GIOVANNI DEI MEDICI/GIOVANNI DALLE BANDE NERE

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Giovanni dalle Bande Nere
Ritratto di Giovanni dalle Bande Nere di Gian Paolo Pace

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GIOVANNI DEI MEDICI/GIOVANNI DALLE BANDE NERE  Detto il “Gran Diavolo”.

Di Forlì. Signore di Aulla e Fano. Figlio di Caterina Sforza e del suo terzo marito Pierfrancesco dei Medici; padre del granduca di Firenze Cosimo, zio di Piermaria dei Rossi, fratellastro di Ottaviano Riario. cavaliere dell’ordine di San Michele.

1498 (aprile) – 1526 (novembre)

Anno, meseStato. Comp. venturaAvversarioCondottaArea attivitàAzioni intraprese ed altri fatti salienti
1498Battezzato con il nome di Ludovico cinque mesi dopo la nascita, a settembre, a seguito dell’improvvisa morte del padre assume il nome di Giovanni per volontà della madre Caterina Sforza.
1499
Dic.ToscanaAlla vigilia dell’attacco di Cesare Borgia ad Imola la madre lo invia in salvo a Firenze.
1501
Lug.ToscanaVive a Firenze dove è raggiunto dalla madre dopo la sua liberazione. Lo zio Lorenzo dei Medici, fratello del padre, cerca di controllare ogni gesto della madre Caterina. Costei, per proteggerlo da eventuali insidie dei congiunti, lo nasconde in un convento di suore (San Vincenzo Annalena, nel quartiere d’Oltrarno) e lo fa vestire con abiti femminili. Giovanni dei Medici vi rimane fino alla morte dello zio.
1503
Mag.

Toscana

Caterina Sforza vince la battaglia legale contro il cognato Lorenzo per ottenere i beni ereditati dal defunto marito e la custodia del figlio. Alla morte del congiunto Giovanni vive con la madre nella villa medicea di Castello. Fin da bambino rivela inclinazioni  crudeli, sventra cani e gatti, batte i compagni ed i maestri.

1509
Mag.ToscanaMuore la madre;  Giovanni dei Medici viene affidato a Jacopo e Lucrezia Salviati, figlia quest’ultima di Lorenzo il Magnifico.
1511ToscanaViene bandito da Firenze, a 20 miglia dal capoluogo, in un suo podere verso Prato, per avere ucciso un suo coetaneo in una rissa.
1512ToscanaSposa Maria Salviati, figlia di Jacopo.
1513

Toscana e Lazio

Il tutore lo conduce a Roma alla corte del papa Leone X al fine di continuare i suoi studi.  Frequenta molte cortigiane e trascorre le giornate in orge continue  attaccando briga con chiunque. Il fratello del papa Giuliano dei Medici lo inserisce nelle milizie pontificie.

1514
………

Lazio

A seguito delle continue risse in cui si lascia coinvolgere il suocero Jacopo Salviati che lo spedisce a Napoli, ospite di un banchiere fiorentino.
Giu.ToscanaRientra a Firenze. Si distingue prendendo parte ad una giostra tenuta il giorno di San Giovanni Battista, nella piazza di Santa Maria Novella, in occasione delle nozze del duca di Ur4bino Lorenzo dei Medici con Maddalena de la Tour d’Auvergne.
1516
………..Chiesa

Lazio

Gli è dato l’incarico dal papa Leone X (di casa Medici) di rimettere  Camillo Gaetani nella signoria di Sermoneta. Si muove affiancato da Tristano Corso. Risolve la situazione battendo a duello Pardo Orsini.

………..ChiesaUrbino

Forma una compagnia di 100 cavalli e di 500 fanti tra famigli e compagni; combatte   al servizio di Lorenzo dei Medici per fronteggiare le truppe del duca di Urbino Francesco Maria della Rovere.

1517
Mar.

Marche

Al comando di 400 cavalli leggeri è inviato con Giovambattista da Stabbia e Brunoro da Forlì alla conquista del castello di Sorbolongo: prende una via diversa dagli altri due condottieri. Costoro,  ingannati dalla loro guida, ritornano al campo dopo avere seguito un lungo giro vizioso. Giovanni dei Medici invece riesce a giungere a destinazione; attaccato dai feltreschi, coadiuvati dagli abitanti della località, deve darsi alla fuga. Punta su Orciano di Pesaro incalzato dagli avversari. Ad Orciano accusa Brunoro da Forlì e Giovambattista da  Stabbia di avere fatto di tutto per boicottare la sua azione.

Mag.ToscanaDa Castrocaro Terme si dirige verso la Toscana. Entra in Siena a metà mese.
Giu.Toscana RomagnaTransita per Cortona. Prosegue per la Romagna con la sua compagnia di cavalli leggeri toccando il cesenate e Santarcangelo di Romagna.
Ago.

Toscana

Affianca Vitello Vitelli con 200 cavalli e 3000 fanti per tagliare la strada a Francesco Maria  della Rovere diretto verso la Toscana; cade in un’imboscata nei pressi di Anghiari dove sono appostati 6000 fanti. E’ fatto prigioniero con lo  Zuchero.

Nov.

Toscana

Sfida a duello Camillo d’Appiano, fratello del signore di Piombino, perché quest’ultimo ha fatto ferire nel suo palazzo il Corsetto, un capitano che milita ai suoi ordini. L’Appiano invia a Firenze il suo cancelliere ed un segretario allo scopo di cercare un accordo. Costoro, in stato di ubriachezza, si lasciano andare ad apprezzamenti poco lusinghieri nei confronti del condottiero. Informato dall’oste, Giovanni dei Medici, accompagnato dal Corsetto, irrompe nella camera dove sono alloggiati i due ambasciatori dell’Appiano e li uccide. Fugge a Ferrara da dove continua a sfidare il rivale. Nella città continua a spendere denaro senza criterio. Indebitato, è costretto a vendere anche alcune sue cavalcature.

1518
Feb.

Lombardia

Si deve svolgere a Gazzuolo nel mantovano il duello con Camillo d’Appiano: interviene il duca Lorenzo dei Medici che ne impedisce lo svolgimento.

Mar.

Giovanni dei Medici, condannato in un primo tempo a morte, si vede presto commutare dagli Otto della Custodia di Firenze all’obbligo di rimanere lontano dalla città almeno dieci miglia per cinque anni. Si rifugia nella sua tenuta di Trebbo. Il Corsetto è invece giustiziato.

Ott.LazioA Viterbo, ospite del fratellastro Ottavianio Riario, vescovo della città.
1519
Mar.

Lazio

Si distingue ancora in modo negativo a Roma;  si azzuffa davanti al ponte di Castel Sant’Angelo con gli uomini di Camillo Orsini, di cui rimane ucciso un caposquadra di quest’ultimo, il Brancaccio. Nella circostanza il Medici con Girolamo e Marcantonio Corso ed una ventina di compagni assale 200 uomini armati di picche, supera il loro sbarramento al ponte ed entra nella fortezza.

Mag. giu.Chiesa100 lance Toscana Ai primi di giugno nasce il figlio Cosimo, futuro duca e granduca di Toscana. Padrini di battesimo del bambino sono il cardinale dei Rossi e Malatesta Baglioni.
………ChiesaBeneventoCampaniaCostringe il Sauriano, signore di Benevento, a cedere ai pontifici.
………ChiesaFabrianoMarcheCombatte lo Zibicchio, impadronitosi della signoria di Fabriano.
Dic.ChiesaRecanati

Marche

Contrasta gli Amadei che si sono resi signori di Recanati. Nel periodo risulta debitore di una forte somma nei confronti del signore di Sermoneta Camillo Gaetani.

1520
Gen.MarcheStaziona sempre nelle Marche con 50 uomini d’arme e 100 cavalli leggeri. Viene chiamato dal commissario pontificio, il vescovo di Chiusi Niccolò Bonafede, a combattere nel fermano Ludovico Euffreducci: si muove ai danni dell’avversario alla testa di 50 cavalli leggeri e 200 fanti.
Mar. giu.ChiesaEuffreducci

Marche Lazio

Batte a Falerone  Ludovico Euffreducci,  che rimane ucciso nel corso della battaglia. Un breve di Leone X gli concede un assegno di 6000 ducati a titolo di risarcimento per le spese militari sopportate; gli sono pure conferiti tutti i beni dell’Euffreducci; questi, stimati sui 40000/ 50000 ducati, al netto di debiti ed ipoteche, hanno un valore finale sui 15000 ducati. Il Medici divide parte dei beni con i suoi soldati tra i quali è presente Paolo Luzzasco. A giugno scaccia da Sermoneta Camillo Orsini che si è ribellato allo stato della Chiesa.

Sett.

Marche

Fronteggia nel territorio di Amandola i fuoriusciti della città. Sempre negli stessi giorni è segnalato a Castel Durante (Urbania). Alla notizia che Giovanni della Stufa si sta dirigendo a Recanati in compagnia di una famosa cortigiana romana, di nome  Lucrezia, ordina al suo tesoriere Francesco degli Albizzi di farla rapire e di condurla a lui senza fare violenza  al suo accompagnatore.

