JACOPO PICCININO

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Jacopo-Piccinino

Last Updated on 2023/08/31

JACOPO PICCININO  Di Perugia. Conte.

Marchese di Borgonovo. Signore di Sulmona, Sterpeto, Assisi, Chieti, Città Sant’Angelo, Francavilla al Mare, Varzi, Fiorenzuola d’Arda, Rezzano, Bucchianico, Guardiagrele, Caramanico Terme, Atessa, Fidenza, Pandino, Penne, Borgonovo Val Tidone, Castell’Arquato, Frugarolo, Borgo Val di Taro, Somaglia, Pellegrino Parmense, Compiano, Candia Lomellina, Solignano. Figlio di Niccolò Piccinino, fratello di Francesco Piccionino, padre di Giovanni Giacomo Piccinino, genero di Francesco Sforza.

1423 – 1465 (luglio)

Anno, meseStato. Comp. venturaAvversarioCondottaArea attività

Azioni intraprese ed altri fatti salienti

1440
Mar.MilanoFirenze30 lanceEmilia

E’ lasciato dal padre a Bologna come suo luogotenente al posto di Francesco Monaldeschi: gli sono riconosciuti uno stipendio mensile di 400 libbre ed una condotta di 30 lance. Viene accolto nella città dagli Anziani accompagnato da Cervato da Caravaggio.

Giu.ToscanaPrende parte alla battaglia di Anghiari.
Nov.Emilia

Rientrato a Bologna a metà mese cede il mandato di luogotenente a Cervato da Caravaggio. Viene richiamato dal padre Niccolò.

1441Re d’AragonaChiesaLazioSi scontra con le schiere di Everso dell’Anguillara nella Campagna romana
1442
GiuRe d’AragonaAngiò SforzaCampania e MoliseEntra in Napoli. Sconfigge a Carpinone angioini e sforzeschi comandati da Antonio Caldora e da Giovanni Sforza.
1443
Feb.Campania

Si trova a Napoli al solenne ingresso del re Alfonso d’Aragona nella città: nella circostanza gli viene concessa in feudo Bisaccia, confiscata a Giacomo della Marra.

Apr.Puglia e Marche

Crucciato di non essere tenuto in gran conto a corte, né di essere  compensato in modo sufficiente abbandona da Trani senza chiedere licenza; in quattordici ore varca i confini del regno di Napoli e raggiunge via mare il padre nella marca d’ Ancona. Alfonso d’Aragona invia un proprio ambasciatore a Niccolò Piccinino, si lamenta del comportamento di Jacopo e chiede che gli uomini d’arme della sua compagnia rientrino nel regno. Il padre, a sua volta, deplora le lamentanze regie; risponde che come a suo tempo ha fatto avere ad Alfonso d’Aragona il regno di Napoli, ora può anche farglielo perdere. A giugno Niccolò Piccinino si mette in viaggio per  Terracina per incontrarsi con il sovrano.

Nov.ChiesaSforzaMarche

E’ sconfitto con il padre a Montelauro da Francesco Sforza, Alessandro Sforza, dal Sarpellione e da Sigismondo Pandolfo Malatesta.

1444
Giu.Umbria

Con Carlo di Montone e Braccio Baglioni esce da Montecchio ed arresta a Sterpeto Antonello della Torre, accusato di volere uccidere il padre Niccolò o, per lo meno, di volerlo catturare allo scopo di consegnarlo allo  Sforza.

Ago.Marche

Viene nuovamente sconfitto dagli sforzeschi con il fratello Francesco a Montolmo (Corridonia): si salva  con la fuga, ripara prima a Recanati e poi a San Severino Marche. Con la cattura del fratello prende la guida dell’ esercito braccesco con Braccio Baglioni e Domenico Malatesta; distribuisce i suoi uomini tra Fabriano, Osimo e Recanati per conservare tali terre allo stato della Chiesa. In tale occasione  i perugini gli inviano il notaio Cipriano Gualtieri (padre del poeta-soldato Lorenzo Spirito) con 500 ducati.

Sett.Umbria

Con Carlo di Montone lascia Gualdo Tadino e si reca ad Assisi: resa visita al castellano Lorenzo della Lita degli Ermanni, chiede di parlare con Cristoforo da Tolentino, incarcerato nella  torre del cassero. Il funzionario invia alcuni famigli per fare uscire il condottiero dalla prigione. Gli uomini del Piccinino e quelli del Montone creano ad arte un momento di confusione per cui Cristoforo da Tolentino può impadronirsi della città e della fortezza maggiore in modo che eventuali disordini nella città non sfocino in una sua dedizione allo  Sforza. Lorenzo della Lita degli Ermanni è promosso e rimane come suo luogotenente in Assisi al posto di Brunello degli Scotti.

Nov.Umbria

Sempre con Carlo di Montone chiede in prestito al comune di Perugia 2000 fiorini e 100 corbe di frumento: gli viene consegnata la derrata ed a ciascuno dei due capitani sono donati 300 fiorini. Subito dopo si reca ad Assisi con 4000 uomini per ricevere dagli abitanti un certo quantitativo di denaro necessario al fine di mettersi in ordine e passare in Lombardia al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti.

1445
Feb.MilanoVeneziaLombardiaAffianca in Lombardia il fratello Francesco.
Mar.Emilia

Con il fratello è investito dal  Visconti del marchesato di Borgonovo Val Tidone, di Ripalta, di Borgo Val di Taro, di Somaglia; delle contee di Pellegrino Parmense, di Venafro e di Compiano; dei feudi di Castelvisconti, di Castell’Arquato, di Fiorenzuola d’Arda, di Candia Lomellina, di Villata, di Frugarolo e di Solignano.

……………….MilanoBolognaEmilia

Si congiunge con Taliano Furlano ed assedia Bologna; conquista in pochi giorni parecchi castelli del territorio.

1446
Mag.MilanoVeneziaLombardia

Giacomo da Salerno respinge un suo attacco a Cremona. Si ritira dal cremonese all’avvicinarsi dell’ esercito veneziano capitanato da Micheletto Attendolo.

Sett.LombardiaE’ battuto da Micheletto Attendolo nella battaglia del Mezzano.
1447
Mar. apr.Lombardia

Francesco Sforza è nominato dal duca di Milano capitano generale: poiché il condottiero non si decide a compiere gesti ostili nei confronti dei veneziani Jacopo Piccinino, con il fratello Francesco, Niccolò Terzi ed i consiglieri Antonio da Pesaro e Giacomo da Imola convincono il Visconti che lo Sforza punta ad insignorirsi del ducato e che ha già promesso, in caso di vittoria, di donare alcune terre dei Piccinino a Pietro Pusterla. Filippo Maria Visconti è  facilmente persuaso a non versare allo Sforza le paghe nei termini pattuiti. Il Piccinino sostituisce Giacomo da Lonato nell’incarico di commissario di Como.

Ago.Lombardia

Alla morte di Filippo Maria Visconti con il fratello Francesco, Francesco da Landriano e Broccardo Persico fa in modo che nel  testamento del duca compaia come erede il re di Napoli. Viene sventolato il vessillo  reale nel castello di Porta Giovia. Consegna le fortezze sotto il suo controllo agli aragonesi. A seguito della ribellione di Lodi ai milanesi entra nei borghi cittadini con il fratello:  ne viene respinto dagli abitanti. Si ritira a Pizzighettone; nel contempo anche i Fieschi recuperano ai danni dei Piccinino i loro possedimenti nella Val di Taro ed  uccidono il fratello Angelo. Con la nascita della Repubblica Ambrosiana e la sconfitta del partito dei filoaragonesi rifiuta la signoria di Crema e di Cremona che gli  sono offerte dai veneziani tramite Tiberto Brandolini (dopo che in un primo momento si è offerto di passare al loro servizio) e si avvicina allo Sforza. Nel medesimo periodo fa rilasciare Rolando Pallavicini consegnato a lui ed al fratello Francesco dietro la promessa del matrimonio con la figlia Elisabetta: il Pallavicini, una volta ritornato libero, non manterrà il suo impegno. Il Piccinino staziona nei pressi di Pizzighettone e vi si incontra con lo Sforza.

Ott. nov.Emilia

Affianca Francesco Sforza contro  Micheletto Attendolo; quest’ ultimo tenta di venire a battaglia con i milanesi per mezzo di una scaramuccia attizzata con due squadre scelte di cavalli. Al tramonto è suonata la ritirata e l’esercito si porta a Piacenza. Si dispone all’assedio della città e si colloca a sud rispetto alla Porta di San Raimondo.

Dic.EmiliaAll’espugnazione ed al successivo di Piacenza.
1448
InvernoLombardia

Con il fratello Francesco ostacola la politica dello Sforza, appoggia i guelfi e cerca la pace con i veneziani tramite la liberazione di Gerardo Dandolo catturato a Piacenza.

Giu.LombardiaAgisce in modo tale che Francesco Sforza è costretto a puntare su Lodi anziché su Cremona come richiesto da tale condottiero.
Lug. sett.Lombardia

Lo Sforza ottiene i pieni poteri e può meglio perseguire i propri disegni strategici. Il Piccinino opera in Ghiaradadda con il fratello Francesco e Luigi dal Verme; si ferma in breve per il ritardo delle paghe e lo Sforza è costretto a lasciargli tutto il bottino ricavato dal saccheggio  di Castelponzone. Appoggia il capitano generale contro i veneziani;  ai suoi ordini partecipa alla battaglia del Mezzano in cui è distrutta la flotta di Andrea Querini. A fine mese prende parte all’ assedio di Caravaggio. E’ inviato in avanscoperta a Morengo per bloccare l’avanzata degli avversari provenienti da Bergamo: assalito di sorpresa da Guido Rangoni, si trova in grave pericolo tanto più che il fratello Francesco e Dolce dell’Anguillara non intervengono a suo favore nonostante gli ordini dello stesso Sforza. Ritorna a Caravaggio ed è collocato alla destra della Porta Orientale con gli altri condottieri di scuola braccesca. Durante un assalto è ferito gravemente al costato da un colpo di lancia: è trasferito in lettiga a Treviglio in pericolo di vita.

Ott.MilanoSforza VeneziaEmilia e Lombardia

Si sposta a Borgo San Donnino (Fidenza). Riferisce al governo milanese i movimenti di Francesco Sforza   rafforzando diffidenze e sospetti nei suoi confronti specie dopo la liberazione di molti prigionieri senza l’imposizione di alcuna taglia. Si sposta all’assedio di Lodi;  è qui raggiunto dalla notizia del trattato di Rivoltella tra Francesco Sforza e la Serenissima.

Nov.Emilia

Si riduce a Borgonovo Val Tidone: con l’arrivo degli avversari a Casalpusterlengo raduna i suoi uomini in Val Tidone e cavalca a Piacenza. I cittadini gli chiudono le porte in faccia; si dirige nei suoi possedimenti di Fiorenzuola d’Arda.

Dic.Emilia

Gli abitanti di Parma lo chiamano in loro soccorso da Fiorenzuola d’Arda per sventare una congiura organizzata dai partigiani dei Rossi a favore di Alessandro Sforza.

1449
Gen.Emilia

Lasciati i suoi possedimenti, sosta sul Taro a Castel di Stefano appartenente ai San Vitale; con i parmensi delibera di assalire da quel lato gli avversari che si sono allontanati da Felino; si congiunge con Carlo di Campobasso e mette in fuga agli inizi i veneziani di Bertoldo d’Este e di Jacopo Catalano. Carlo di Campobasso si scontra con Alessandro Sforza;  Jacopo Piccinino tarda a raggiungerlo da Fontanelle per l’ intervento di Giacomo da Salerno.  Ciò causa la sconfitta delle milizie parmensi. Ripara a Fiorenzuola d’ Arda; qui viene a conoscenza dell’ accordo stipulato dal fratello Francesco con lo Sforza: quest’ ultimo promette ad entrambi il feudo di Tortona ed una provvigione di 9000 ducati per tre anni.

