (o a Montefortino, secondo le fonti) ove è preceduto dallo Sforza: 5 suoi fautori sono impiccati e squartati e le loro teste sono poste su alcune lance per essere esposte sui merli delle porte di Fermo. | |||
Giu. | Umbria e Marche | Si muove nel perugino. Distrugge il castello di Ilci. A Montecchio; fa rinchiudere nel cassero di Assisi Antonello della Torre accusato di volerlo uccidere o, quanto meno, di volerlo consegnare prigioniero allo Sforza. Il capitano è condotto nelle Marche a Treia e qui viene appeso per un piede, con le mani legate, tra la torre del cassero ed una torre vicina. Il Piccinino occupa Falerone e Sant’Angelo in Pontano, mette a sacco San Ginesio; è chiamato in aiuto dal cardinale Domenico di Capranica che sta a Recanati; preceduto su Castelfidardo dal Sarpellione e da Giovanni da Tolentino si ferma a Loreto dove gli sforzeschi riescono ad impedire il vettovagliamento delle sue truppe. Il Sarpellione fa dare fuoco ad una grande quantità di stoppie e di altri materiali infiammabili che, alimentata dal vento spaventa le cavalcature e scompagina le sue file. | |||
Lug. | Marche e Romagna | Si vendica del Sarpellione giungendo di notte ad Appignano ed impossessandosi di tutti i suoi carriaggi ammassati dal condottiero in tale località. Con il ritorno a Fermo degli avversari espugna Montefano ed assedia Castelfidardo. Lo Sforza è sempre più in difficoltà; è salvato ancora una volta dalla politica del Visconti. Il duca di Milano lo richiama infatti in Lombardia; alle sue proteste lo fa licenziare dal papa. Il condottiero si congeda dai suoi soldati con una grande cerimonia Lascia le truppe al comando del figlio Francesco, tocca l’urbinate e si sposta in Romagna. Viene segnalato a Selbagnone, a Magliano ed a Fenazzano con il dal Verme; nella sua sosta a Magliano Antonio Ordelaffi gli fa avere 1000 ducati; raggiunge Villafranca e Lugo dove riceve dal signore di Forlì altri 1000 ducati, presi in pegno a fronte del censo di 2000 ducati dovuto allo stato della Chiesa. | |||
Ago. | Emilia e Lombardia | Si trattiene a Ferrara dove è accolto da Leonello d’Este; si ferma due giorni a Parma a spese della comunità e giunge a Milano. Nella capitale è colpito dall’ ambiente di corte a lui ostile; viene preso dallo scoramento e dalla sfiducia. | |||
Ott. | Lombardia | E’ tanto amareggiato che a metà mese muore di crepacuore nella sua villa di Corsico (non mancano i sospettosi che parlano di un suo avvelenamento), oppure nella stessa Milano. Alla morte per scoramento contribuiscono anche l’idropisia cui è soggetto e l’avvilimento per la sconfitta del figlio Francesco a Montolmo (Corridonia). L’orazione funebre è letta da Pier Candido Decembrio; le esequie sono solenni per volontà del Visconti. Il Piccinino è sepolto nel duomo di Milano alla presenza del Visconti; su richiesta dei figli gli viene eretto un monumento presso la sacrestia meridionale sotto la statua del papa Martino V e l’immagine della Madonna del Parto. Tale manufatto (come quello del figlio Francesco) sarà fatto abbattere dallo Sforza nell’agosto 1455 al fine di cancellare tutte le insegne e le memorie riguardanti il suo nome. Il nuovo duca di Milano comanderà di smontare i marmi e di destinarli ad altro scopo. Come memoria dei due condottieri rimane, invece, una lapide, posta sulla fine del 1502, sotto il monumento del papa Martino V. Ricordato da Lorenzo Spirito in “Altro Marte” e nel “Lamento di Perugia soggiogata”. Biografia in latino di Giovanni Battista di Poggio Bracciolini; biografia (incompiuta) anche da parte di Enea Silvio Piccolomini. Statua equestre a Lucca, che avrebbe dovuto essere in bronzo, in realtà rimasta dipinta su un muro della piazza cittadina. Oltre alla medaglia del Pisanello (a Firenze), al ritratto di Cristofano dell’Altissimo (Galleria degli Uffizi, sempre a Firenze), al ritratto presente nel Codice Vallardi (Pisanello), ora al museo del Louvre, un suo ritratto a figura intera faceva parte del ciclo di “Uomini Illustri”, affrescato forse da Domenico Veneziano nel Palazzo Baglioni di Perugia, andato distrutto nel 1540. E’ raffigurato pure nella “Battaglia di Anghiari”, copia di Pieter Paul Rubens dell’omonima opera di Leonardo da Vinci. Niccolò Piccinino è stato pure ripreso con Braccio di Montone in un altro medaglione (che si trova sempre a Firenze) nell’atto di essere entrambi allattati dalla lupa. Lavora alla sua corte Lorenzo Vasari. Nel corso della sua esperienza militare Niccolò Piccinino si avvale di più stemmi. Il primo consiste in un toro rampante su campo rosso. Di seguito, quando assume il comando delle truppe braccesche, all’emblema del toro aggiunge come cimiero un leopardo seduto. A partire dal 1438, per concessione del duca di Milano, si fregia anche dello stemma dei Visconti. Sono intitolate a suo nome vie a Piacenza, Rimini, Tenno, Roma, Messina, Tricase e Corciano, una piazza ad Antria. |
CITAZIONI
Consulta la scheda delle citazioni su Niccolò Piccinino
Immagine: https://it.wikipedia.org/wiki/Niccol%C3%B2_Piccinino#/media/File:Pisanello_-_Codex_Vallardi_2482.jpg