1521
Gen.ChiesaColonna500 fanti

Lazio

Al comando di 500 fanti raccolti a Roma (cui sono consegnati 3 carlini a testa ed un paio di scarpe) muove in soccorso del signore di Sermoneta Camillo Gaetani attaccato dai Colonna; espugna la rocca e mette a sacco il borgo; ottiene a patti Maserata in tre giorni.

Feb.

Abruzzi

Viene a conoscenza che il marchese di Pescara Ferdinando d’Avalos sta raccogliendo di nascosto truppe negli Abruzzi:  marcia con celerità contro tale capitano, lo sorprende e lo fa prigioniero; lo libera allorché apprende che agisce per conto del pontefice.

Mar.ChiesaComp. ventura

Marche

Disperde a Ripatransone un corpo di 3000 spagnoli, che sbarcati in Calabria dalla Puglia si stanno dirigendo verso nord al fine di congiungersi con i nemici del papa.

Giu.LazioA fine mese si trova ad Isola Farnese.
Lug. ago.FirenzeFrancia Venezia60 lance

Emilia

A Bologna. Si sposta presto  a Campomorto nel modenese per catturarvi Giulio dal Forno; cattura  a Bomporto Giovanni Falloppia che è condotto a Parma. Intercetta sotto la località le truppe del Carbon:  nello scontro disarciona di persona tale capitano. Passa poi all’assedio di Parma:  viene inviato da Prospero Colonna con 400 cavalli leggeri in avanscoperta a Busseto per controllare i movimenti delle truppe francesi.

Sett.50 lance e 160 cavalli leggeri

Marche ed Emilia

Staziona ad Urbania. Allorché alcuni suoi uomini sono uccisi a Tolentino dagli abitanti ribellatisi alle loro soperchierie minaccia di mettere a sacco il centro: solo l’intervento di Leone X vale a distoglierlo dal porre in atto il disegno. Rientra in Emilia; con il ritiro da Parma è inviato da Prospero Colonna, con 200 cavalli leggeri  e 300 fanti spagnoli, ad incendiare un ponte di barche costruito dai francesi a Cremona. I sorveglianti si accorgono dell’insidia e si fermano in mezzo al fiume.

Ott.

Emilia e Lombardia

Sfugge ad un’imboscata tesa agli alleati imperiali da Marcantonio Colonna; attraversa il Po e sconfigge nei pressi di Cremona gli stradiotti veneziani di Mercurio Bua: nell’azione è fatto prigioniero Luigi Gaetani. Il Lautrec si presenta davanti a Binanuova ma non attacca gli avversari per la sua posizione svantaggiosa. Giovanni dei Medici, ha una scaramuccia di cavalleria con i francesi: questa  dura quattro ore e nel suo corso il Medici ha modo di mettere in luce le sue qualità tattiche. Si muove nei pressi di Pontevico per controllare i movimenti dell’esercito veneziano.

Nov.

Lombardia

Giunge sull’Oglio con 300 cavalli sotto tiro da parte delle artiglierie di Orzinuovi.  Paolo Luzzasco, suo luogotenente, è catturato ad Urago d’Oglio. Il Medici non ha alcun indugio, si pone alla testa di 1000 cavalli leggeri e di 300 lance ed insegue a Pontoglio 500 cavalli leggeri della Serenissima. Incalzati, costoro  sono costretti a ripiegare. Paolo Luzzasco è liberato;  sono catturati tra i veneziani Annibale di Lenzo e Carlo Malatesta da Sogliano. Il Medici si ferma nel bresciano con  Bartolomeo da Villachiara;  saccheggia il territorio appropriandosi di più di quattromila sacchi di farina e di frumento e più di cinquecento carri di altre derrate. Si sposta a Vailate con il Colonna e Federico Gonzaga; a Vaprio d’Adda, seguito da Pier Onofri da Montedoglio, è l’artefice della traversata del fiume. Vince il contrasto che gli viene opposto da Ugo Pepoli e dal Lescun (Tommaso di Foix) che difendono la riva con 400 lance ed i fanti francesi. Fonti spagnoli contestano questa versione e vedono la sua entrata in azione successiva a quella di Giovanni di Urbina. Sosta poi a Mozzanica e tre giorni dopo giunge di fronte a Milano: con Ettore Visconti penetra nei borghi, supera la resistenza dei veneziani a Porta Romana ed entra nella città attraverso le fogne. Sfugge con difficoltà ad un agguato mentre si sta portando a Pavia.

Dic.

Lombardia e Lazio

A Lodi con 50 lance. Informato della morte del papa  si reca subito a Roma: è in tale occasione che muta le insegne delle sue bande da bianche e violette, colore dei Medici cadetti, in nere: da questo momento sarà chiamato Giovanni delle Bande Nere.

1522
Gen.FirenzeComp. ventura Fuoriusciti Siena

Emilia Toscana e Umbria

Viene richiamato a Firenze per la presenza nelle Marche, in Umbria ed in Toscana delle truppe di Francesco Maria della Rovere desideroso di recuperare il ducato di Urbino. Da Bologna si trasferisce alla difesa di Siena con 2000 fanti svizzeri del cantone di Berna e 400 cavalli leggeri: il della Rovere ed Orazio Baglioni si ritirano subito con il loro esercito raccogliticcio di 7000 fanti. Insegue gli avversari con Guido Vaina, Annibale Rangoni, Pier Luigi Farnese ed Alessandro Vitelli.  Il Medici penetra in Umbria ed ottiene Passignano sul Trasimeno con un attacco frontale portato con il solo ausilio dei fanti italiani in quanto gli svizzeri non si sono mossi a causa del ritardo delle paghe. Punta su Perugia; colloca i suoi alloggiamenti ad Olmo.

Mar.FranciaImpero700 fanti  50 lance e 80 cavalli leggeri

Umbria  Marche ed Emilia

Interviene il collegio dei cardinali; si incontra con  Camillo Orsini che milita nel campo avverso. Viene deliberata la riconciliazione tra Orazio e Gentile Baglioni. Dopo qualche dilazione ha luogo il riavvicinamento tra i due Baglioni. Giovanni dei Medici si sposta  nel Montefeltro: vi imperversa mettendo a ferro e fuoco tutto il territorio. Dà alle fiamme Carpegna,  Castellaccio e Pennabilli; mette a sacco Libiano, Torricella (di Marecchia), Sartiano, Talamello, Maiolo, Perticara, Montecopiolo, Monteboaggine, Pietrarubbia, Montecerignone, Pietra Maura ed il castello di Serra.  Viene infine bloccato a Frontino di Massa (Frontino) in uno scontro nel quale gli è uccisa la cavalcatura. Sdegnato, anche perché al  della Rovere è stata offerta una condotta dai fiorentini, rientra in Emilia. Transita per Modena con 700 fanti, 50 uomini d’arme e 80 cavalli leggeri al fine di congiungersi a Pavia con le truppe del duca di Bari Francesco Sforza, che lo ha assoldato per combattere i francesi. Durante la marcia si ferma in un castello dei Pallavicini;  si accorda con i francesi che gli concedono una condotta di 3000 fanti e di 200 cavalli. Il cambio di casacca è motivato in apparenza  dal ritardo delle paghe da parte dello Sforza; in realtà si  sente offeso perché il cardinale dei Medici gli ha anteposto al comando dei pontifici Guido Rangoni. Gli viene riconosciuta dai transalpini una provvigione di 8000 ducati;  gli sono pure promesse in signoria Imola e Forlì già possedute dalla madre Caterina Sforza. Molti dei suoi uomini si rifiutano di seguirlo sotto le nuove bandiere. Mette a sacco Busseto, che ha rifiutato di ospitare le sue truppe, transita per Crema e Cremona, città che lascia con Gianfermo da Trivulzio.

Apr.

Lombardia

Assedia in Pavia Federico Gonzaga ed Antonio di Leyva. Si accampa tra Borgoratto Mormorolo e la Porta Calcinara; si prepara con Federico Gonzaga da Bozzolo a dare l’assalto finale a seguito dell’ abbattimento da parte delle artiglierie di 30/40 braccia di mura: lo slancio finale è fiaccato dal ritardo delle paghe. Le fortissime piogge lo inducono ad appoggiare il Lautrec. Partecipa agli  ordini di quest’ultimo alla battaglia della Bicocca, in cui rimane ferito ad un braccio (gli sono pure uccisi tre cavalcature).  Nello scontro gli è ordinato di precedere la fanteria svizzera con la sua cavalleria leggera e gli uomini d’arme. Difende gli svizzeri che si ritirano di fronte agli assalti di tre compagnie di spagnoli; fronteggia per due ore, con l’aiuto dei cavalli  leggeri francesi e veneziani, la cavalleria imperiale che gli viene inviata contro dal Colonna e da Ferdinando d’ Avalos. Ripara a Lodi dove si unisce con il governatore della città, il Buonavalle.