Feb.SforzaMilanoLombardia Emilia

Si rappacifica con Francesco Sforza: il patto è suggellato nel castello di Pavia dal fidanzamento con Drusiana Sforza, figlia naturale di Francesco, una ragazza di undici anni rimasta da poco vedova del doge di Genova Giano Fregoso, con cui è stata sposata l’anno precedente. La promessa di matrimonio viene celebrata nell’ accampamento ed è festeggiata nel castello di Pavia durante il carnevale. Drusiana incontrerà di nuovo il futuro marito dopo quindici anni a seguito di numerose contrattazioni  frutto dell’ evoluzione dei rapporti di forza tra il padre ed il condottiero. Jacopo Piccinino coadiuva quindi Alessandro Sforza all’assedio di Parma e, sempre nello stesso mese, si colloca nei pressi di Porta Romana a Milano.  Blocca il flusso dei rifornimenti alla città; assedia Monza.

Apr.MilanoSforza VeneziaLombardia

Abbandona con il fratello lo Sforza ed entra in Monza con 3000/ 4000 cavalli e 1000 fanti: il fratello si oppone per ragioni di cavalleria al suo desiderio di assalire Guglielmo di Monferrato. Si reca poi a Milano e, sempre con il fratello, costringe Sigismondo Pandolfo Malatesta a ritirarsi dal campo di Crema: lo Sforza confisca ai  due Piccinino i beni che essi possiedono nel piacentino. Consegna ai milanesi Melegnano di cui ha la custodia;  irrompe di sorpresa nel castello di Melzo dove il rivale ha condotto  le artiglierie utilizzate per l’assedio di Monza.

Mag.Lombardia

Si muove con 6000 cavalli, 4000 fanti e 20000 schioppettieri milanesi per liberare  Melegnano dall’ assedio degli avversari: lo Sforza mette in ordine il suo esercito; le cernite milanesi, ferme a San Giuliano Milanese, si danno alla fuga alla vista della cavalleria nemica coinvolgendo nella sconfitta anche le milizie di Jacopo Piccinino.

Giu.Lombardia e   Svizzera

Lo Sforza si attarda al recupero di Vigevano; Jacopo Piccinino con Carlo Gonzaga  tenta un’azione diversiva nel pavese; dà alle fiamme Villanterio ed altri centri. Affianca il fratello Francesco a Castelseprio; si introduce ancor più nel varesino giungendo fino a Lugano.

Lug.Lombardia

Assedia in Cantù il marchese Antonio Ventimiglia. Male vanno invece le sue cose in Emilia dove Alessandro Sforza conquista Fiorenzuola d’Arda, Castell’ Arquato ed altre località nel piacentino e nel parmense di cui è signore con il fratello; Antonio Crivelli, inoltre, consegna allo Sforza la fortezza di Pizzighettone di cui è alla guardia con 500 cavalli e 300 fanti che sono fatti prigionieri.

Ott. nov.Capitano g.leLombardia

Alla morte del fratello Francesco assume di fatto il comando delle truppe della Repubblica Ambrosiana;  cerca di rifornire di vettovaglie Milano sempre più stretta da vicino dagli sforzeschi. Riprende il vecchio progetto di alleanza con i veneziani ai danni dello Sforza ora temuto dalla Serenissima. Invia il suo cancelliere Giovanni della Guardia dal duca di Modena Borso d’Este e da Guido Rangoni affinché costoro facciano pressione in tal senso sui veneziani. Invia poi un proprio emissario a Venezia: viene stipulato un trattato di alleanza tra la Repubblica Ambrosiana e la Serenissima.

Dic.MilanoSforzaLombardia

Esce da Monza con Ruggero Galli (3000 cavalli e 4000 fanti);  prende la strada di Peregallo con la speranza di collegarsi con i veneziani a Monte Calco in Brianza. Si ferma a Casate; lo Sforza gli blocca l’avanzata ed assale di notte il suo campo. Resiste per qualche ora;  battuto, rientra a Monza inseguito dagli sforzeschi fin sotto le mura della città. Il ripiegamento si svolge con mirabile perizia. Il Piccinino salva dalla cattura gran parte delle sue truppe.

1450
Gen.Lombardia

L’atmosfera a Milano si fa sempre più pesante. Lascia la città per ripetere il tentativo. Si collega a Como con Bartolomeo Colleoni qui giunto con un carico di granaglie destinato alla popolazione milanese. 7 suoi capisquadra (tra i quali si segnalano Luchino Palmeri, Conticino da Carpi e Gerardo Terzi) si avvicinano allo  Sforza e lo informano sui suoi movimenti:  gli viene inviato contro per catturarlo Giacomo da Salerno con otto squadre di cavalli. Luchino Palmeri è da lui trattenuto mentre gli altri condottieri non hanno il coraggio di eseguire quanto promesso. Jacopo Piccinino è attaccato tra Barlassina e Como da Giacomo da Salerno e da Giovanni Ventimiglia: sconfigge i due capitani, conduce a Como numerosi prigionieri;   occupa l’alta Brianza.

Feb.Lombardia

Si trova a Galbiate con Sigismondo Pandolfo Malatesta; allo scopo di guadagnar tempo finge di voler defezionare nel campo nemico  con l’intermediazione di Luchino Palmeri, amico anche di Francesco  Sforza, in cambio della signoria di Piacenza. Trascorrono i giorni in trattative ed in blandizie; alla fine non si presenta all’appuntamento con lo Sforza per la ratifica del patto e fa impiccare ai merli del castello di Bosisio Parini Luchino Palmeri, indicato come traditore.

Mar.Venezia1000 lance e 500 fantiLombardia

Il conflitto ha termine con la rivolta di Milano e la chiamata nella città dello  Sforza che ne è chiamato alla signoria. Il Piccinino si incontra a Martinengo con gli ambasciatori veneziani Tommaso Duodo e Jacopo Loredan nonché con il provveditore Andrea Dandolo.  Passa al servizio dei veneziani per due anni di ferma ed uno di rispetto; gli  è concessa una condotta di 1000 lance e di 500 fanti, gli è riconosciuto uno stipendio annuo di 100000 ducati (nella realtà 90000) e gli sono anticipati a titolo di prestanza 40000 ducati. Tra le condizioni si riportano l’esenzione dei suoi uomini da qualsiasi rassegna; da parte sua si obbliga a consegnare ogni città conquistata con tutti i suoi armamenti e tutti i capitani, i condottieri, i commissari, nonché ribelli e banditi che dovessero cadere nelle sue mani; bombarde e mangani conquistati  nelle battaglie campali devono invece considerarsi come suo bottino di guerra. I  veneziani, inoltre, si impegnano a recuperare le terre da lui possedute con il padre e con il fratello nel parmense, di concedergli i beni appartenenti a Rolando Pallavicini, a riconoscergli Frugarolo nell’ alessandrino, Fidenza e Pandino che gli sono stati assegnati dalla Repubblica Ambrosiana, a proteggere nel cremonese i beni del suo cancelliere Broccardo Persico, a liberare attraverso uno scambio di prigionieri un figlio catturato dagli sforzeschi e Domenico da Pesaro, a concedergli il diritto di rappresaglia nel milanese ai danni dei sudditi dello stesso Sforza.

Nov.LombardiaPropone ai veneziani un’alleanza in chiave antisforzesca con il re di Napoli Alfonso d’Aragona.
1451
Apr.LombardiaGli viene consegnato del denaro per mettere in ordine le sue compagnie.
Mag.Lombardia e Veneto

Fa svolgere la rassegna delle sue compagnie a San Giorgio presso Montichiari; organizza anche una giostra nel corso della quale resta ferito. Nonostante ciò la notte parte segretamente dalla località e con una cavalcata notturna giunge il mattino seguente ad Isola della Scala, dove sorprende le truppe di Bartolomeo Colleoni, sospettato di volere abbandonare gli stipendi della Serenissima per quelli di Francesco Sforza. Il Colleoni riesce a sfuggire alla cattura perché in quel momento è assente dal  campo.

Nov.LombardiaBerondio dell’Acqua e Bernardo Mammarella, abitanti di Lodi, propongono a Jacopo Piccinino di consegnargli la porta della città che dà verso l’Adda e quella del ponte sul fiume. Il capitano generale della Serenissima Gentile da Leonessa, come già in un analogo progetto prospettato l’anno precedente, si oppone alla  fattibilità di tale piano. Il Piccinino allora trascina nell’ alleanza antisforzesca Guglielmo di Monferrato facendo fidanzare il proprio primogenito Niccolò (che ha circa due anni) con la figlia del marchese Giovanni.
1452
Apr.VeneziaMilanoLombardiaHa inizio il conflitto con Francesco Sforza, divenuto nel frattempo duca di Milano.
……………….Lombardia

Con lo Sforza  impegnato nel cremonese, assale il milanese e lo depreda fino ai borghi del capoluogo. Costretto a ritirarsi, attraversa l’Oglio, giunge a Pumenengo ed  a Soncino: in tale località  con un bombardamento obbliga Tristano Sforza alla resa a patti. Rilasciato il figlio del rivale con tutti gli onori,  recupera i castelli di Lodi e di Soncino.

Sett.LombardiaSorprende Alessandro Sforza tra Rivolta d’Adda e Pandino.
Ott.Lombardia

Provoca i nemici a Leno e cattura loro numerose mandrie di cavalli; batte nei pressi di Porzano Bartolomeo Colleoni e Donato del Conte.

Nov.Lombardia

Si muove tra Gottolengo ed Iseo con Tiberto Brandolini e Carlo Gonzaga alo scopo di bloccare il flusso dei rifornimenti diretto al campo nemico: assale una colonna e mette in fuga la scorta. Vi è una rapida reazione dello Sforza; è ucciso  Ettore Brandolini.  I veneziani, smarriti, incominciano a ripiegare. Compare Gentile della Leonessa che supera ogni resistenza ed obbliga gli sforzeschi a riparare nella vicina palude di Gottolengo. Jacopo Piccinino è sconfitto verso Asola; affianca Gentile della  Leonessa a Montichiari, dove i veneziani sono sfidati a battaglia campale dallo Sforza. Dopo una forte pioggia il duca di Milano è abbandonato dai suoi che non vogliono combattere; il giorno seguente il Piccinino aggredisce Calvisano con le macchine ossidionali e respinge una sortita portata da Bartolomeo Colleoni e da Donato del Conte.

Dic.Lombardia

Al campo di Ghedi con Tiberto Brandolini; sorgono alcuni tumulti  per una rivolta notturna dei saccomanni. Il suo intervento vale a sedare gli animi. Si colloca  a Lonato.

1453
Gen.Lombardia

Si accampa a Castiglione delle Stiviere con Gentile della Leonessa: incendia molti carri davanti al rivellino. I difensori del castello e della rocca sono costretti alla resa per il fuoco ed il fumo che ammorbano l’aria.

Apr.Capitano g.leLombardia

Si trova a Lonato; alla morte di Gentile della Leonessa è  raggiunto in tale località da Giacomo Antonio Marcello e da Pasquale Malipiero che gli offrono il comando delle truppe con uno stipendio annuo di 110000 ducati. La condotta gli è rinnovata dall’ ambasciatore Francesco Zorzi per un anno di ferma ed uno di rispetto. Recupera Manerbio.

Mag.Lombardia

Gli si arrendono Verolanuova, Scorzarolo, Cadegnano e Gabbiano; assale Quinzano con tre grosse bombarde ed una briccola;  ha a patti la località a seguito di un attacco di quattro ore. Messo a sacco il centro dopo quattro giorni, entra in Pontevico alla cui guardia si trovano 500 fanti: una parte dei difensori è gettata nelle acque dell’Oglio contro ogni regola di guerra. In suo potere pervengono pure Pontoglio e Robecco d’Oglio; le genti di Roberto da San Severino e di Tristano Sforza ripiegano nel mantovano. Jacopo Piccinino si preoccupa che le milizie dello  Sforza non siano rafforzate da quelle di Ludovico Gonzaga e del Brandolini (che ha disertato nel frattempo a favore degli sforzeschi). Fronteggia pertanto il primo capitano e si scontra con lui a Seniga.

Giu.Lombardia

Lo Sforza si allontana e punta su Ghedi; il Piccinino lo tallona a Porzano,  sventa alcuni agguati che gli sono tesi da Tiberto Brandolini.

Lug.Lombardia

Fa incarcerare ( e poi liberare) Enrico Matto accusato falsamente da un suo servitore siciliano: a costui è tolto l’occhio destro, gli sono troncate le narici, chiusi gli orecchi, e gli è amputata la mano destra. Supera l’Oglio con un ponte di barche ed irrompe nel cremonese; si avvicina ancora a Castiglione delle Stiviere, espugna e saccheggia la località. Decide, infine, un’azione di forza su Montirone;  fa costruire una bastia a Poncarale per alleviare la pressione dello Sforza su Brescia.

Ago.Lombardia

Francesco Sforza assale Ghedi e sorprende i suoi uomini immersi nel sonno ed ubriachi: vengono catturati 450 cavalli e molte cernite; gli avversari si impadroniscono pure  di una grossa bombarda e di 50 paia di buoi adibiti al trasporto delle artiglierie. Questa la versione dei cronisti veneti; per quelli lombardi il ruolo del Piccinino è viceversa più positivo. Si sposta da Pontevico in soccorso di Ghedi;  trova che nella località è stato preceduto da Roberto da  San Severino e da Ludovico Gonzaga; si rafforza allora presso una palude dove fa costruire argini e fossati alla difesa del suo campo. Respinge gli attacchi portati dal  San Severino, dal  Brandolini, da Donato del Conte, da Bartolomeo Quartero e da Giovanni da Varano.  Intercetta un convoglio di 100 cavalli e di 80 paia di buoi che stanno trasportando vettovaglie al campo sforzesco.

Sett.Lombardia

Il Piccinino e lo Sforza si affrontano a tutto campo: se il duca di Milano fa impiccare Mariano da San Severino per la sua defezione dal campo milanese, Jacopo Piccinino fa altrettanto con Cecco d’Etruria. Viene accettata dai veneziani una tregua nel veronese.

Ott. nov.Lombardia

E’ ancora battuto nei pressi di Ghedi a seguito di uno scontro incominciato da Carlo di Montone contro i suoi ordini; allorché con gli avversari si collegano anche le milizie di Renato d’Angiò rafforza ulteriormente le difese dei suoi alloggiamenti con fossati e terrapieni.  Si porta a Porzano e  resta  per qualche tempo passivo di fronte all’offensiva sforzesca; i suoi uomini danneggiano le proprietà di numerosi bresciani che sono costretti a rivolgersi a Venezia. Incalza gli avversari a Corticelle Pieve ed a Bagnolo Mella con cinque squadre di cavalli e 200 fanti; si scontra ad Offlaga con il San Severino;  si trova a Capriolo e sorprende a Monticelli Brusati alcune schiere sforzesche. Restano uccisi numerosi francesi e 4 uomini d’arme milanesi, vengono catturati 250 cavalli e 100 fanti. Si sposta poi a Poncarale ed a San Zeno Naviglio; a  Gussago, mentre lo  Sforza investe la Franciacorta e si impossessa di Rovato e di Rezzato. Jacopo Piccinino leva il campo nottetempo e ripiega a Brescia, nel borgo di San Giovanni, gettando gli abitanti nella disperazione. Esortato dalle autorità a muoversi, raggiunge San Zeno e la fascia pedemontana.

Dic.LombardiaDà qualche segnale di iniziativa con l’occupazione di Volta Mantovana.
1454
Gen. feb.Lombardia

Si trasferisce con 3000 cavalli e 1000 fanti nella Riviera di Salò ed a Lonato: le sue truppe saccheggiano talmente tali territori,  specie il secondo, che nel bresciano e nel veronese sono raccolte elemosine per aiutare gli abitanti di tali terre.

Mar.Lombardia

In Val di Sabbia con il provveditore Gerardo Dandolo;   sottopone il comprensorio per tre giorni ad un trattamento similare; scende la Valle del Garza, conquista Travagliato e per due giorni assedia Rovato.

Apr.LombardiaAssale ancora una volta, alla testa di 6000 uomini, Volta Mantovana. Ne ottiene la resa a patti. La guerra ha termine.
Ago.Viene stipulato un trattato di alleanza tra Milano, Venezia e Firenze. E’ proposto al Piccinino di entrare in esso come condottiero della lega fiorentino-sforzesca. Sforzeschi e fiorentini, in tal modo, cercano di imbrigliare la sua ambizione di avere un proprio stato e lo indirizzano contro Urbino, appoggiati in tale progetto anche dai da Correggio, da Tiberto  Brandolini e, soprattutto, dal signore di Rimini.  Si ritorna a parlare del suo matrimonio con la figlia di Francesco Sforza per il quale è interessato il papa Niccolò V.
Sett.Lombardia e Veneto

A Martinengo; si reca per la prima volta a Venezia con tutti i suoi condottieri ed i suoi capisquadra. E’ ricevuto nel Collegio dei Pregadi.

Ott.Veneto

Con la pace di Lodi non gli è rinnovata la ferma che dovrebbe scadere nel febbraio dell’anno seguente;  è licenziato per il comportamento tenuto recentemente dalle sue truppe  nel bresciano.

……………….Lombardia

Si ferma ad Asola. I veneziani se ne vogliono liberare e premono affinché sia condotto dal papa o che, comunque, sia arruolato con il contributo di tutti gli stati italiani per essere avviato in Albania a combattere i turchi. Il disegno fallisce.

1455
Gen.LombardiaSono intercettate alcune sue lettere al o Malatesta nelle quali lo informa di una sua possibile spedizione nel senese.
Feb. mar.Comp. venturaBolognaLombardia ed Emilia

Alla scadenza ufficiale della ferma lascia il bresciano e conduce con sé tutti i soldati senza soldo. Viene contattato dai fuoriusciti e minaccia Bologna. Negli stessi giorni il re di Napoli propone che a Jacopo Piccinino sia affidato il comando dell’ esercito crociato che il papa intende organizzare per combattere i turchi in Albania.

Apr.Emilia e Romagna

E’ ricevuto con tutti gli onori dal duca Borso d’Este nel suo palazzo di Ferrara. Nella sua marcia tocca Ravenna, Lugo ed Argenta.

Mag.Romagna

Transita nei pressi di Cotignola con 3000 cavalli e 1000 fanti; tocca San Giorgio,  è tallonato da vicino dalle milizie sforzesche e da quelle bolognesi (4000 cavalli capitanati da Corrado da Fogliano e dal San Severino) che controllano i suoi movimenti. Chiaro è il suo obiettivo di ritagliarsi uno stato personale nel centro Italia con la connivenza di alcune piccole signorie e del re di Napoli desideroso di allargare la sua sfera d’influenza. Si incontra a Forlì con Domenico Malatesta, Pino e Cecco Ordelaffi: nel forlivese la comunità locale gli fa avere tre  carri di vettovaglie (pane, vino, polli e tacchini) e foraggio per le cavalcature.

Giu.Comp. venturaSiena Chiesa MilanoRomagna Toscana e Umbria

Si dirige su Galeata, supera gli Appennini e sosta tra Sansepolcro, Anghiari e Città di Castello. Su consiglio  del re di Napoli minaccia Siena perché la repubblica ha sottoscritto la pace di Lodi non chiedendo, secondo precedenti patti, il parere del sovrano. Per Jacopo Piccinino la motivazione ufficiale consiste nella richiesta di pagamento di un vecchio debito dei senesi nei confronti del padre Niccolò (20000 ducati) oppure, secondo altre fonti, nella richiesta di un prestito di pari ammontare che gli viene rifiutato. Si reca a Bagni di Petriolo per curarsi; è qui contattato in segreto dal senese Ghino Bellanti;  riceve più lettere di pressione affinché si muova contro Siena da Giberto da Correggio (capitano generale dei potenziali avversari). In Siena la sua spedizione è vista con piacere da alcuni cittadini desiderosi di abbattere il presente governo. Il Piccinino comunica con Giberto da Correggio tramite Genesio da Parma e Paolo da Perugia; invia Silvestro da Lucino dal Correggio.  Quest’ultimo, a sua volta, utilizza Silvestro da Lucino  per contattare Everso dell’ Anguillara, Leonetto Corso e Carlo Gonzaga. Il Piccinino spedisce anche Ugolotto Zurlo da Simonetto da Castel San Pietro allo stesso scopo. Punta su Siena con la promessa di non arrecarvi danni; si impossessa al contrario di Cetona la cui rocca gli viene consegnata da Giovanni Cerasuola. Si accampa a Sarteano in attesa di  essere raggiunto dal  Correggio: vi è un voltafaccia da parte di tale condottiero che  preferisce riaffermarsi con i senesi. Sotto le mura di Sarteano  viene ferito alla coscia della gamba destra da un colpo di schioppetto. In questo frangente si offre al servizio del duca di Milano e del pontefice; i veneziani lo dichiarano loro nemico. Ritorna a Cetona; si sposta nella maremma e tenta di impadronirsi del castello di San Casciano dei Bagni. Passa per Ponte del Rigo e Sorano; si attenda a Montemerano i cui difensori si arrendono a patti; mette a sacco Manciano ed occupa Montacuto. A Magliano in Toscana gli si fanno  contro il Correggio, Carlo Gonzaga e Pietro Brunoro. I perugini lo provvedono di vettovaglie e di quant’altro necessario per il suo esercito;  gli consegnano inoltre 6000 fiorini nonostante le proteste del papa Callisto III;  anche cinque capitani perugini, quali Costantino Ranieri, Felcino degli Ermanni, Biordo Oddi, Rinaldo Montemelini e Pandolfo Baglioni si uniscono con i venturieri; pure i lucchesi gli donano 1000 fiorini e gliene danno in prestito altri 5000. Lo Sforza ed il pontefice inviano, invece, in soccorso dei senesi Giovanni Ventimiglia, il San Severino e Corrado da Fogliano con 8000 uomini (tra cui 2300 fanti).

Lug.Toscana

Entra in contatto con gli avversari a Castro sul fiume Fiore (28 squadre contro 48); coglie gli sforzeschi impreparati,  cattura subito Giovanni Ventimiglia; la sorpresa, tuttavia, non ha pieno effetto a causa del rumore provocato da  una cerva. I fanti  di Donato del Conte  con la loro resistenza permettono agli uomini d’arme di Corrado da Fogliano e del San Severino di prepararsi e di reagire. Dopo tre ore di combattimento il Piccinino deve ritirarsi con la cattura di 80  lance; 100 sono i morti d’ambo le parti; più numerose sono le cavalcature massacrate. Con il favore delle tenebre abbandona il  vicino bosco in cui si è rifugiato e si dirige su Magliano in Toscana perché anche i senesi si sono congiunti con sforzeschi e pontifici. Assale Giberto e Carlo da Correggio e cattura loro 100 cavalli. Attraversa il contado di Piombino;  a metà mese con la solita velocità di manovra (venticinque miglia in un giorno) si rifugia a Castiglione della Pescaia controllata dal 1447 dagli aragonesi. Qui Tristano di Gueralt e Giovanni Margarit gli consegnano 12000 ducati da parte del re di Napoli; dal mare giungono anche 3 galee aragonesi cariche di vettovaglie per le sue truppe.

Ago. sett.Toscana

Alla testa di 1000 cavalli opera sempre in maggiori difficoltà per le carenze nel vettovagliamento, per le diserzioni e per la malaria che falcidiano le sue file. Quando non dispone di viveri che per soli due/tre giorni  gli giungono altri soccorsi fornitigli in uomini e materiali  dagli aragonesi tramite Giovanni di Lira.  I rifornimenti sono   trasportati da alcune fuste di corsari catalani. In una sola spedizione riceve 34 cavalcature, mille lance, 12 barili di polvere da bombarda, 6 barili di polvere per schioppetto, 12 casse di verrettoni, 10 archi, 6 casse di frecce, 100 sacchi di farina. Alfonso d’Aragona gli fa ancora pressione affinché si riconcili con il papa ed accetti il soldo della lega per una spedizione in Albania al fine di contrastarvi i turchi. L’irrigidimento del pontefice e la freddezza del duca di Milano fanno sì che il progetto fallisca.

Ott.Toscana

Antonello da Forlì assale nei pressi di Castro un convoglio di duecento muli che portano vettovaglie al suo campo: Jacopo Piccinino lo attacca con 23 cavalli, recupera le prede e libera i prigionieri. Jacopo Piccinino  raggiunge via mare  Orbetello ed irrompe nella località grazie al tradimento di Luca Schiavo. Si  appropria di una notevole quantità di sale (del valore di 30000 ducati);  cede la derrata agli avversari in cambio di  viveri.