Mag.3000 fanti

Lombardia

Si offre inutilmente ai veneziani. Quando gli avversari entrano in Lodi punta su Cremona con 300 uomini d’arme e 3000 fanti:  il ponte di barche è rotto e parte delle sue truppe è catturata dagli avversari. Nonostante le difficoltà Giovanni dei Medici raggiunge Cremona con il Lescun, Federico Gonzaga da Bozzolo ed il Pontdormy. Gli imperiali si accampano davanti alla località: il Medici chiede il soldo per le sue milizie, si impossessa di una porta e minaccia di consegnarla ai nemici se non gli siano saldate le sue spettanze. Ottiene  quanto gli è  dovuto. In breve è costretto  ad abbandonare Cremona per un accordo, concluso a sua insaputa dal Lescun, che prevede la resa a patti a meno che non arrivino rinforzi entro la fine di giugno.

Lug.Milano3000 fanti 50 lance e 150 cavalli leggeri

Lombardia

Stanco delle promesse dei francesi ritorna al soldo del cugino Francesco Sforza divenuto duca di Milano. Gli è riconosciuta una provvigione annua di 1500 ducati;  gli sono consegnati 18000 ducati affinché possa arruolare  3000 fanti. La ferma è stabilita in due anni.

Ago.RossiRossi

Emilia

A Modena, ospite di Guido Rangoni. Si reca a San Secondo Parmense in soccorso dei figli della sorellastra Bianca; attacca Filippo dei Rossi che minaccia i congiunti;    conquista al rivale il forte castello di Brisiga.

Sett.Comp. venturaMalaspina

Toscana e Emilia

Si impadronisce in Lunigiana di Aulla ai danni dei  Malaspina. Da tale cittadina fino a Reggio Emilia il territorio diventa un’area nella quale spadroneggiano le sue bande vivendo alle spalle dell’inerme popolazione.

Ott.LombardiaFirma a Trezzo sull’Adda il contratto con il duca di Milano Francesco Sforza.
1523
Sett.MilanoFrancia

Lombardia

Si muove con Antonio di Leyva alla difesa di Pavia con 2000 fanti spagnoli e 2000 fanti italiani. E’ assediato in Milano dal Bonnivet. Si segnala per le continue insidie tese ai saccomanni nemici. Si fa inseguire da 80 lance della compagnia di Bernabò Visconti;  le attira in un’imboscata nei pressi di Vaprio d’Adda dove sono appostati 500 archibugieri. Di parte francese molti uomini d’arme sono uccisi o fatti prigionieri: ricco è il bottino con il quale entra in Milano.

Nov.

Lombardia

E’ informato dal duca di Milano che due suoi capitani, Morgante da Parma e Giovanni Niccolò dei Lanzi, si sono accordati con i francesi per consegnare loro il rivellino di Porta Renza. Li fa catturare con tre sentinelle; Morgante da Parma ed i suoi complici sono   legati, denudati e torturati; sono fatti loro bruciare i piedi con delle torce accese. Immediata è la loro confessione; il giorno seguente i fanti con il loro capitano sono passati per le picche dai loro compagni; il cavallo leggero Niccolò dei Lanzi viene invece fatto  uccidere dalle lance dei cavalli schierati in doppia fila. Dopo tale episodio il Medici si sposta ad Abbiategrasso al fine di controllare il flusso dei rifornimenti provenienti da Trezzo sull’Adda e diretti a Milano.

Dic.

Lombardia

Esce da Milano con Girolamo Morone;  si reca a Pavia per incontrarvi il viceré di Napoli Carlo di Lannoy: sfugge a stento ad un agguato tesogli dai francesi. Ancora a Milano.

1524
Gen.

Lombardia

Si muove su Abbiategrasso con Fernando Alarcon; per strada si scontra con 300 svizzeri di scorta ai saccomanni. Gli avversari si rifugiano in una casa vicina. Giungono in suo soccorso molti fanti spagnoli.  Il Medici con il loro concorso dà battaglia agli avversari: tutti  sono fatti a pezzi compresi  200 svizzeri che si sono arresi a patti. I vincitori si appropriano di 200 cavalcature adibite al trasporto delle artiglierie. Immediatamente ottiene Melegnano con la fortezza; con il d’Avalos (6000 lanzichenecchi) conquista all’improvviso Robecco sul Naviglio dove è di stanza Pietro Baiardo. I francesi sono sorpresi nel sonno dagli spagnoli. Nell’azione il Medici, postosi  sulla strada per Abbiategrasso, si limita a catturare gli avversari che cercano di fuggire  verso tale località. Ha un forte contrasto con Stefano Colonna per la taglia di un prigioniero.

Feb.1500 fanti 100 lance e 200 cavalli leggeri

Lombardia

Respinge nei borghi di Milano una sortita dei francesi usciti da Lodi;  riprende ai transalpini parte delle prede. Si scontra  nei pressi dell’ abbazia di Morimondo con 300 lance e 200 svizzeri. Respinto, si rifugia nel monastero in attesa dei soccorsi inviatigli dal vicino campo spagnolo da Fernando Alarcon. Nel combattimento vengono catturati dagli avversari  12 uomini d’arme della sua compagnia con il luogotenente e la bandiera; altri restano morti sul campo (tra i nemici, uccisi 4 uomini d’arme). Solo metà delle lance che militano nelle sue compagnie riceve il loro soldo dagli imperiali.

Mar.

Lombardia

Appoggia il capitano generale della Serenissima, il duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, alla conquista di Garlasco; si ferma a Gropello Cairoli e prende come ostaggi 2 spagnoli finché non gli sia consegnata la seconda mezza paga. Giunge a Rosate;  gli è affidato l’incarico di assalire Abbiategrasso con 4000 fanti ed alcuni pezzi di artiglieria. I francesi escono da Vigevano per spostarsi a Mortara. Si avvicina  alle porte di Vigevano facendo molti prigionieri.

Apr.

Lombardia

Si impadronisce del ponte di Boffalora sopra Ticino dopo che 25 suoi fanti sono riusciti ad  introdursi nel bastione posto alla sua difesa: si appropria di 75 some di vino, farine e carni, bloccate sul ponte mentre stanno per essere condotte da Vigevano al presidio  di Abbiategrasso. I nemici sono costretti a varcare  a guado il fiume; molti sono gli annegati a causa della piena del corso d’acqua. Hanno inizio le operazioni di assedio di Vigevano. 5000 grigioni calano dalla Valtellina e dai monti di Lecco nel bergamasco agli ordini del Tegane (Dietigen di Salis): su sollecitazione dei veneziani Giovanni dei Medici si porta a Treviglio;   si incontra  con Babone Naldi e Giano Fregoso per concertare una linea d’azione comune. Si colloca alla testa di 3000 fanti, molti sono tra costoro gli archibugieri, di 300 cavalli leggeri, di 50 uomini d’arme e di alcuni reparti veneziani. Si avvicina ai fanti grigioni; li affronta  con continue scaramucce nei pressi di Caprino Bergamasco e li  obbliga  a ritirarsi prima  a Palazzago per ripiegare infine nel loro paese. Subito dopo si reca a Bergamo in visita a Chiara Pusterla; nell’occasione non rende il dovuto atto di omaggio ai rettori della città, che notano tale sgarbo  facendone rapida segnalazione a Venezia. Rientra al campo;  assale Caravaggio difesa da 150 fanti; vi è un forte fuoco di artiglieria seguito da due infruttuosi assalti. Si muovono a suo sostegno 400 schioppettieri della Serenissima per cui i suoi fanti possono scalare le mura e mettere a sacco la terra. Lascia l’assedio della rocca e punta deciso su Abbiategrasso dove si trova Girolamo Caracciolo con 1000 fanti italiani. Si accosta alla cinta muraria;  chiede la resa dei difensori. Ha inizio il bombardamento della località; è aperta una breccia di 50 braccia. E’ promesso un premio di 200 scudi per colui che pianterà il vessillo del Medici sulle mura.  L’assalto dura 5 ore e la città viene espugnata; anche i difensori della rocca si arrendono poco dopo a patti. Tutto è messo a sacco e trasportato a Milano, anche i germi della peste che procureranno la morte in tale città a più di 50000 persone.

Mag.

Lombardia Piemonte

Prende parte a Trezzo sull’Adda ad un consiglio di guerra con il duca il Milano Francesco Sforza, Girolamo Morone, Giano Fregoso e Malatesta Baglioni; si trasferisce nei pressi di Lodi.  Con la resa a patti di questa città si sposta all’ assedio del castello di Novara: i difensori si arrendono poiché i francesi decidono di abbandonare l’Italia e prendono la strada di Susa.

Giu.

Emilia e Lombardia

Si avvia tra Correggio, Carpi e Mirandola; si fa consegnare 1000 ducati dagli abitanti di Cortemaggiore, si reca a Monticelli d’Ongina ed a Busseto ove fa alcuni prigionieri. Il viceré di Napoli Carlo di Lannoy gli impedisce di affiancare gli imperiali in Provenza preferendo spingerlo nel pavese con 500 cavalli e 3000 fanti.