……………….Toscana

E’ assediato in Orbetello ed a Monte Argentario. Vengono segnalati al suo fianco Matteo da Capua, Ottaviano di Montefiore, Francesco da Bologna e Giovanni Piccinino. La sua situazione si fa sempre più grave; i cavalli da guerra utili per il combattimento sono solo 60. Anche tra gli assedianti la situazione non è migliore proprio per gli stessi suoi motivi (malaria e carenza sia di foraggio che di vettovaglie).

1456
Feb. mar.Toscana

Fattosi ardito, tenta di incendiare il campo pontificio: per tale atto è scomunicato  dal papa. Vivace è la reazione di Alfonso d’Aragona a favore del Piccinino.

Mag. giu.Napoli1200 cavalli e 600 fantiToscana Marche e Abruzzi

Si arriva alla pace con la mediazione del vescovo Enea Silvio Piccolomini (il futuro Pio II); restituisce ai senesi Cetona e le altre rocche da lui controllate (compresa Montacuto da lui assegnata in precedenza ad Aldobrandino Orsini) in cambio di 50000 ducati (20000 da Siena, 10000 dal re di Napoli e 20000 dal pontefice, da Firenze ed ancora da Siena) Viene condotto da Alfonso d’Aragona con 1200 cavalli e 600 fanti; si dichiara a disposizione dello stato della Chiesa per un anno promettendo che in tale periodo non avrebbe portato guerra ad alcuno dei membri appartenenti alla Lega Italica. Ratificato l’ accordo i suoi uomini restano ad Orbetello per tutta l’estate;  solo più tardi si trasferiranno ai loro alloggiamenti negli Abruzzi.  Anche Jacopo Piccinino si reca in tale area; nel suo passaggio nelle Marche, a Fermo, gli abitanti gli fanno dono di 100 ducati e di 50 some di frumento. A Chieti rinnova l’organico delle  sue compagnie.

Ott.Campania

Viene ricevuto in trionfo a Napoli dove si reca con i suoi condottieri Matteo da Capua, Ottaviano di Montefiore, Francesco da Bologna e Giovanni Piccinino. E’ segnalato a pranzo ed a caccia con  Alfonso d’Aragona.

Nov.A fine mese il papa Callisto III lo scomunica di nuovo provocando aspre reazioni nel re di Napoli.
Dic.Campania

Diventa sempre più odioso a corte per le sue continue richieste di denaro. Il papa si oppone ai suoi progetti di ottenere in vicariato Ascoli Piceno.

1457
Feb.Comp. venturaAscoli Piceno ChiesaMarche

Ai primi di febbraio 2 suoi capitani (Antonello da Forlì ed Ottaviano di Montefiore) si collegano con i fuoriusciti di Ascoli Piceno per assalire il capoluogo. Alcuni soldati ne scalano nottetempo le mura; uditi dalle sentinelle vengono respinti. Coloro che sono fatti prigionieri sono impiccati. Il Piccinino è costretto a scusarsi con il papa ed a rilevare che i due capitani hanno agito autonomamente.

Mag. giu.CampaniaSi reca a Napoli ed Capua per segnalare di persona al sovrano la precarietà della sua situazione.
Sett.

Dopo altri mesi di ozio si lascia allettare da Federico da Montefeltro per un’impresa comune contro il signore di  Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta: il che, secondo le sue aspirazioni, gli potrebbe permettere di avere un suo stato a cavallo tra la marca d’ Ancona e la Romagna.

Ott.NapoliRiminiAbruzzi  Marche  Romagna

Esce dagli Abruzzi;  ottiene il passo nelle terre dello stato della Chiesa con la  promessa di lottare  in futuro i turchi; chiede in prestito denaro alle comunità di Fermo, di Recanati e di Ancona. Pone temporaneamente le sue stanze nel fermano con 3000 cavalli e 500 fanti. Alfonso d’Aragona si impegna a versargli 65000 ducati in sei mesi, compresi i 20000 già datigli per apprestare le truppe (la prestanza); il re ordina pure a Federico da  Montefeltro di consegnare a Jacopo Piccinino tutte le terre conquistate al signore di Rimini. Con l’avvicinarsi della cattiva stagione pone le sue stanze nel cesenate.

Nov. dic.Marche

La sua ferma scade a novembre;   viene sospettato di voler interrompere il conflitto con il Malatesta al fine di scorrere nello stato della Chiesa. Viene ricondotto dagli aragonesi con una provvigione annua di 45000 ducati. Cerca di stringere d’ assedio Senigallia ed occupa con il Montefeltro vari castelli quali Reforzate, Montalbo, Isola di Fano, Casaspessa ed Esanatoglia.

1458
InvernoMarche

Colloca i propri alloggiamenti invernali a Fossombrone: il suo operato non  è del tutto lineare;  sembra cedere alle proposte avanzate da Borso d’Este e da Domenico Malatesta che cercano di accordarlo con Sigismondo Pandolfo Malatesta dietro la promessa di ricompense adeguate. Interviene Federico da Montefeltro a ricordargli gli impegni presi con il re di Napoli. A Fossombrone. Da tale località continua le devastazioni nei contadi di Rimini, Fano e Senigallia.  Intensa, come sempre, è la sua attività diplomatica che lo vede in contatto con i fiorentini, i marchesi Malaspina, i genovesi (tramite Albertino da Cividale, già cancelliere del padre Niccolò e Broccardo Persico,  ambasciatore del doge a Napoli). Altro legame è quello con il condottiero sforzesco Tiberto Brandolini, che lo informato degli umori che corrono nella corte sforzesca.

Mar.Marche

Toglie Carpegna a Ramberto Malatesta; sempre con Federico da Montefeltro assale il castello delle Fratte, San Vito sul Cesano e Sassocorvaro. Nel saccheggio di Fratte sorge una contesa tra bracceschi e feltreschi che degenera in una mischia violenta, durata un’ora, nella quale si hanno più di 100 feriti e qualche morto. Segue uno scambio di parole assai aspro fra i due condottieri che quasi porta alla rottura. Gli accampamenti sono pertanto divisi.

Apr.MarcheRiprende l’iniziativa ed arreca gravi danni ai malatestiani. Distrugge i raccolti del circondario.
Giu.A fine mese muore Alfonso d’Aragona.
Lug.Marche

Con Federico da Montefeltro vince nei pressi di Carpegna Antonello da Forlì e Marco Pio. Alla notizia che Sigismondo Pandolfo Malatesta punta a sua volta su Carpegna si congiunge ancora con il Montefeltro e costringe il rivale a levare l’assedio dalla località ed a mettersi in salvo nella rocca di Pietrarubbia. Nello stesso tempo, a metà mese, il papa Callisto III emana una bolla con la quale esclude dalla successione il figlio naturale di Alfonso d’Aragona Ferrante e revoca il regno alla Santa Sede. Il Piccinino viene contattato affinché abbandoni il soldo aragonese per accettare dai pontifici una loro condotta: rifiuta.

Ago.Comp. venturaChiesaMarche e Umbria

Alla morte del papa avvenuta ai primi del mese,  stimolato da Everso dell’ Anguillara, conclude una tregua con Sigismondo Pandolfo Malatesta, entra in Umbria e si impadronisce  di Assisi e di Bevagna: gli è consegnata la rocca di Assisi dal castellano catalano Raimondo Ferraro per 12000 ducati. Ne inizia l’ampliamento mediante la costruzione di un torrione ottagonale e la realizzazione di un corridoio di collegamento dalla rocca al maschio. Nei giorni successivi occupa Gualdo Tadino, Nocera Umbra e la Valtopina.  Non ottiene invece il controllo della rocca di Spoleto, che gli è stata promessa dai fuoriusciti, perché ingannato dal castellano Biello. Si acquartiera a Foligno. Jacopo Piccinino motiva l’aggressione con l’affermazione che quelle terre sono state promesse in vicariato al padre Niccolò dal papa Eugenio IV. Si uniscono a combatterlo il nuovo re di Napoli Ferrante d’Aragona (che pure in un primo momento lo ha spinto all’ avventura), il nuovo pontefice Pio II  e Francesco Sforza; sgombera le città in suo potere e le cede a Pio II in cambio di 30000 ducati. In questo contesto lascia Assisi solo a fine gennaio dell’anno seguente allorché riceve il denaro pattuito. Ottiene il permesso di potere proseguire la guerra contro il Malatesta. Invia nelle Marche 6 squadre agli ordini di Silvestro da Lucino e di Masio da Pisa.

Sett.

Si incontra con il principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo: sono  nel frattempo intercettati alcuni suoi messaggi al principe in cui si dichiara pronto a combattere a favore dei rivoltosi ai danni di Ferrante d’Aragona.

Ott.NapoliRiminiRomagna e Marche

Rientra in Romagna e si accampa di fronte a Tavoleto. Gli muove contro Antonello da Forlì; con Federico da Montefeltro prepara  un’imboscata verso Mondaino ed impedisce l’arrivo di soccorsi a Tavoleto. Ottenuta la resa di tale località, ne fa saccheggiare il castello; medesima sorte subiscono altre località dei dintorni. Si rovescia nel riminese e con incredibile velocità distrugge uomini, case, terre, animali, ogni cosa: 57 castelli pervengono nelle sue mani e 37 sono messi a sacco e dati alle fiamme. Si trasferisce nel Montefeltro ed ottiene a patti la rocca di Maiolo. Ciascuno dei contendenti, infine, per l’inclemenza del tempo e la fredda stagione conduce le sue genti ai campi invernali.

Dic.E’ contattato da Tommaso Tebaldi per conto di Francesco Sforza.
1459
Mar.Campania

Assolda Carlo Baglioni (400 cavalli) e Sigismondo Brandolini (altri 100). Avvia pure pratiche per condurre anche Giovanni Conti.

Apr.Luogotenente g.le 3000 cavalli e 500 fantiCampania

Si reca a Napoli a rendere omaggio al re Ferrante d’Aragona. Rimane deluso nelle sue aspettative di avere un suo stato nel regno di Napoli. E’ solo riconfermato nella carica di luogotenente generale per un anno con lo stipendio di 96000 ducati pagabili in rate mensili: con tale somma deve mantenere 3000 cavalli e 500 fanti. Negli stessi giorni il re di Napoli attua un progetto di riorganizzazione delle sue truppe, basato non più sulle compagnie di capitani indipendenti, ma su una loro dipendenza diretta (e permanente) da parte del sovrano.

Ago. sett.Comp. venturaRiminiRomagna e Marche

Accompagna Giosia Acquaviva nel suo ingresso in Teramo. Non riceve dagli aragonesi il soldo pattuito;  per di più deve accettare la pace di Mantova (senza esserne stato consultato) stipulata tra Sigismondo Pandolfo Malatesta da un lato, e Federico da Montefeltro Montefeltro con il re di Napoli dall’altro. Gli si impone la cessazione delle ostilità in Romagna senza alcun vantaggio  economico o territoriale  per volontà dello Sforza. Per rivalsa compie una scorreria nei territori malatestiani che lo porta ad agire tra Rimini, Bellaria, Santarcangelo di Romagna, Savignano sul Rubicone ove razzia numeroso bestiame grosso e minuto e fa più di 100 prigionieri  rilasciati dietro il pagamento di una forte taglia. Risale il Marecchia, devasta Macerata Feltria, Sant’Agata Feltria, Pennabilli, Certalto, Castellaccio, Monte Santa Maria, Cavoleto ed altri castelli. Firma una tregua con il Malatesta; a metà settembre ne stipula una seconda sempre con il signore di Rimini.

Ott.

Si accorda in linea di massima con Giovanni d’Angiò ai danni di Ferrante d’Aragona; nello stesso tempo sono esercitate su di lui forti pressioni dallo  Sforza (che gli promette sempre in moglie la figlia Drusiana), dal re di Napoli e dal papa affinché non dia il suo appoggio al pretendente angioino. Da parte sua Renato d’Angiò, padre di Giovanni, si impegna a dargli in moglie la figlia Bianca con una dote di 50000 ducati ed uno stato nel regno di Napoli che gli procuri una rendita di 100000 ducati. A fine mese i soldati delle sue compagnie sono invitati a riscuotere tutti i pegni lasciati in essere ed a prepararsi per una spedizione.