Lug. ago.Comp. venturaFerrara Malaspina

Toscana  Lombardia

Stanco delle insolenze degli imperiali compie una scorreria in Garfagnana ai danni degli estensi. Lucca gli riconosce 12000 ducati e gli consegna alcuni cannoni; trova resistenza alle sue richieste nei fiorentini mentre Siena paga una taglia ai francesi per essere protetta dalle sue milizie. Giovanni dei Medici si impossessa di Castelnuovo di Garfagnana. Si ferma in Lunigiana con 1200 fanti, divisi in 7 compagnie;  combatte nuovamente i Malaspina. Si impadronisce di Aulla, di Ponzano e di Bibola; fa distruggere i castelli di Monti, di Virgolata, di Podenzana, di Villa; cattura il marchese Spinetta Malaspina e lo fa rinchiudere con la moglie ed i figli nel castello di Monte di Simone; espugna anche il castello di Fosdinovo. All’arrivo di alcune compagnie di fanti spagnoli giunti in soccorso dei Malaspina preferisce ritirarsi dopo avere fatto distruggere alcuni pezzi di artiglieria che, altrimenti, gli avrebbero impedito una marcia spedita. Il papa Clemente VII gli ordina di liberare i prigionieri: gli sono promessi la somma di 1000 ducati ed uno stipendio fisso mensile; anche il duca di Milano fa la sua parte per rabbonirlo  conferendogli la signoria di Busto Arsizio.

Sett.Chiesa

Lazio

E’ segnalato a Civita Castellana.

Ott.150 lance

Emilia

Si trova a Modena;  tratta per conto dei pontifici con gli estensi le modalità di consegna allo stato della Chiesa di Reggio Emilia e di Rubiera.

Nov.Francia  Impero2000 fanti 150 lance e 200 cavalli leggeri

Emilia  e Lombardia

Nel piacentino con i suoi uomini;  si accorda con i francesi che gli fanno avere,  tramite il la Motta, 18000 ducati. Gli viene concessa una condotta di 2000 fanti, di 150 lance e di 200 cavalli leggeri in tempo di guerra; gli sono concessi l’ordine di San Michele, una pensione annua di 3000 scudi ed una rendita di altri 2000 scudi. Data la paga alle sue schiere a Castel San Giovanni, attraversa il Po con 2500 fanti e 200 cavalli leggeri e, alla loro testa, espugna Busseto; raggiunge Borgo San Donnino (Fidenza) e Milano ove i suoi uomini sono alloggiati nei borghi di Porta Romana.

Dic.

Lombardia e Emilia

All’assedio di Pavia. In un primo momento si accampa nelle vicinanze della  chiesa di San Salvatore su un piccolo poggio. Continue sono le scaramucce dei suoi uomini con gli avversari. Si sposta poi a Mirabello. Assale il bastione di San Giacomo dove fa preparare alcune mine; i suoi primi attacchi sono respinti dai fanti tedeschi che ne sono alla guardia. Attraversa il Po con Federico Gonzaga da Bozzolo al ponte della Stella alla testa di 2000 fanti,  1000 lanzichenecchi e  500 cavalli leggeri;  si dirige verso Reggio Emilia allo scopo di prelevarvi alcuni carri di munizioni e 50000 ducati consegnati da Alfonso d’Este ai francesi. Transita per Piacenza, Pontenure e Fidenza ostacolato da 6000 lanzichenecchi al servizio degli imperiali e da 600 uomini d’arme comandati dal marchese di Pescara Ferdinando d’Avalos, da Fernando Alarcon e da Ferrante Castriota. Si scontra con gli imperiali nei pressi di Cremona, in località la Fontana (gli sono catturati 10 cavalli); ripara con le sue truppe nei castelli dei Pallavicini, si spinge verso Rubiera dove sono ad attenderlo gli estensi. Sulla via del ritorno si fortifica in Fidenza; è qui raggiunto dal duca di Albany, diretto, a sua volta, alla conquista del regno di Napoli. Il Lescun invia in soccorso di Giovanni dei Medici 300 lance e 3000 svizzeri che accompagnano i suoi uomini a Piacenza. Da qui  prosegue per la Lombardia alla testa di un convoglio di 126 muli (ogni animale trasporta 4 bauli di munizioni) con la   scorta di 1000 fanti, di 500 lance, di 200 cavalli leggeri  e la dotazione di 3 piccoli pezzi di artiglieria.

1525
Gen.

Lombardia

A Villanterio; è respinto un suo nuovo assalto alle mura di Pavia. Si congiunge con il la Palisse al fine di impedire che Melegnano cada nelle mani degli imperiali. Lascia Sant’Angelo Lodigiano con 1500 fanti e 400 cavalli leggeri;  tenta di cogliere di sorpresa in Castiglione Lodigiano Ludovico Vistarini che ne è alla guardia con 300 fanti e 60 cavalli.  Alla notizia del suo arrivo il capitano rivale abbandona subito la località e nel medesimo modo agiscono altri 50 uomini d’arme di stanza a Maleo. Giovanni dei Medici razzia molto bestiame e per San Colombano al Lambro rientra sotto Pavia.

Feb.

Lombardia ed Emilia

Prende parte attiva all’ assedio di Pavia. Dà alle fiamme,  nottetempo, a Settimo ad alcune cascine;  scorre fino a Sant’Alessio, dove sono attendati gli imperiali. Assale ripetutamente con successo nel parco di Mirabello le truppe del connestabile di Borbone. In una di queste azioni si imbatte in 40 cavalli del Borbone che stanno trasportando polvere da sparo per gli assediati di Pavia. Sono italiani e, in passato, hanno militato ai suoi ordini sotto le stesse insegne imperiali. Giovanni dei Medici, nella circostanza, indica loro la strada (in quanto costoro si sono persi a causa della nebbia) e li fa entrare indenni in Pavia. Negli stessi giorni escono da Porta Nuova, a Pavia, Antonio  di Leyva e Matteo Beccaria che si rivolgono contro un palazzo fortificato dei Botticella, sito a Campezzo (o a San Lanfranco),  munito di fossato e di bastioni, in cui vi hanno trovato posto 4 compagnie del Medici.   Gli avversari, con un breve fuoco di artiglieria, penetrano in esso e vi uccidono 500 fanti delle Bande Nere. Un’altra versione della disfatta di Giovanni dei Medici riferisce, invece, di un suo attacco con 300 cavalli e 2000 fanti a 2000 abitanti, tra cui molte donne e bambini, venuti alla ricerca giornaliera di erbe e di legna in mezzo agli orti fuori le mura di Pavia. Sono uccisi 100 saccomanni e molti uomini d’arme borgognoni di protezione ai vivandieri: la sortita del Medici viene infine contrastata da 1000 lanzichenecchi e fanti spagnoli di stanza a Santo Stefano agli ordini del Giarcimandrico, di Francesco Sarmiento, di Giorgio d’Ostan e di Etilechio di Risac. Giovanni dei Medici, ferito ad una coscia ed all’inguine da un colpo di archibugio, è obbligato a ritirarsi dal campo di battaglia. Vengono a trovarlo il re Francesco I ed il la Palisse; Ferdinando d’Avalos gli fa avere un salvacondotto per cui è trasportato a Piacenza per esservi curato dal medico curante di Federico Gonzaga, l’ebreo Abramo di Mantova. Per tale motivo non è presente alla battaglia di Pavia in cui è catturato il re francese.

Mar.

Emilia

Alcuni imperiali svaligiano a Reggio Emilia i suoi uomini e fanno prigionieri 25 cavalli; per rappresaglia il Medici fa catturare altrettanti spagnoli che si trovano nella città.  Li rilascia solo su pressione del legato pontificio.

Apr.

Emilia

Nel modenese. Suoi uomini si scontrano con gli abitanti di Savignano sul Panaro.

Mag. ago.

Veneto Emilia e Toscana

Si reca a Venezia con un seguito di 40 persone; viene alloggiato in palazzo Giustinian a San Mosé. Si incontra con l’amico Ludovico Michiel;  ad Abano Terme per i fanghi. Guarito, tocca Ferrara  e  Parma. Si accampa con le sue compagnie nel Castello Piagnaro di Pontremoli. Abbandona la città e ritorna in Lunigiana per devastare una volta di più le terre dei Malaspina.

Sett.Comp. venturaMalaspina

Toscana

E’ assalito dai Malaspina coadiuvati dai fiorentini. Muove contro gli avversari alla testa di 600 fanti e di 100 cavalli: uccisi in combattimento due  capitani  avversari, uno detto il Volpe, l’altro il Francese, supera un passo e giunge  a Massa. Chiede di potere proseguire il cammino alle comunità di San Giorgio e di Sarzana;  occupa la montagna; mette in fuga 2000 montanari che cercano di opporglisi e ne fa strage; conquista altri castelli portando la desolazione anche a Gragnola ed a Albiano (dove sono uccise trentasei persone). Un nuovo intervento di Clemente VII lo riporta alla calma.

Ott.

Toscana e Marche

Rivende Aulla ai Malaspina per 2500 scudi.  D’accordo con il pontefice si stabilisce a Fano dove (con l’acquisto di un galeone e di 2 brigantini) progetta la guerra corsara ai danni dei barbareschi con l’ausilio dell’amico Paolo Vettori. Nella realtà trascorre le giornate immerso nei vizi e nell’ozio con i suoi soldati ed i suoi amici come Pietro Aretino mentre i suoi uomini si danno allo sbando per mancanza di denaro e di alloggi adeguati.

Nov.ChiesaImpero

Emilia

A Parma, per radunare truppe a favore dei pontifici.

Dic.

Emilia

Entra in Carpi ai danni degli imperiali. E’ in questo periodo circa che un capitano spagnolo sfida sul campo un soldato del campo nemico a combattere con lui armato come un cavallo leggero. Il Medici vuole che tale onore spetti al suo alfiere Piero Antonio da Verona con il patto che nel duello  siano risparmiate le cavalcature. Lo spagnolo, cieco d’un occhio, ammazza il cavallo turco montato dall’ italiano, di proprietà dello  stesso Medici. Il condottiero biasima il comportamento del rivale, lo offende ripetutamente: interviene Luigi Rodomonte Gonzaga a difesa del primo. I due vengono alle mani, fino al momento in cui non sono separati  dai commilitoni.

1526
Mar.MarcheE’ segnalato a Fano con 200 cavalli.
Mag.EmiliaRitorna a Modena. Lotta contro Fabrizio Maramaldo.
Giu.Chiesa FirenzeCapitano g.le fanteria    4000 fanti  40 lance e 200 cavalli leggeri

Emilia e Lombardia

A Fano. Fiorentini e pontifici gli danno il comando della fanteria italiana e gli riconoscono una provvigione di 2500 ducati; anche i francesi contribuiscono alla sua condotta con 50 uomini d’arme mentre altri 40 lancieri ed i cavalli leggeri sono pagati dallo stato della  Chiesa. Si distingue immediatamente in una scaramuccia con gli spagnoli;  a Bologna ed a Brescello; a Castelguelfo con Vitello Vitelli;  a Casalmaggiore con 2000 fanti. Si incontra a Modena con il commissario Francesco Guicciardini; da qui si sposta Piacenza con tutti i suoi uomini. Nella città si collega con Guido Rangoni; a fine mese è segnalato a Lodi.

Lug.

Lombardia

Appoggia il capitano generale della Serenissima, il duca di Urbino Francesco Maria della Rovere con 4000 fanti pontifici nell’attacco a Milano: obiettivo è quello di liberare  Francesco Sforza assediato dagli spagnoli nel Castello Sforzesco. A Lambrate è testimone del duello che vi si svolge tra il Vistarini e Sigismondo Malatesta. Affianca Roberto da San Lorenzo e Gentile da Carbonara in una scaramuccia sulle porte di Milano contro lo spagnolo Giovanni di Santacroce. Tra gli uomini di Giovanni dei Medici è ferito il conte Gerardo di San Secondo e ne sono uccisi altri 15. Il della Rovere, vista la resistenza degli imperiali, decide di ripiegare su Melegnano; inutilmente il Medici lo sconsiglia a compiere tale passo; si rifiuta agli inizi  di seguirne l’esempio. Da Melegnano compie varie scorrerie senza frutto in cui molti dei suoi uomini perdono la vita. A Segrate; allorché il duca di Milano è ridotto allo stremo il Medici si accampa al Paradiso di fronte a Porta Romana. Cerca di abbattere la porta con le artiglierie; gli imperiali ne escono per una sortita. finge di retrocedere e fa cadere gli avversari in un’imboscata. Nell’occasione trapassa da parte a parte con la sua lancia un cavallo leggero napoletano. E’ costretto a rientrare  a Melegnano. Conquista a forza Monza; 200 spagnoli vi lasciano la vita.

Ago.

Lombardia

Litiga con Guido Rangoni;  devono intromettersi per riconciliare i due capitani il pontefice ed il della Rovere. Con Tommaso di Costanzo è coinvolto in una grossa scaramuccia nei pressi di Milano con gli imperiali: gli avversari inviano in avanscoperta 200 archibugieri che devono fungere da esca per un’imboscata nei pressi in cui sono appostati altri 1500 archibugieri. La reazione del Medici è energica: 300 sono le perdite tra gli imperiali (tra morti e feriti) contro una decina degli alleati.

Sett.

Lombardia

Assieme con Vitello Vitelli e Luigi Gonzaga si incontra al Lazzaretto, nei pressi di Milano, con il Connestabile di Borbone, Alfonso d’Avalos ed Antonio di Leyva. Partecipa ad un consiglio di guerra con il commissario pontificio  Guicciardini allorché Andrea Doria, tramite Niccolò Fregoso, chiede 4000 fanti per attaccare Genova. Assieme con Vitello Vitelli ha un nuovo scontro con gli imperiali; dà inizio alla costruzione di un bastione nella direzione di Milano: nello scontro che ne segue i nemici sono respinti fino a Sant’Angelo Lodigiano. Anche una scorreria sotto Milano è sfavorevole agli imperiali che lamentano la perdita del Corvera e del luogotenente di Fernando Alarcon.

Ott.FranciaImpero

Lombardia ed Emilia

Giovanni dei Medici rimane in Lombardia con i suoi 4000 fanti al soldo dei francesi a seguito della tregua separata del papa con gli imperiali. Gli è ingiunto di restituire Busto  Arsizio ai Trivulzio; minaccia di lasciare il servizio; è  trattenuto a stento dal  della Rovere. Il suo comportamento si fa sempre più insolente, uccide al campo Ippolito di Luca per certi giudizi rivolti in precedenza nei suoi confronti in Inghilterra;  con Bernardino da Roma viene a contrasto con gli svizzeri che militano con i veneziani. Ne seguono una nuova mediazione del della Rovere ed un incontro a Piacenza con Francesco Guicciardini: Clemente VII per non perderlo gli offre in feudo la signoria di Fano a titolo di compensazione. Abbandona definitivamente l’ assedio di Milano.

Nov.