Nov.

Francesco Sforza, con l’appoggio di Federico da Montefeltro e del  papa, progetta la soluzione più estrema, il suo l’assassinio  in quanto è sospettata la sua propensione a favore di Giovanni d’Angiò. Il condottiero perugino è indotto ad un colloquio con Federico da Montefeltro in un luogo appartato: il convegno non ha luogo per alcuni segnali percepiti in tempo.

1460
Gen.Romagna

Continuano, tramite Borso d’Este, trattative indirette con il re di Napoli sulla base del matrimonio con la figlia dello Sforza, la signoria delle terre malatestiane date in pegno al papa a fronte della penale prescritta a  carico del signore di Rimini dalla pace di Mantova ed a uno stato nel regno. Gli aderenti della lega tardano a dargli una risposta. Il Piccinino si incontra a Bertinoro con Pino Ordelaffi che si unisce alle sue schiere;  a fine mese su sollecitazione del principe di Taranto si collega con Sigismondo Pandolfo Malatesta. Giovanni Antonio Orsini del Balzo gli invia via nave 5000 ducati che sono intercettati e sequestrati da Giovanni Antonio de Foxa.

Mar.AngiòNapoli Chiesa MilanoRomagna Marche e Abruzzi

Raduna 3000 armati a Bertinoro ed effettua la rassegna delle sue milizie a Santa Maria; lascia Cesena dove sono benedette le sue bandiere;   diffonde la voce di dirigersi verso il Casentino. Tocca invece Savignano sul Rubicone ed avvia all’avanguardia i fanti che transitano per Rimini, Gradara e Fano dove trovano alloggio, vettovaglie e foraggio per le cavalcature. 40 uomini d’arme e 2 connestabili di Sigismondo Pandolfo Malatesta si uniscono alle sue squadre. Carica a Cesenatico su una grossa galea e su altre 2 navi, noleggiate sembra dai veneziani, 3 bombarde, le munizioni ed i carriaggi suoi e quelli dei suoi capisquadra: la meta è Ortona. Attraversa  di notte il Rubicone, guada il Foglia ed il Metauro e penetra nella marca d’ Ancona. Supera  il Cesano, il Potenza, il Chienti: unica tappa, in questo tragitto che lo porta negli Abruzzi, è quella al santuario di Loreto. Federico da Montefeltro ed Alessandro Sforza, che hanno il compito di contrastarlo, si accampano  a Sassoferrato a cavaliere delle due vie per Camerino e per Loreto. Il Piccinino può così raggiungere per la strada del mare Fermo ed Ascoli Piceno, rispettato e temuto da quelle popolazioni che gli agevolano il cammino facendogli trovare anche delle spianate nei punti in cui il transito si presenta difficile; sono lasciati intatti i ponti, nonostante l’ordine del papa di abbatterli e gli sono forniti ovunque vettovaglie e foraggio. Pio II sospetta che anche il Montefeltro agevoli l’avversario con un’attività per così dire frenata per spostare il fronte di guerra dalle Marche agli Abruzzi meta del Piccinino. Dopo tre giorni di continue marce Jacopo Piccinino giunge sul Tronto: il fiume è in piena per le recenti piogge; la sua marcia viene ancora agevolata perché trova appoggio in un connestabile pontificio, Celso Saccoccia, che gli fornisce le imbarcazioni per attraversare il corso d’acqua. Negli Abruzzi gli sono consegnati 8000 ducati da Giovanni Francesco Strozzi, dopo avere impegnato a Venezia gioielli ed argenterie  donatigli in passato dagli aragonesi. Consegnato il denaro alle sue compagnie, si dirige a Colonnella. Superati tutti gli intralci, si congiunge finalmente con le truppe di Giosia Acquaviva e di Antonio Caldora, ribellatisi a loro volta al re di Napoli.  Scende alla foce del Tordino e vi si ferma per attendervi che siano scaricati dalla galea proveniente dalla Romagna i pezzi di artiglieria imbarcati in precedenza. Si impadronisce della dogana delle pecore, un’importante fonte economica per le risorse del regno di Napoli.

Apr. giu.Abruzzi

Sempre contrastato dal Montefeltro e da Alessandro Sforza pone l’assedio a Chieti, alla cui difesa si trova Matteo da Capua. In breve valica il Vomano e si impadronisce di Città Sant’Angelo, alla cui difesa si trova Giacomo Padulia (impone agli abitanti per non subire il saccheggio una taglia di 6000 ducati), di Penne e della stessa Chieti (con l’eccezione del castello). Ottiene a patti Loreto Aprutino dal marchese Francesco d’Aquino, cui impone una taglia di 4000 ducati affinché non siano depredati i suoi possedimenti (18 castelli).  Getta un ponte sul Pescara ed attende l’arrivo di Giulio Cesare da Varano con 4 squadre di cavalli.

Lug.Abruzzi Campania

A fine mese fronteggia Federico da Montefeltro ed Alessandro Sforza a San Fabiano/ San Flaviano (5000 cavalli e 3000 fanti contro 5000 cavalli e 1500 fanti). I due accampamenti sono separati dal corso del Tordino. Il Piccinino si trova in una posizione piuttosto infelice perché i suoi destrieri per abbeverarsi devono percorrere più di un miglio di cattiva strada, mentre gli avversari sono più comodamente sistemati nella pianura sottostante. Una delle discese operata da un suo capitano, lo Zaccagnino, provoca l’avanguardia sforzesca. Costui è affrontato da Marcantonio Torelli; gli uomini di Jacopo Piccinino vengono allontanati dal ruscello. Il condottiero invia in soccorso dello Zaccagnino Giulio Cesare da Varano; Alessandro Sforza spedisce sette squadre di cavalli  in soccorso del Torelli. Ha inizio la battaglia. Il Piccinino  divide il suo esercito in 3 corpi agli ordini di Silvestro da Lucino al centro, di Giovanni Conti e di Raimondo Anichino sulle ali; egli si riserva di intervenire dove vi sia più bisogno della sua presenza. Lo scontro, che dura sette ore, si svolge nelle ultime luci della sera e nelle prime ore della notte. I suoi uomini non riescono a  superare gli steccati che difendono gli accampamenti degli avversari; ordina allora a Giovanni Conti ed a Raimondo di Anichino di assalire il campo nel punto ritenuto più debole.  Interviene Federico da Montefeltro con truppe fresche ed il conte di Urbino riesce a bloccare l’avanzata dei bracceschi. Pontifici e sforzeschi si ritirano la  notte seguente  verso il Tronto a Controguerra. Jacopo Piccinino si propone di inseguire Alessandro Sforza e Federico da Montefeltro: ne viene dissuaso dall’Anichino e dai caldoreschi che temono un possibile attacco da parte di Matteo da Capua, di  Alfonso ed Ignazio d’Avalos e di Ignazio di Guevara che stazionano a Vasto. Si addentra  all’interno degli Abruzzi;  irrompe nel Sannio; ottiene Montorio nei Frentani e Calvanico che è data a sacco. Pio II si ammala; il Piccinino si collega con il principe di Taranto, Everso dell’Anguillara ed altri baroni.

Ago.Abruzzi e Lazio

Lascia il contado di Chieti; all’assedio della città rimangono Giulio Cesare da Varano ed Antonio Caldora. Si dirige su Tocco  da Casauria, entra in Caramanico Terme e da qui punta su Tagliacozzo. Si volge su Albe ove è affrontato da Napoleone Orsini. Entra in Tagliacozzo, solo il castello resiste ai suoi attacchi; toglie Avezzano all’Orsini e si impossessa di alcuni borghi fortificati controllati dal monastero di Farfa. Contatta i Colonna.

Sett.Lazio

Giunge a Cittaducale, devasta Monteleone Sabino ed ottiene anche la resa della rocca; continua la sua marcia nella Sabina avvicinandosi minacciosamente a Roma. Fa quindi avanzare a Palombara Sabina, controllata da Jacopo Savelli, le proprie truppe comandate da Silvestro da Lucino, da Deifobo dell’ Anguillara e da Antonello da Forlì; rifiuta nel contempo le offerte dello Sforza che lo incita a passare al soldo del pontefice ed a attaccare il Malatesta. Gli vengono contro  i pontifici.

Ott.Lazio

Dopo la battaglia di Sarno propone a Giovanni d’Angiò di assalire Napoli per costringere di nuovo gli avversari a battaglia campale. Fa anche pressioni sui francesi affinché assalgano direttamente il ducato di Milano. Giovanni d’Angiò rifiuta il suggerimento;   si allontana da Napoli, si separa dal principe di Taranto con cui si trova a Nola; preferisce continuare il conflitto occupando  alcune terre. Non si sente, tuttavia, abbastanza forte perché teme di essere assalito alle spalle dal  Montefeltro e dal cardinale Forteguerra. Si collega con i Colonna ed i Savelli ed avanza sino a Rieti; conduce un inutile attacco su Tivoli senza avere il coraggio di assalire Roma. Razzia bestiame e depreda varie terre della Sabina; fa prigionieri per la cui liberazione esige forti taglie. Presso Rieti pone il suo campo all’abbazia di San Vincenzo; si rifugia nella fortezza di Petrella Salto. Cerca di dividere gli avversari inviando al papa il frate Filippo da Massa con la proposta di un accordo in chiave antisforzesca. Analoga missione svolgerà il religioso, sempre con esito negativo, alla corte del re di Napoli. A fine mese si ritira negli Abruzzi.

Nov.Lazio Abruzzi e Campania

A metà novembre i suoi uomini pongono le loro tende prima al monastero di San Salvatore di Scandriglia, nei pressi di Poggio Nativo e poi a quello di San Pietro, sempre a poca distanza dalla precedente località. Incalzato dagli avversari, è spinto verso la montagna e rientra negli Abruzzi. E’ segnalato a Vasto. Si collega con Cola di Monforte ed altri capitani angioini come il principe di Rossano e duca di Sora ed il conte di Montorio Pietro Lalle dei Camponeschi. Successivamente si porta a Nocera dei Pagani; da qui irrompe nella Valle di San Severino. Nello stesso mese a Firenze Piero dei Pazzi (filoangioino) gli fa avere 400 cavalcature da utilizzare nella sua azione nel regno di Napoli. I banchieri fiorentini, che finanziano la spedizione di Giovanni d’Angiò, gli forniscono il denaro necessario per arruolare 400 cavalli.

Dic.AbruzziAlle stanze invernali di Ortona con le squadre dei francesi e le lance spezzate. Lascia Giovanni Conti e Carlo Baglioni ad Albe, Silvestro da Lucino a Palombara Sabina.
1461
Gen.Abruzzi e Campania

Con la sconfitta di Antonio Caldora  ad opera di Alessandro Sforza e di Matteo da Capua rientra nell’ aquilano. Si porta  a Gesualdo per farsi pagare la condotta da Giovanni d’Angiò; il pretendente non ha più denaro ed il principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo si trova nelle medesime condizioni (o non vuole allargare i cordoni della borsa). Si impossessa di 2 castelli nei pressi.

Feb. mag.Campania Abruzzi

Jacopo Piccinino  resta in pratica inattivo;  conduce solo qualche sporadica azione come quando mette a sacco Montorio nei Frentani difesa da 200 fanti. Sono depredate le campagne della valle di San Severino. Si sposta da Atripalda verso Somma Vesuviana; si scontra a Giuliano in Campania con gli aragonesi cui toglie i carriaggi (cattura di 400 cavalli). A marzo gli sono consegnati dal principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo 30000/40000 ducati. Ad aprile rientra  negli Abruzzi a seguito dei successi di Matteo da Capua; giunge a Loreto Aprutino,  viene fronteggiato a Penne da Matteo da Capua e da Marcantonio Torelli. Sempre nello stesso mese accoglie nel proprio campo Lucrezia d’Alagno, amante del defunto re Alfonso d’Aragona. La donna indispettita per la voce di una concessione della sua contea di Caiazzo a Roberto da San Severino si chiude inizialmente nel proprio castello di Somma Vesuviana e non vuole più comunicare con il re Ferrante. In un secondo momento decide di passare nel campo angioino come ha fatto in precedenza il fratello Mariano.