Lombardia

Dal Tirolo calano in Lombardia 13000/14000 lanzichenecchi agli ordini di Giorgio Frundsberg. Il della Rovere esce da Vaprio d’Adda;  si trasferisce a Castiglione delle Stiviere con 12000 fanti, 600 uomini d’arme e molti cavalli leggeri. Al suo fianco si trova anche il Medici. Allorché i tedeschi trovano la loro marcia bloccata dal Mincio il condottiero prende con sé 400 cavalli leggeri ed altrettanti archibugieri trasportati sulle groppe delle cavalcature. Si dirige con Luigi Gonzaga tra Governolo e Borgoforte;  ha ancora il tempo di assalire la retroguardia dei lanzichenecchi. I nemici respingono il suo attacco solo a prezzo di forti perdite (300 uomini contro 50 italiani). Per i lanzichenecchi giungono nel frattempo da Ferrara,  trasportati via fiume, 12 falconetti; il secondo colpo di uno di tali pezzi di artiglieria, con lo scontro ormai al suo termine, gli fracassa la coscia della stessa gamba già ferita a Pavia. Viene condotto a Castel Goffredo presso Luigi Gonzaga ed a Mantova da Lucantonio Cuppano e da Pietro Aretino: gli indugi (almeno venti ore di ritardo) procurati da Federico Gonzaga, la cancrena e le condizioni generali del suo organismo impongono l’immediata amputazione della gamba. Nessuno lo deve sostenere nel corso dell’operazione effettuata ancora dal chirurgo Abramo. Si narra che alla fine dell’ intervento chirurgico, avvenuto nel palazzo dell’ amico Luigi Gonzaga, abbia preso in mano il pezzo della gamba amputato e che abbia  giurato vendetta. Al suo capezzale si trova sempre l’ Aretino; Giovanni dei Medici chiede di potere vedere il suo luogotenente Lucantonio Cuppano. Consapevole della  prossima fine si fa trasferire in un letto da campo, vuole confessarsi, fa testamento alla presenza di Luigi Gonzaga, di Francesco Maria della Rovere e di Roberto Boschetti. Chiede di essere portato fuori dal palazzo per essere trasportato nel suo letto da campo. Muore di setticemia l’ultimo giorno del mese. Il palazzo in cui avviene il suo decesso, oggi non più esistente, era situato nel complesso architettonico attualmente denominato Palazzo degli Studi in corrispondenza dei locali dell’Archivio di Stato. Il Medici vieta ai suoceri di assumere la tutela del figlio Cosimo che affida, invece, al della Rovere da lui molto stimato; dona tutti i suoi beni mobili, cavalli e denaro ai suoi servitori. Un nutrito corteo accompagna la salma del condottiero dal palazzo di Luigi Gonzaga fino alla chiesa di San Domenico nella quale egli stesso ha chiesto di essere sepolto in una cappella posta in prossimità del coro. E’ tumulato con la sua armatura. Sulla bara sono attaccati, secondo l’usanza dell’epoca, sonetti ed epitaffi stampati sulla seta, su saia di colore, ornati di vignette, uno dei quali è di Pietro Aretino. Il sepolcro è corredato da una lapide contenente un epitaffio composto da Paolo Giovio. Vi sarà un  primo trasferimento della tomba (sempre a Mantova) quando questa verrà spostata nel medesimo edificio sopra la porta della sacrestia. Da ultimo, nel 1685 le sue ossa, per volontà di Cosimo II dei Medici, sono trasportate a Firenze per essere tumulate nella cappella sepolcrale dei Medici del ramo di Cafaggiolo nella sacrestia vecchia di San Lorenzo. La chiesa  sarà demolita agli inizi del 1900 e l’iscrizione sepolcrale sarà portata nella chiesa di San Maurizio, nella cappella dedicata a San Bartolomeo. Nel 1532 Giovanni Falugio compone in suo onore il poema “Morte del fortissimo signor Giovanni de’ Medici, Capitano delle Bande Nere”. Ritratto di Gian Paolo Pace: il dipinto, tratto da un calco in gesso della maschera mortuaria del condottiero fatta fare dall’amico Pietro Aretino, è  donato da quest’ultimo  al figlio di Giovanni, il duca di Firenze Cosimo I  dei Medici. In realtà il ritratto avrebbe dovuto essere fatto   dal Tiziano. Poiché tale pittore negli stessi giorni è chiamato a Roma dal papa Paolo III,  il dipinto (ora agli Uffizi di Firenze) viene realizzato da un allievo del Tiziano, Gian Paolo dall’Olmo.  Ritratti del Bronzino e di Mino da Fiesole, al Museo Nazionale del Bargello, sempre a Firenze. Altro ritratto del Ghirlandaio (Michele Tosini) nel museo del Palazzo Vecchio di Firenze. Esiste pure un suo ritratto con la moglie Maria Salviati opera di Giovanni Battista Naldini ed una medaglia con la sue effigie di Francesco da Sangallo. Statua in piazza San Lorenzo a Firenze, opera di Baccio Bandinelli. Poiché tale statua lo rappresenta seduto, il popolo fiorentino così lo ricordò “Messer Giovanni dalle Bande Nere/ Dal lungo cavalcar noiato e stanco/ Scese di cavallo e si pose a sedere.” Sempre del Bandinelli vi è in Palazzo Vecchio un suo monumento nel salone dei Cinquecento a Firenze. Ancora nello stesso edificio esiste una sala dedicata a Giovanni delle Bande Nere con decorazioni pittoriche di Giorgio Vasari e di altri artisti. Per volontà di Troilo dei Rossi esiste un suo ritratto nella rocca di San Secondo Parmense, opera di Orazio Sammocchini. Un suo ritratto ottocentesco si trova anche in una nicchia nel lato corto degli Uffizi verso l’Arno, accanto ad altri famosi uomini d’arme fiorentini come Francesco Ferrucci, Pier Capponi e Farinata degli Uberti. Presso il museo Stibbert, sempre a Firenze, è visibile il corsaletto funebre del condottiero.  Amico di Matteo Bandello che gli dedica una sua novella. Molte sono le sue biografie; nel 1914 è stato pure pubblicato sulla sua figura un romanzo storico in fascicoli con disegni di O. Amadio. Biografia di A. Mondi e di Luigi Capranica (quest’ultima romanzata); Francesco Strozzi gli dedica la sua traduzione dal greco dell'”Anabasi” di Senofonte. Su Giovanni dei Medici sono stati realizzati alcuni film come “Giovanni delle Bande Nere” di Mario Caserini (1911); “Condottieri” di Luis Trenker e Werner Klinger (1937); “I condottieri.  Giovanni delle Bande Nere” sempre di Luis Trenker (1950); “Giovanni delle Bande Nere” di Sergio Grieco (1956, protagonista Vittorio Gassman); “Il mestiere delle armi” di Ermanno Olmi (2001).

CITAZIONI

-“Lasciò un’ottima disciplina militare ai tempi nostri.. Fu questo signore di statura più che comune, di capo piuttosto grosso che altrimenti, di viso pieno e colore più che altro pallido, di poca barba e rara, di bellissima carnagione, in che molto si rassomigliava alla madre, come ancora nelle opere..; gli occhi non furono né grandi, né piccoli, il naso piccolo e seguente, di bocca onesta e di una voce spaventevole, quando nel combattere esortava e comandava, largo nelle spalle, il braccio tondo e grosso, il quale aveva sì forte che non trovava riscontro che lo reggesse, la mano era piena, corta e fortissima, e del dito anulare era stroppiato, nella cintura stretto, di bellissima gamba, di piè piccolo, bellissimo cavalcatore e giuocatore di palla grossa, gran lottatore e nuotatore, tirava il palo di ferro molto forte massimamente all’indietro; ebbe in odio ogni sorte di giuochi e di buffoni, e fu di pochissimo cibo e sano del corpo, perché non ebbe mai infermità grave, piacevagli più l’acqua che il vino, fu pazientissimo nel tollerare ogni sorte di disagi massimamente la fame e la sete…. Voleva che i suoi soldati avessero cavalli turchi e ginnetti, e fossero ben armati con le celate alla borgognona, talché per opera sua e per lo comodo di tale uso gli uomini d’arme si sono quasi che dismessi in Italia, facendo questi con minore spesa e con più prestezza spesse volte l’uno e l’altro effetto. Fu ancora quello che rinnovò la milizia che chiamano lance spezzate, la quale si fa di uomini segnalati e bene stipendiati, i quali a cavallo e a piè seguono sempre la persona del loro capitano, senza essere ad alcun altro soggetti; e di queste tali ne nascono uomini di gran reputazione e autorità, secondo il valore loro e benevolenza del signore.” G. G. ROSSI DI SAN SECONDO

-“Chi potrà mai mirando in questo vaso/ Ov’è sepolto di Marte ‘l figliuolo/ Per comun bene non pianger meco, solo/ Per la memoria di sì acerbo caso?/ Egli fè già tremar l’orto e l’occaso,/ E mandò il nome suo di polo in polo,/ Ed or per trarci fuor di pianto e duolo,/ Cesso di vita in polve è rimaso./ E de’ Medici fu l’almo Giovanni,/ Ch’al Po, a Governo il stuol tedesco estinse/ Vivendo invitto infino a vent’ott’anni,/ Per liberar l’Italia a ciò si spinse,/ E senza parca la Parca era a’ suoi danni/ Cesare era, che venne, e vidde, e vinse.” Da un epitaffio di G.G. ROSSI DI SAN SECONDO

-“The most famous corps d’élite of the closing campaigns, Giovanni de’ Medici’s Black Band, was composed of light infrantry and light cavalry. Later,..a force of mounted infantry was added. The discipline and efficiency of the Black Band and the competition among commanders to secure its services bear witness to the progress which had been made in specilization since the days of the lance system.” TAYLOR

-“Prestantissimo condottiere e sopra ogni altro formidabile a’ barbari in subite scaramucce.” SANTORO

-“Sembrerebbe … che il Medici stimasse i propri dipendenti come sue “creature”, ossia come una cerchia dilatata di famigli più che come mercenari veri e propri, pendagli da forca, com’erano usualmente considerati, pronti alla rapina e al saccheggio ogni qual volta se ne fosse data l’occasione. Si trattava in realtà di un principio che recuperava uno schema ancora di tipo feudale, …non dissimile da quella che il nobile era solito condurre in battaglia al proprio seguito della fine del Duecento e che si era modificata concettualmente assai poco con l’evolversi delle tecniche belliche….Metà cavaliere medievale e metà avventuriero alla ricerca di un proprio feudo e d’un proprio fulgido destino individuale, questo giovane guerriero mise in pratica le più innovative tecniche militari del suo tempo. Fu severo, forse anche duro, con i suoi, così da avere una obbedienza e affidabilità totale delle sue truppe, che dovevano eseguire gli ordini con quella stessa precisione che egli apprezzava nelle proprie cavalcature. Precorrendo i tempi fece di una masnada di uomini una vera e propria schiera, una “banda” capace di eseguire all’unisono i suoi ordini, come fa intendere l’aneddoto che vuole Niccolò Machiavelli incapace di far manovrare i tremila fanti messi ai suoi ordini da Giovanni, che invece, in breve, facendo uso di tamburini e musicanti, secondo l’uso militare del tempo, riesce a farli muovere a proprio piacimento in brevissimo tempo.” L’aneddoto è raccontato da Matteo Bandello. SCALINI

-“Questo è l’altiero e sopraumano essempio/ del gran Giovanni de’ Medici invitto,/ del quale il corpo, e la vittoria ascritto,/ brama ogni tomba, ogni sacrato tempio./ Piange l’istoria il suo immaturo scempio/ mentre ogni penna il duro caso ha scritto,/ e l’Arno di Fiorenza, e il Nil’ d’Egitto/ erede è di sua fama senza essempio./ I cieli a gara volsono tutti quanti/ l’ardito e magno spirto, ch’or si serra/ dov’è ‘l Dio de i dei, Santo de i santi./ Sì ch’ognun miri il vittor d’ogni guerra,/ che par che dica a Marte ne i sembianti:/ “Guarda tu il ciel, ch’io guarderò la terra”……Il vigor de l’animo era incredibile. La liberalità fu in lui maggior del potere, e più donò ai soldati che per sé, soldato, non lasciò. La fatica sempre sostenne con grazia de la pazienza, l’ira nol signoreggiava più, e aveva trasformato il suo fare in dire. Egli apprezzava più gli uomini prodi che le ricchezze, le quali desiderava per isfamarne loro. Ed era difficile a conoscere, da chi nol conosceva, e ne le scaramucce e negli alloggiamenti i suoi de lui: perché, combattendo, si dimostrava sempre ne la persona dei privati e dei gradati; e, standosi in pace, mai non fece differenza da se stesso agli altri, e ne la viltà dei panni, con cui disornava la persona, era il testimonio de l’amore che portava a la milizia, ricamandosi le gambe, le braccia e il busto con i segni che stampavano l’armi. Fu cupidissimo di lode e di gloria, ma, col fingere di sprezzarle le desiderava.” P. ARETINO

-“Più che le guerre, Giovanni vinse battaglie e scaramucce; per dispettosa sventura, le due ferite di Pavia e di Governolo, lo estromisero dall’agone proprio quando la sua azione poteva rivelarsi decisiva. Non ebbe il comando di eserciti, solo di poche unità, cosicché non poté dare la misura delle sue qualità di stratega, se ne aveva. Fu un tecnico della guerra, non un politico, e tanto meno un idealista. Combattente temerario, fulmineo nel compiere e risoluto nell’attuare un disegno tattico, si trovò spesso, ad onta del suo valore personale, dalla parte degli sconfitti, avendo contro di sé la sfortuna, gli intrighi della politica, le eterne ristrettezze finanziarie, una bizzosa volubilità (inn quattro anni, due volte con l’impero, due volte con la Francia) e la gelosia, mista a inettitudine, dei celebrati comandanti supremi.” MARCHI

-“Se bene giovane di venticinque anni e di animo ferocissimo, la esperienza e la virtù erano superiori agli anni e, mitigandosi ogni dì il fervore della età e apparendo molti indizi espressi di industria e di consiglio, si teneva per certo che presto avesse a essere nella scienza militare famosissimo capitano.” GUICCIARDINI

-“Scomparve con lui una figura caratteristica della decadenza d’Italia, un misto di eroismo e di libertinaggio.” GREGOROVIUS

-“Visse paganamente la sua “ventura”, sempre rincorrendo il soldo, sempre in credito con i datori di lavoro, come nessun altro condottiero contemporaneo, sempre pronto perciò a trovare risorse per restare a galla, se non della gloria, almeno dei piaceri della vita.” RENDINA

-“Capitano animoso e valente..Molto esercitato nelle scaramuccie, perciocché non v’era alcuno che sapesse meglio di lui allettare il nemico assaltarlo all’improvista fare un’imboscata ingannarlo ritirarsi e combattere con vantaggio..Capitano di maravigliosa, ma sfortunata virtù.” GIOVIO

-“La virtù fu tanto diversa e stravagante da quella di ciascun altro guerriero, che molti la chiamavano più tosto bestialità e bizzarria, che valore, ancoraché negli ultimi anni aveva molto di quella fierezza e crudeltà, che smisuratamente odioso e tremendo il rendevano, rimesso e scemato. In qualunque modo egli ne’ tempi suoi, ne’ quali fiorirono uomini di guerra secondo la moderna milizia eccellentissimi, ebbe di consiglio pochi pari, di gagliardia pochissimi, e d’ardire nessuno.” VARCHI

-“Il quale con singolar virtù nel mestier dell’armi per dieci anni e non più esercitato da lui, aveva acquistato fama e riportato gloria tanto illustre che pochi Italiani, benché segnalati di più grado la conseguirono: e del suo, che non era mai giunto a generalato nessuno, egli di privata, benché illustre fortuna, svegliatosi ad altissime imprese aggiunse colla gloria dove nessun principe italiano o generale di questa nazione mai aggiugnesse dopo la perduta reputazione della romana milizia.” SEGNI

-“Feroce, impetuoso, arditissimo riuscì..il maggiore condottiero de’ suoi tempi, tipo eroico degli ultimi capitani di ventura.” DE BLASIIS

-“Ciascuno tiene ancora il sig. Giovanni audace, impetuoso, di gran concetto, pigliatore di gran partiti; puossi dunque ingrossandolo segretamente rizzare questa bandiera, mettendogli sotto quanti cavalli e quanti fanti si potesse..e quando questo si facesse, ben presto farebbe aggirare il cervello agli Spagnuoli..se questo rimedio non c’é, avendo a far guerra non so quale sia…Fu Giovanni misericordioso, e non solamente dava elemosine a chi le domandava, ma molte volte al bisogno de’ poveri senz’essere domandato soccorreva. Amava ognuno: i buoni lodava e de’ cattivi aveva compassione. Non domandò mai onori, ed ebbeli tutti. Non andò mai in palagio se non chiamato. Amava la pace, e fuggiva la guerra. Alle avversità degli uomini sovveniva, le prosperità aiutava. Era alieno dalle rapine pubbliche, e del bene comune aumentatore. Ne’ magistrati grazioso, non di molta eloquenza, ma di prudenza grandissima. Mostravasi nella presenza melanconico, ma era poi nella conversazione piacevole e faceto.” MACHIAVELLI

-“Il quale in quelli assalti non solo fece singulari pruove di eccellente capitano, ma ancora di ferocissimo e gagliardissimo soldato: qualità che rarissime volte insieme in un solo concorrono, perché, dove vuole esser maggior prudenza, si scuopre ancora maggiore il timore, per la quantità dei pericoli che antivede..E ancora che egli fosse superbo, e molto dedito alle cose veneree, nondimeno senza comparazione era maggiore la liberalità, la tolleranza, l’animosità con la perizia del mestier dell’armi.” L. GUICCIARDINI

-“Rinovò nei suoi soldati per eccitarne la prodezza, o piuttosto la insania, gli argomenti che, in antico, si trova essersi praticato nelle legioni lacedemonia, e tebana.” GUERRAZZI

-“Se rapprochant beaucoup de lui (Ferdinando d’Avalos) par la fertilité des expédients et de l’hereuse audace des entreprises”. MIGNET

-“Così giovane, divenne in breve tempo di tanto nome e fama per il suo valore, quanto tutto il mondo sa: e se la vita ancora molto acerba non li fusse stata interrotta dalla troppa intempestiva morte, cominciandosi a maturare quella sua naturale fierezza e la pratica riducendosi in arte, nessuna cosa si poteva già in lui desiderare che gli mancasse a farlo reputare fra gli eccellenti capitani il primo dei primi.” NARDI

-“Fu il più gran guerriero che l’Italia avesse al suo tempo: con l’istituire fanterie compatte, disciplinate, con assise uniformi (di qui il nome di uniforme)..Infaticabile, inesorabile, indomabile, era chiamato Fulmine di guerra, il Gran Diavolo.” PASOLINI

-“Uomo molto strenuo nell’armi, e d’ingegno forza et animo sopra ad ogni altro de’ suoi tempi.” UGHI

-“Quella dannata et lacrimevol morte/ del magnanimo Medece Giovanni,/ d’Italia defensor vigile et forte,/ honor de l’armi et gloria de’ nostri anni/…/ Era sì vigilante in guerra quello/ che da le fralde hostili & da gl’inganni/ non fu giamai trovato se non desto/ dando a gli altri riposo con sua affanni/ sicuro più dormiva tutto el resto/ quando veggiava il potente Giovanni/ che sicure non eran le altre torme/ deste & munite quando quel sol dorme.” FALUGIO

-“Valoroso capitanio di primi d’Italia et lo più temudo de Spagnoli.” AMASEO

-“Il estoit tenu un de plus hommes de guerre d’Italie.” DU BELLAY

-“Lequel à la verité entendait plus à faire la guerre que tous ceux qui estoient auprès du roy, ayant sous sa charge trois mil hommes de pied, les meilleurs qui furent jamais en Italie, avecques trois cornettes de gens de cheval; et croy fermamént, comme aussi font bien d’autres que moy, que, s’il se fust trouvé sain à la bataille (Pavia), les choses ne fussent pas allées si mal comme elles allèrent.” MONLUC

-“Colla liberalità e grandezza dell’animo suo andava acquistando fama grandissima nell’arte militare, della quale aveva fatto infino da’ teneri anni, sua principale professione, e andava con tali mezzi acquistando co’ Principi grande tanta, e tal reputazione, che pareva, che ad esser principe non gli mancasse altro che il principato.” NERLI