Giu.Abruzzi

Libera Loreo Aprutino dall’assedio postovi  da Matteo da Capua e da Marcantonio Torelli.  Muove contro Penne alla testa di 2500 uomini, di 3000 aquilani e di altri 1000 uomini condotti da Ruggero Accrocciamuro. Viene sfidato a battaglia dagli avversari; è respinta una sortita dei suoi uomini usciti dal borgo di Penne. Deve lasciare il  campo e ritirarsi sui monti vicini.

Lug.Abruzzi  Campania e Puglia

L’avvicinarsi di Alessandro Sforza e la mancanza di vettovaglie lo convincono a spostarsi verso la Puglia. Si incontra a Lacedonia con  Giovanni d’Angiò e Giovanni Antonio Orsini del Balzo. Ha con sé 10 squadre di cavalli e 600 fanti.

Ago. sett.Puglia

Minaccia Giovinazzo, Bitonto, Barletta e Trani nella speranza che tali città gli si arrendano per evitare guasti ed incendi. Gli si fa contro Giorgio Castriota, il famoso  Scanderbeg, accorso dall’ Albania in Puglia con 800 cavalli per favorire la causa di Ferrante d’Aragona. Il Piccinino tenta di catturare l’avversario con il pretesto di un abboccamento. Si incontra con Giorgio Castriota; nel corso del colloquio  indietreggia e dà ai suoi un segnale per catturare l’interlocutore. La presenza di spirito dell’ albanese fa fallire il progetto del condottiero braccesco, divenuto per il papa “ministro del Diavolo”.

Ott. nov.Campania

Gli sono rimessi dalla Francia, tramite banche fiorentine, 17000 ducati: della somma ne fa consegnare 5000 a Sigismondo Pandolfo  Malatesta affinché raccolga 50 uomini d’arme e 4000 fanti agli ordini del figlio  Roberto, mentre il resto dell’ammontare lo utilizza al fine di recuperare alcuni beni dati in pegno  a Venezia. Tenta invano di prestare soccorso a Gesualdo che appartiene al conte di Avellino; si accampa  a Guardia Lombardi, da dove al comando di 14 squadre di cavalleria sfida con continue incursioni l’esercito aragonese. Disertano dal suo campo 16 balestrieri e 20 fanti di Cola di Monforte, che informano gli avversari sulle cattive condizioni in cui si trovano i suoi uomini per la cronica mancanza di vettovaglie.

Dic.CampaniaSi allontana da Guardia Lombardi. Con lunghe marce si avvia ai quartieri invernali.
1462
Gen. apr.Basilicata e Puglia

Mentre è fermo a Genzano di Lucania viene raggiunto da Bassanino da Lodi che, a nome dei da Correggio, gli promette la consegna di Parma in occasione della morte dello Sforza. Messaggi similari riceve per Piacenza (da Gabriello Chiapponi) e da Fiorenzuola d’Arda. Non può muoversi a causa di una tempesta di neve che procura gravi danni agli organici delle sue compagnie. Rimane in Basilicata, conquista e mette a sacco Venosa; in Puglia desola alcune località del barlettano appartenenti ai della Marra; assedia Giovinazzo con il principe di Taranto e con un intenso bombardamento spinge alla resa i difensori. Con l’Angiò assedia Trani che dispone di pochissime vettovaglie. Numerosi sono pure gli scontri con lo Scanderbeg.

Mag.Puglia

A fine mese entra in Trani (che si arrende a patti),  minaccia Barletta allo scopo di attaccarvi lo Scanderbeg. Il capitano di Trani, Giovanni Antonio de Foxa, si rinchiude nel castello ed inizia a patteggiare per la resa: lo Scanderbeg  previene tale intenzione, raggiunge le vicinanze di Trani, chiama a sé il de Foxa, lo cattura e si fa consegnare il castello. Il Piccinino assedia più strettamente la fortezza;  dal mare le sue galee attuano una sorta di blocco navale. L’intervento della flotta veneziana, che si trova nei paraggi, si rivela ostile ai provenzali perché la Serenissima non vuole nell’ Adriatico la presenza di navi da guerra diverse da quelle sue. Vengono in tal modo deluse le aspettative del condottiero perugino;  navi aragonesi sono  in grado  di sbarcare i propri carichi e di approvvigionare il castello di Trani.

Giu. lug.Puglia

Devasta il territorio di Barletta; stipulata una tregua locale, stringe d’assedio con l’Orsini del Balzo Andria;  incomincia a bombardare la località. Con la resa del duca d’Andria il centro è messo a sacco. Si colloca sotto Canosa di Puglia in cui assedia il conte di Gravina Francesco Orsini; con l’arrivo ad Accadia di Ferrante d’Aragona concorda una tregua, la rompe ed abbandona la località con tutto il bestiame razziato. Guada l’Ofanto, lascia Torricella, avanza sino nei pressi di Macchia Focaccia (Masseria la Macchia) e si attenda vicino ad Accadia.

Ago.Puglia

Accadia cede agli aragonesi che assediano ora Orsara di Puglia. Jacopo Piccinino si porta in soccorso di tale castello, attraversa il contado di Ascoli Satriano e si ferma di fronte alle mura di Troia con l’Angiò, Giovanni Cossa, Giulio Antonio Acquaviva ed Ercole d’Este. Antonio Piccolomini e Roberto Orsini salgono la vicina collina. Il Piccinino vi invia  fanti e cavalli che ricacciano i nemici nella pianura. E’ contrattaccato da Alessandro Sforza e da Giovanni Conti (che ora milita per gli aragonesi) che salgono con le loro schiere sulla stessa collina da un altro versante. I suoi 1200 fanti si danno alla fuga per non essere assaliti alle spalle; il condottiero si schiera con l’Angiò sulle rive di un canale, il Sannoro: il re di Napoli ed Alessandro Sforza lo superano   e possono assalire il Piccinino sui due fianchi. Il centro cede ed il capitano perugino ripara dietro un fossato; Alessandro Sforza scompiglia le file dei suoi uomini, cosicché i bracceschi sono obbligati ad abbandonare anche questa posizione ed a risalire in fretta la collina da dove sono in grado di frenare l’impeto degli avversari. Il re di Napoli opera una mossa diversiva verso una seconda altura difesa dal principe di Taranto; le  truppe del Piccinino si accorgono che gli assalti ora provengono da più lati per cui scelgono di  rifugiarsi in Troia. Ai nemici pervengono 1000 cavalcature e tutti i bagagli; il Piccinino non si dà tuttavia per vinto, raduna gli sbandati ed opera un nuovo attacco con il quale recupera una parte del bottino e libera molti dei suoi uomini fatti prigionieri in precedenza. Nel pieno della notte lascia Troia con l’Angiò e 400 cavalli per non rimanervi assediato; ripara ad Ascoli Satriano ed a Trani.

Sett.Puglia

A Trani ha un consiglio di guerra con Giovanni d’Angiò e Sigismondo Pandolfo Malatesta giunto in Puglia. Respinge  un nuovo tentativo di Alessandro Sforza volto a soccorrere il castello cittadino. Il principe di Taranto conclude una pace separata con il re di Napoli;  l’Angiò ed il Piccinino lasciano Trani per portarsi a Venosa ed a Lucera. Alla ricerca di rinforzi invia Silvestro da Lucino in Romagna per raccogliere nuove truppe: sono assoldati Niccolò d’Este, figlio del duca Leonello, Pino Ordelaffi, signore di Forlì, e Giovanni Francesco della Mirandola.

Ott. nov.Puglia Abruzzi, Molise e Lazio

Si imbarca a Manfredonia per gli Abruzzi: è senza uomini e senza mezzi. Ripara nelle terre di Giulio Antonio Aquaviva e di Ristagno Cantelmi; è segnalato a Vasto, a Termoli, ad Archi (incontro con Antonio Caldora). Occupa  Ceprano nella Campagna; rientra negli Abruzzi e staziona nei pressi di Celano. Si accorda con Ruggero Accrocciamuro e si impadronisce di vari castelli quali Gagliano Aterno e Trasacco. E’ catturata nel castello di Gagliano, dopo tre giorni di assedio,  la contessa di Celano Giovanna Cossa, figlia di Giovanni e vedova di Lionello Accrocciamuro; castelli e rocche sono consegnati a Ruggero Accrocciamuro. Il Piccinino si appropria invece di gioielli, di suppellettili varie e di una grande quantità di lana per un valore di 80000 ducati. La contessa di Celano per essere liberata  deve riconoscergli  una taglia di 12000 ducati.

Dic.Abruzzi e CampaniaOccupa alcuni castelli nei territori di Tagliacozzo e di Albe. Cavalca a Sessa Aurunca per impedire agli avversari di occupare Pontelatone.
1463
Gen.  mar.Abruzzi

Con il denaro ricavato nella scorreria a Celano può ricostruire un nuovo esercito con il quale assedia Sulmona. Si accampa a Santo Spirito; occupa tutti i passi e chiude ogni via di accesso alla località; fa  tagliare viti ed alberi e porta il guasto sino alle porte cittadine. Lo assistono in tale azione Antonio Caldora, il conte di Montorio Pietro Lalle dei Camponeschi, il duca di Sora Giovanpaolo Cantelmi, il principe di Rossano e duca di Sessa Marino di Marzano, il conte di Sermoneta Onorato Gaetani, Deifobo dell’ Anguillara e Giovanni d’Angiò. Un disertore gli  indica la strada per la quale giungono i rifornimenti agli assediati: mette i suoi soldati in agguato nei luoghi indicati e costoro catturano molti cittadini e 40 soldati di Roberto Orsini carichi di frumento: numerosi prigionieri sono impiccati. Sulmona cade a marzo: gli sono consegnati dagli abitanti 5000 ducati per non sottoporre la località a saccheggio.

Mag.Abruzzi e PugliaSi sposta verso Lanciano. Assedia Chieti. A fine mese si accampa a San Bono. Contrasta le scorrerie degli aragonesi che da Lesina puntano su San Severo, ribellatasi agli aragonesi.
Giu.Campania e Lazio

Muove contro i nemici che assediano Pontelatone, un castello del duca di Sessa e principe di Rossano: gli avversari devono ritirarsi a Capua dopo averlo provocato a battaglia. Si sposta quindi verso Sora assediata da Napoleone Orsini;  vi è sconfitto nei pressi da Roberto Orsini e da Matteo da Capua con la perdita di 3 squadre di cavalli.

Lug.  ago.Abruzzie Molise

Nelle vicinanze di Ortona. Alessandro Sforza  avanza verso gli Abruzzi con diciotto squadre di cavalli; il Piccinino cerca inutilmente di sbarrargli il passo;  si accampa con i Caldora ad Archi alla testa di dieci squadre di cavalli. E’ sempre più in gravi difficoltà. Alessandro Sforza lo provoca senza esito a battaglia; egli si allontana nel cuore della notte. Ad agosto chiede un colloquio allo Sforza. Questo  si svolge nella tenda del capitano aragonese;  l’accordo viene raggiunto all’ oscuro sia del re di Napoli che di Giovanni d’Angiò. Sono così poste le premesse per il  passaggio del Jacopo Piccinino nelle file aragonesi alle seguenti condizioni: il capitanato generale per un anno, la carica di viceré degli Abruzzi,  uno stipendio annuo di 90000 ducati (di cui un terzo a carico degli aragonesi, un terzo del pontefice ed un terzo del duca di Milano), una condotta di 3000 cavalli e di 500 fanti per un anno di ferma  ed uno di beneplacito, il pagamento degli stipendi arretrati (a rate di 10000 ducati l’anno), il matrimonio con Drusiana Sforza figlia di Francesco (con dote di 25000 ducati) e, da ultimo, la restituzione dei feudi paterni in Lombardia per un controvalore di 65000 ducati. Nel trattato gli sono confermate le città e le terre  controllate dal Piccinino negli Abruzzi quali Sulmona, Caramanico Terme, Penne, Chieti, Bucchianico, Villamarina, Francavilla al Mare, Guardiagrele, Atessa, Torino di Sangro, Città Sant’Angelo e Brocardo; gli è pure data facoltà di invadere le terre di Cola di Monforte. Consegna in ostaggio i figli Giacomo ed Angelo. Al suo collaboratore Broccardo Persico  sono promesse la carica di cancelliere del regno di Napoli e la città di Vieste in Puglia.

Sett.NapoliAngiòLe trattative vanno a buon fine. La sua presenza nel campo aragonese induce Giovanni d’Angiò ad abbandonare il regno di Napoli.
Nov.AbruzziAncora non gli sono state consegnate Francavilla al Mare e Caramanico in quanto tali località rifiutano la sua giurisdizione. Non è riuscito neppure incassare la prima rata delle paghe che gli sono state promesse. Da parte sua esercita forti pressioni su Francesco d’Ortona affinché si arrenda agli aragonesi.
1464
Feb.AbruzziA Sulmona. Si lamenta sempre per il ritardo delle paghe.
Mag.Abruzzi Umbria

Incomincia a temere le insidie di Ferrante d’Aragona che, contro i patti firmati, ha fatto catturare Marino di Marzano;  si propone a Francesco Sforza cui chiede di potere sposare la figlia Drusiana. Gli sono consegnati 20000/30000 ducati dal grande cancelliere del regno Broccardo Persico; non gli è invece consegnata Caramanico (peraltro concessa a suo tempo dal re di Napoli a Matteo da Capua).

Giu. lug.Emilia

Muore di malaria a Capestrano il figlio primogenito Niccolò. Superato il dolore, a fine mese decide di lasciare Sulmona e di partire per Milano senza avvertire il re di Napoli e senza una compagnia di scorta. Lascia come suo vice, alla guardia di Sulmona Tommaso Tebaldi (inviatogli in precedenza dal duca di Milano con Giovanni Caimi). Prende la strada per L’Aquila e si dirige verso Perugia e Firenze. Si incontra a Spello ed a Perugia con Braccio Baglioni (nella città è ospitato da Giovanni da Sesto): i priori del capoluogo ordinano la spesa di 650 fiorini per rendergli omaggio. Ferrante d’Aragona lo richiama invano con nuove offerte. A Careggi ha un colloquio con Cosimo dei Medici. Transita per Bologna, accompagnato da molti condottieri (Giovan Francesco della Mirandola, Carlo Baglioni, il conte di Monteodorisio, Broccardo Persico, Francesco da Ortona) per un totale di 200 cavalli e 60 fanti. In quest’ultima città è alloggiato nel palazzo di Giovanni Bentivoglio. Prosegue il suo viaggio per San Giovanni in Persiceto, Crevalcore, Mirandola, Modena, Reggio Emilia (dove si incontra con Ercole d’Este e si unisce al suo corteo Cola di Monforte), Parma e Piacenza. Nascono alcune perplessità per il suo arrivo a Milano perché alcuni membri della sua comitiva si sono ammalati di peste durante il viaggio.

Ago. ott.Emilia e Lombardia

Si incontra a Piacenza con Francesco Sforza: è accolto da 100000 persone; nella città viene ospitato con il suo seguito nel palazzo di Gabriello Chiapponi. Sempre negli stessi giorni entra in Borgonovo Val Tidone dove cena con il futuro cognato Sforza Sforza liberato dal padre dal carcere proprio per il suo arrivo. Prosegue il suo viaggio  verso Castel San Giovanni e Pavia. A Binasco lo aspettano Tristano Sforza, Corrado da Fogliano, Costanzo Sforza, Galeazzo Maria Sforza e molti nobili della corte ducale. A metà mese è celebrato a Milano il suo matrimonio con Drusiana Sforza, che gli porta in dote 25000 ducati di cui subito gliene viene  consegnata la metà; da parte sua regala alla moglie una collana d’oro con un piccolo globo, ventidue diamanti ed altrettanti rubini. A settembre è occupato in varie feste con il cognato Galeazzo Maria Sforza a Monza ed a Pavia, dove trascorre la luna di miele nel castello ducale in compagnia della duchessa Bianca Maria Visconti moglie di Francesco Sforza. Prende parte ad una cerimonia come il battesimo di una figlia di Francesco da Landriano nella cappella di San Gottardo. Ad ottobre la duchessa Bianca Maria Visconti organizza in suo onore una partita di caccia nel parco di Pavia. Sempre negli stessi giorni invia a Napoli Boccardo Persico per trattare il pagamento degli stipendi scaduti e fissare i termini della  nuova condotta con gli aragonesi: un anno di ferma ed uno di beneplacito, provvigione di 70000 ducati in tempo di pace più altri 500 derivanti dalle entrate delle terre in suo possesso. In tempo di guerra è prevista una provvigione di 90000 ducati. Degli stipendi scaduti gli sono assicurati 12000 ducati, più altri 35000 da pagarsi in un anno. Gli è garantito il possesso di Caramanico e di altre località già controllate da Cola di Monforte.

Nov.Lombardia Emilia e RomagnaLa congiura tra il re di Napoli e Francesco Sforza ai suoi danni prende forma in questo mese; ne sono artefici da un lato Antonio Cicinello, ambasciatore regio nella capitale lombarda, e Cicco Simonetta, cancelliere dello Sforza dall’ altro. Jacopo Piccinino ne è avvisato da vari segnali e messaggi segreti;  questa volta crede davvero nelle buone intenzioni del suocero. Antonio Cicinello con l’appoggio dello  Sforza lo persuade a rientrare a Napoli dietro la promessa di essere eletto viceré degli Abruzzi e di potere incassare 20000 ducati a saldo delle spettanze scadute. Il Piccinino lascia Milano accompagnato da Pietro Pusterla e da altri 24 gentiluomini sotto una pioggia battente. Nel suo viaggio tocca Lodi, Pizzighettone, Cremona, Casalmaggiore, Correggio (dove è ospitato da Manfredo da Correggio), Brescello, Mirandola (ospite di Giovanni Francesco della Mirandola), Finale Emilia (incontro con Borso d’Este), Parma (incontro con Angelo di San Vitale), Ferrara, Argenta (dove si accomiata dal duca di Modena) e Cesena (Domenico Malatesta). Sia l’Este che Domenico Malatesta lo mettono in guardia nei confronti del re di Napoli.
1465
……………..Marche Abruzzi e CampaniaAttraversa le Marche; transita per Ripatransone e giunge a Sulmona dove giunge anche la moglie incinta. La lascia a Sulmona e riprende il viaggio  in compagnia  di Pietro Pusterla. A Francavilla al Mare viene accolto trionfalmente (gli abitanti gli vanno incontro con croci e palme in mano). A cinque miglia da Venafro è atteso da Federico d’Aragona figlio di Ferrante; ad Aversa cena con il conte di Fondi e con Roberto Orsini.
Giu.Campania

Ai primi del mese ad un miglio da Napoli, lo attende Giovanni d’Aragona, altro figlio del re, con un ampio seguito di baroni;  a mezzo miglio viene accolto con tutti gli onori da Ferrante d’Aragona nella chiesa di San Giuliano (oggi una cappella a Capodichino). Il sovrano si scopre il capo, lo abbraccia e lo accompagna fino alla casa che gli è stata preparata. E’ festeggiato senza interruzioni per ventisette giorni; è nominato viceré degli Abruzzi, gli viene assegnato uno stipendio annuo di 25000 ducati, gli è promessa la rocca di Caramanico. Contemporaneamente negli stessi giorni Ferrante d’Aragona dà ordine ad Alfonso d’Avalos di disperdere le sue truppe stanziate negli Abruzzi. Il Piccinino si incontra spesso con  il re,  gli oratori sforzeschi,  con Luigi Guicciardini e Pandolfo Pandolfini, oratori di Firenze e sue vecchie conoscenze. Il sovrano entra talmente in confidenza con lui da  domandargli del denaro in prestito in cambio di qualche feudo. Il condottiero effettua un sopralluogo ad Ischia, sede del corsaro catalano Johan Torrelles. A fine mese  chiede udienza per rientrare a Sulmoma; viene convocato con un pretesto in Castelnuovo; si abbraccia con Ferrante d’Aragona che, dopo un breve colloquio, lo lascia solo con il suo segretario con la scusa di dovere leggere alcuni messaggi giuntigli dalla Francia. All’ uscita il Piccinino è arrestato da una compagnia di arcieri con il figlio Francesco e Broccardo Persico. Sono tutti rinchiusi nella stessa fortezza, la Fossa del Miglio. Le milizie aragonesi occupano Sulmona e svaligiano i suoi uomini. Solo alcuni  con Silvestro di Lucino trovano scampo a Cesena. Il voltafaccia trova spiegazione in due fatti concomitanti quali il matrimonio di Ippolita Sforza, figlia di Francesco, con un figlio del re di Napoli ed una vittoria navale degli aragonesi sugli angioini.

Lug.Campania

Jacopo Piccinino, dopo essere stato torturato affinché confessi una collaborazione con gli angioini che ne giustifichi la cattura, viene strangolato in carcere da uno schiavo moresco. Ferrante d’Aragona farà circolare una copia di una presunta lettera del condottiero al Torrelles con la quale esorta il corsaro catalano a resistere fino all’arrivo della flotta provenzale. Il sovrano fa pure circolare la notizia (quando il condottiero è già defunto da cinque giorni) che la sua morte sia dovuta ad una caduta da un’alta finestra mentre sta cercando di vedere le navi aragonesi che entrano in porto dopo la conquista di Ischia ai danni del Torrelles. Il re non è creduto da nessuno: a Milano si fanno pitture infamanti ai suoi danni il re di Napoli  si lamenta con Francesco Sforza cui chiede di scovare e punire gli autori di tali opere. Si sparge subito la voce popolare che deus ex machina della  eliminazione del Piccinino sia stato lo stesso Francesco Sforza per potersi liberare del pericoloso genero. La versione è confermata da testimoni dei fatti e dalle lamentele della figlia Drusiana che, più tardi, accuserà il padre del delitto. La moglie del Piccinino   alla notizia della cattura del marito si farà ospitare a Teramo dallo zio Alessandro Sforza; ancora nel successivo settembre non sa nulla della morte di Jacopo ed esorta il padre a farlo liberare. Jacopo Piccinino è sepolto a Napoli. La sua morte è  oggetto dell tragedia scritta da Laudisio da Vezzano “De captivitate comitis Jacobi”; Cambino Aretino compone una “Canzone in morte del conte Jacopo Piccinino”; amico di Lorenzo Spirito che lo ricorda in “Altro Marte” ed in “Lamento di Perugia soggiogata”. Il suo stemma raffigura un toro rampante.

 CITAZIONI

-“Fin troppo dotato di agile e bella composizione di membra, e di subito e forte ingegno; in qualche parte si mostrò inferiore del padre, in tutto dappiù del fratello, che di pingue natura, prodigo del proprio e dell’altrui, era sovente maestro di crapula e di rapina ai soldati. La miserabile morte del Piccinino..segnò il punto della totale sovversione della scuola braccesca. Infatti, giusto un ordine già prima dato dal re, tutte le sue schiere vennero inopinatamente svaligiate e disperse.” RICOTTI

-“Il Piccinino era ancora un uomo d’arme del vecchio tipo, di quelli che avevano avuto fortuna tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400, quando spargevano il terrore nelle popolazioni e lo spavento nei Signori, che finivano con l’essere in loro balia. Ma verso il 1450 la situazione era profondamente mutata ed una maggiore stabilità delle Signorie rendeva impossibile che si compissero imprese sotto il segno dell’audacia e della violenza. Lo Sforza era stato l’ultimo condottiero che era riuscito a conquistarsi un dominio, ma egli univa alla “virtù” militare notevoli qualità di uomo politico, mentre il Piccinino era un rozzo soldato, del tutto incapace di concepire e di tradurre in pratica fini e sottili arti politiche.” CATALANO

-“Costu’ aiuto e consiglio/ Dell’Italia vedovella.” Da una canzone di Anonimo, composta per la morte del condottiero, riportata dal FABRETTI

-“Uno son io onor della ma terra/Illustre conte Jacomo chiamato,/Favor della mia patria in ogni guerra,/ E da un altro Marte generato:/L’animo eccelso mio viltà non serra,/Chi m’ha con seco è bene accompagnato/Osservator di fede a cui prometto,/E di combatter solo è il mio diletto.” Da un epitaffio del Matarazzo, riportato da FABRETTI, sotto il suo ritratto un tempo esistente nel palazzo di Braccio Baglioni

-“Duce celebre nelle armi e noto per le sue sventure…Simile al padre nella piccolezza del corpo; rosso di capello; piacevole del viso; avido di gloria, di potenza, di guadagno; paziente nelle fatiche; audace e intrepido nelle battaglie; accorto ne’ consigli. Colla sua morte si sciolse l’armata braccesca che per tanti anni aveva fatto suonar alto il nome dei Fortebracci, dei Piccinini e de’ giovani italiani, combattenti con tanto valore ne’ campi d’Italia, nelle espugnazioni delle città, negli assalti, – più d’una fiata crudeli, ministri di cittadine vendette, di morti. – Pari al conte Iacopo Piccinino da Perugia non erano allora duci in Italia.” FABRETTI 

-“Costui per virtù di corpo, e d’animo avanzava il fratello.” CORIO

-“Personaggio, che dopo Francesco Sforza era in questi tempi il più prode, attivo, ed accorto Condottiere d’armi..Abbiamo Scrittori.. che esaltano alle stelle questo Piccinino, chiamandolo specialmente Fulmine della guerra. Né può già mettersi in dubbio, che egli fosse uno de’ più prodi guerrieri e Condottieri d’armi, che si avesse allora l’Italia; ma vero è altresì, ch’egli fu poco diverso da i Capitani delle Compagnie de’ Masnadieri, da noi vedute nel precedente Secolo. Viveva egli alle spese di chi non era suddito suo, e si guadagnava l’amore de’ soldati suoi, con dare l’impunità a tutte le ruberie e furfanterie, e a qualsivoglia altro loro eccesso.” MURATORI

-“Capitano di molto valore.” BELTRANO

-“Era nominato principale capitaneo de tuti li Cristiani, et era quello che facea tremare suo movere tuta la Italia.” DIARIO FERRARESE

-“Costui per virtù di corpo e d’animo avanzava il fratello, perché Francesco era di debole corpo e d’animo pigro, ma di cattiva natura, ma molto liberale. Iacopo per l’opposto era avaro…Era in questo Capitano una cupidità ardentissima di signoreggiare. ” SIMONETTA

-“Capitano tra Bracceschi d’animo e d’ingegno pronto, per molti valorosi fatti eccellenti.” Da un discorso di C. Landino, riportato dal SANSOVINO

-“Capitano di somma autorità ne suoi tempi.” EGNAZIO

-“Huomo veramente di virtù di guerra pari a Nicolò Picinino suo padre, e da essere d’animo paragonato a Braccio, s’egli già per la sua gran bravura e felicità d’imprese, quasi spaventevole a tutti, e sempre auttore di turbar la pace, consumate in danno suo tutte l’amicitie, non s’havesse affrettata la morte.” GIOVIO

-“Era tenuto lealissimo capitano e fidatissimo, che mai avea fatta fraude né tradimento alcuno.” RINUCCINI

-Con il Carmagnola “Egregii sua aetate duces expectaverant.” BEAUCAIRE

-“Paterni nominis gloria, et rebus gestis claris, florente aetate juvenis, consilio vero et animi indole egregius.” BRACCIOLINI

-“Unus per ea tempora maxime ex omnibus Italiae Ducibus clarus habitus.” F. CONTARINI

-“Praeter paterni nominis gloriam in armis late clarus.” FACIO

-“Giovane bellicoso e feroce.” SPINO

-“Prode guerriero, ma educato a vivere come i capitani di ventura.” BALAN

-“Ducis olim clarissimi.” SABELLICO

-“Illud belli (contro i veneziani) fulmen..Capitaneus armorum praestantissimus.” RIPALTA

-“Pianga el grande e ‘l piccolino/ De Bracceschi  ogni soldato,/ Poich’ é morto il nominato/ Conte Jacom Piccinino./ Piangi ancor casa braccesca,/ Piangi donna del Grifone (Perugia);/ Non c’è più chi fama accresca/Oggimai di tua nazione:/ Poich’é  morto el gran campione/Capitano e sommo Duce,/ Specchio al Mondo quale luce/Di ogni franco Paladino./…/Piange Italia e tutto il mondo/Sol per questo fallimento,/Poi ch’è stato messo al fondo/Un tal uomo d’ardimento/Per falso ordinamento.” Da una canzone in morte del conte Jacopo Piccinino riportata dal VERMIGLIOLI

-Con Francesco Piccinino e Bartolomeo Colleoni “Tutti e tre capitani valentissimi.” A-VALLE

-Con Francesco Piccinino “Well-known condottieri.” TREASE

-“Illustre Capitano di gente d’arme.” DE RAIMO

-“Incendit animum meum divina virtus, fides, vitae modestia, auctoritas et incredibilis animi praestantia Scipionis Jacobi Picinini..Hunc Martis filium, imperatorum decus, et in caeteribus rebus patri assimilem dixerim; literis vero superiorem.” PORCELLIO

-“Condottiero feroce, infido, avaro, venale, sprezzatore d’Iddio e degli uomini.” UGOLINI

-“Valoroso Capitano..Uomo ambiziosissimo e avidissimo di denaro, altro pensiero non aveva, che d’acquistarsi uno stato in qualunque modo gli potesse venir fatto.” REPOSATI

-“Celebre Capitano di ventura.” RICCA

-“…e poi quel altro ardito/ che al remirarlo è quasi gran dilecto,/ el qual ancor se morde e stringe el dito/ per sdegno et ira, ma cagion se n’hebbe/ d’ogni suo male e del suo ardir finito,/ egli è quel conte Jacomo, che alto crebbe,/ ma se prudente ancor più stato fosse,/ o quanto vie magiur stato sarebbe!” SANTI

-“Nostra tempestate clarissimum Imperatorem.” ALBINO

-Con Ercole d’Este “Qui passoient pour les deux plus fameux Capitaines d’Italie.” VARILLAS

-“Era veramente di quelli che, rizzando una bandiera, potevano mettere insieme un esercito pericoloso.” VILLARI

-“Dove si vide mai nel secol nostro/ fra la milizia excelsa e signorile/ Un uomo tanto virile/ Eguale al possessor della Tarpea!/…/ O maligne, perverse e genti false,/ Siete contente? or mancavi più nulla/ A fare Italia brulla/ D’un venerando, degno e santo sole/ Che trionfa ora in ciel con l’altre prole./…/ Signor mio caro, vedrotti mai in sella/ Metterti in sulle braccia e la fortuna/ E seguir il favor de la tua stella?/ Vedi il gran Giove che teco s’innuma/ Le donne e fantolin gridano omei/ Di quel per cui portiam la veste bruna/…/O santo, casto e pudico agnellino,/Come mai ti fidasti d’uno strupo/Andaste in bocca al lupo,/Che mai altro disegno al mondo fece/Se non unirti con la crudel nece/…Canzon, cerca l’Italia in ogni parte/O civili o armiger che si sia/E senza fellonia/Farsi querela delle cose conte:/Poi t’inginocchia al mio leggiadro Conte/E digli con parlar saldo e verace:/Che il perder tempo a chi più l’ha più spiace.” Cambino Aretino, “Canzone in morte di Iacopo Piccinino” riportata da FABRETTI

-“Grande condottiero.” HALE                                                  

-“Ortus in Perusiae humili loco, Bracci ejus aetatis clarissimi ducis disciplina tantum proferit, ut militari laude magistrum vel aequarit, vel vicerit. Ingens, illi animus, et ad pericula audax: et in exiguo corpore magnae virtutes. Excipere hostem, aggredi, certare acie, militis ducisque strenue munia obire, nec arte minus quam virem gerere. Magnorum principum regnumque ac rerum publicarum armis praefuit. Saepius victor, interdum etiam communi belli marte victus ceptusque. Fortuna illum aliquando, virtus numquam destituit.” BEVERINI

-“Egli era di tanta auttorità nelle cose di guerra.” CRISPOLTI

-“Valoroso condottier de’ Milanesi.” G. ROVELLI

-“Saggio Comandante.” TENTORI

-“….di perpetua/ l’eterne tuoi virtute, o Picinino,/ che per grandeçça d’arme non ay pure./ …/ In questo tempo io viddi al nostro Marte/ potente conte Iacomo far cose/ che più diverse fuoro che umana arte.” Lorenzo Spirito riportato da FABRETTI

-“Grande capitano di ventura.” PAGNANI

-“Huomo di grande animo.” BROGLIO

-“Il quale se era un capitano più valente del fratello era di carattere ancor più incostante. Rassomigliava al padre per la piccolezza del corpo. Aveva i capelli rossi ed il viso piacente. Dopo Francesco Sforza fu il condottiero più reputato del secolo XV, e fu sempre il capo della parte braccesca, che tanto si distinse per l’impetuosità nel condurre la guerra..Dominatore e crudele, e si macchiò dei vizi del suo secolo. Come il padre era turbolento, dinamico, inesauribile.” BIGNAMI

-“Famoso capitano di ventura.” L. CAPPELLETTI

-La sua uccisione a Napoli “Et interim il Conte Jacopo entrò in Napoli, al quale fu fatto per quel Re degli onori, che fecero i Giudei al Nostro Signore Gesù Cristo la Domenica d’Ulivo e poi il presero e il misero in croce. Così fece quel Re.” DA SOLDO

-“L’immagine che restò, del condottiero in cerca di uno stato per sé, era incompleta, non falsa..La singolarità della figura del conte Jacopo sta nel fatto che egli non era parte o incarnazione di un’opposizione locale al potere centralizzatore che cercava di soverchiarlo. Al contrario, egli poteva muovere una rete di alleanze che si estendeva a gran parte della penisola, fondata in ogni luogo sull’appoggio di forze politiche che localmente stavano conducendo una battaglia, più o meno ambigua, contro l’avanzare delle pretese degli stati, chiedendo, quando era il caso, il suo aiuto militare…l ruolo di Jacopo Piccinino fu quello di saldare la compagnia con un sistema di alleanze diventato coerente perché opposto alla Lega Italica e in regioni (quella sforzesca, quella medicea, quella pontificia, quella aragonese)che essa più contribuiva a rinsaldare. In quanto ultima compagnia transregionale, girovaga perchè non legata ad alcuno stato, i bracceschi erano diventati collettori naturali dei progetti eversivi ribollenti in tutta la penisola nel primo decennio di vigore della Lega.” FERENTE

-“Era questo cavaliero di statura piccola, come dice Giovanni Simonetta, assomigliandolo al padre, di pel rosso affocato, di faccia grata, avido della gloria e dell’honore, di poche lettere, sicome erano gli altri soldati di quei tempi, paziente d’ogni fatica, amator de’ soldati. E quantunque il detto Simonetta lo tassi per parco e per avaro, a men non par da credere che fosse tale, havendo egli di continovo tanto seguito di soldati quanto havea, le quali cose, come ogniuno può ragionevolmente giudicare, non istanno mai bene insieme. Fu audace et intrepido in ogni pericolo et avido del dominare e di cervello inquieto, ingegnoso e prudente..sicome al padre ancora avvenne, non l’havesse alquanto fatto parere, come nella sua fine si dimostra, il contrario.” G.G. ROSSI

-“When Jacopo Piccinino died in 1465, there were widespread expressions of grief over the “lacrimata morte” of this heroic but unfortunate condottiere. Chronicles shamed the Duke of Milan, writing he had hand the leader “mandato alla beccheria” and this voicing rumours of a scandal rhat was portrayed as endemic. The humanist poet Laudisio da Vezzano drew inspiration from the event to write his Latin tragedy “De captivitate comitis Jacobi.” BALESTRACCI

-“Era famoso uomo di guerra; di coraggio arrischiato; di pensieri come di opere sollecito; era capitano di ventura, perché in quel tempo così chiamavansi coloro che vendevano il sangue italiano.” TOMACELLI CAPECE

-“Uno storico (Porcellio), nello scriverne la vita, lo  chiamerà “Jacopo Scipione”, tanto gli pareva che incarnasse i grandi capitani della più illustre famiglia, politica e guerriera di Roma antica.” PORTIGLIOTTI 

BIOGRAFIE SPECIFICHE

-S. Ferente. la sfortuna di Jacopo Piccinino. Storia dei bracceschi in Italia 1423-1465

-Porcellio Poeta. Commentaria rerum gestarum a Jacobo Picinino anno 1453.

-Porcellio Poeta. Commentaria comitis Jacobi Picinini vocato Scipionis Aemiliani.

Fonte immagine: wikipedia

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