-“Capitano di molto valore.” OROLOGI

-“Il tuo morir causò l’aspra crina/ Di tutta Italia, e veramente sue/ Non tuo destin, ma fato empio di lei.” A.F. Ranieri, da un sonetto raccolto dal GIOVIO

-“Hebbe questo signor Giovanni dalle fascie quanto haver si potea de generosità, era il vigor dell’animo suo incredibile, in lui più del potere fu la liberalità maggiore, la fatica sempre sostenne con grazia della paciencia. Egli apprezzava più gli huomini prodi che le ricchezze le quai desiderava per darle a loro, combattendo sempre nella persona de privati, e de graduati dimostravasi, e standosi in pace mai da se stesso a gli altri fece differenza, hora a voler summere pochi o niuno aggiunse a tal segno di qua e di là creggio che fia uno di più pregiati, che appresso di Marte trovasi che l’arte militare habbia pregiata.” GUAZZO

-“Riuscì uno de’ maggiori guerrieri d’Italia.” LOSCHI

-“Detto il Marte del secolo.” LETI

-“Ne gli anni ancor giovanili fu di tal chiarezza nell’armi, che pareggiò non solo i più pregiati Capitani dell’età sua, ma parimente quei dignissimi, che in molti secoli avanti a lui erano, e, si, come egli all’Italia fu conceduto per un suo militare ornamento, così le fosse stato permesso non rimanerne sì tosto priva, si sarebbe ella forse di straniera servitù tolta e rimessa nella sua propria libertà.. Fu Giovanni dei Medici di statura giusta e traversato, la carnagione hebbe bianca, gli occhi e capelli neri.” ROSCIO

-“Divenne.. tremendo nelle cose belliche come colui ch’era d’animo invitto, di feroce ingegno e di grandissimo cuore percioché egli vinse infinite battaglie: prese per forza diverse terre.” SANSOVINO

-“Fortissimo e valorosissimo eroe nella guerra..; benché assai giovane, nello scoprire, nell’accampare, nell’investire, nel ritirare ed in ogni altra azione militare, acquistò fama di prode Capitano.” ALLEGRINI

-“E’ il più gran guerriero de’ Fiorentini.” PIGNOTTI

-“Famoso condottiero italiano, soprannominato il Gran Diavolo.” BOSI

-“Ses ennemis memes avouerent que s’il eut vecu plus long-temps, il avait égalé les plus illustres capitaines de l’ancienne Rome. Il avoit toutes les vertus militaires: et son caractere particulier étoit de se rendre compagnon de tout le monde, sans qu’on perdit pour cela le respect qu’on lui devoit: et de faire tout le bien qu’il pouvoit aux soldats, dont il avoit reconnu la valeur.” VARILLAS

-“Sangue sforzesco e sangue mediceo, risuscita le vecchie imprese delle compagnie di ventura.” AMBROGETTI

-“Rappresenta il classico esempio del condottiero uscito da una grande famiglia e che, non essendo erede diretto, doveva scegliere fra le due carriere più remunerative e più prestigiose del momento: quella ecclesiastica e quella militare.” ARGIOLAS

-“Uomo sì per valore, come per ardir militare assai rinomato.” A. MOROSINI

-“De caractère impétueux, aimé du soldat et pouvant tout se permettre.” PERRENS

-“Dotato di rari talenti ed audacissimo.” PAOLINI

-“Montò il sig. Giovanni in tanta riputazione per sì illustri pruove, che s’acquistò il nome d’invitto.” MANNUCCI

-“Egregie strenuus.” CAPELLA

-“El quale era uno grande guerere contra spagnoli e non estimava pericoli.” DE’ BIANCHI

-“Era Giovanni alto, pallido, robustissimo, gran lottatore e nuotatore, e avea voce spaventevole quando comandava. Era frugale, non beveva mai vino, vestiva positivo, sprezzava le lettere, odiava i buffoni, amava molto le donne, e niuno lo superava con esse in cortesia. Era sì affabile, quando voleva, che senza denari conduceva i soldati ove più gli piaceva, sapendo essi, che quando ne aveva, era liberalissimo. Ma nelle sue iracondie sì violento, che uccideva i soldati di sua mano. Veloce nelle sue operazioni, franco nel parlare, senza fasto, senza orgoglio. Dileggiava i grandi e i preti, e quando incontrava frati a cavallo glielo toglieva dando loro un ronzino, dicendo che quello bastava per andare al capitolo. Un uomo di tal tempra non usava dormir solo, perché temeva i folletti. Mitigandosi in lui a poco a poco l’ardor dell’età, ed aumentandosi l’esperienza, doveva riuscire il primo capitano del suo secolo.” LITTA

-“Una delle prime spade de’ tempi.” MAGENTA

-“Ciascuno credo che creda che fra gli Italiani non ci sia capo a chi li soldati vadino più volentieri dietro, né di che Spagnuoli più dubitino e stimino di più: ciascuno tiene ancora il signor Giovanni audace, impetuoso, di gran concetti, pigliatore da gran partiti; puossi adunque, ingrossandolo segretamente, fargli rizzare questa bandiera, mettendogli sotto quanti cavalli e quanti fanti se gli potesse più.” Da una lettera del MACHIAVELLI al Guicciardini

-“Rinomato guerriero.” UGOLINI

-“Il qual fu nell’armi Capitano molto valente e di gran nome.” PASSI

-“Muy valiente caballero..capitan de caballos escelente..Que fue uno de los animosos y atrevidos capitanes de su tiempo.” SANDOVAL

-“Condottiero, soldato di ventura..  non aveva mai avuto parte nelle vicende politiche fiorentine..; nessuna macchia poi offuscava la fama di eroe popolare che si era guadagnata coi suoi successi militari e con la tragica e prematura morte seguita alle ferite riportate in battaglia.” HALE

-“Sapeva a malapena segnare d’uno sgorbio illeggibile, da uomo che non dominava la penna, i laconici ordini che dettava ai suoi agenti dal campo. Sempre in mezzo ai debiti, conduceva una vita dissipata e randagia da soldato di ventura. Nei rari momenti di ozio le uniche persone con cui aveva dimestichezza e commercio erano donne di malaffare; per il rimanente la sua vita passava in liti, disfide cavalleresche e imprese militari che affrontava con spericolato coraggio.” CANTAGALLI

-“Valoroso, Capitano di grande spirito e di tanta ferocia che fu ammirato e reputato per un vero ritratto dell’antica virtù italiana. Per lui adunque paiono composti quei versi “che l’antico valor/ Negl’Italici cuor non è ancor morto”..Diveniva in lui ogni giorno maggiore la scienza dell’arte militare, superando la virtù gl’anni, accompagnata da matura prudenza, industria e consiglio, di sommo, fortunato e fra i primi Capitani il più famoso.” BENCI SPINELLO

-“Divenne il più valente capitano della casa de’Medici, sì che venne automaticamente appellato Folgore di guerra.” P. BONOLI

-“La perizia sua militare ed il suo valore aveangli acquistato ancor vivo il glorioso soprannome di fulmine di guerra.” BURRIEL

-“Il suo nome divenne segnalato per tutta l’Italia ai tempi delle contese di Carlo V e di Francesco re di Francia.” I. CANTU’

-“Fu il Medici uno dei più famosi capitani delo tempo per valore e per nequizie.” SELETTI

-“Avea questo signore tanta buona volontà verso de’ suoi, ed essi tanto lo amavano, che senza soldo l’arebbono più servito che qualch’altro capitano colle gran paghe non arebbono fatto.” Da una lettera di Ludovico Antonio Cuppano, riportata dal GUASTI

-“Tra gli Eacidi illustri/ E’ il figlio altier della cerulea Teti;/ Tal fia quinci a mille anni/ tra i Medici Giovanni/…/Quale Orion, qual fu per l’onde Arturo/ Indomito, nemboso:/ Qual fulmine fragoso,/ Che squarcia delle nubi il grembo oscuro;/ Che turba il mar, ch’empie d’orror la terra./ Tal fu la destra di Giovanni in guerra./ Egli or sull’Alpe, or in sentier palustro,/ Or con lancia, or con spada,/ Or calpesta, or dirada,/ Or di gran sangue aspre torrenti illustri;/ Or le torri, or le terre arde, e distrugge/ Lo sparge indi per alti aura, chi fugge.” CHIABRERA

-“Oggi Giovanni dalle Bande Nere rivive nell’audacia guerriera delle nuove generazioni fasciste e, con occhio marino come colui che ebbe anche una flotta e corse l’Adriatico, sta ritto in armi sul ponte dell’incrociatore veloce e munito che ne porta il nome invincibile.” Da Regime Fascista. Aprile 1922. BRAVETTA

-“C’est un paladin, c’est un preux, il méprise l’artillerie, comme Bayard, il ne veut pas connaitre les armes nouvelles; vivre et mourir joyeusement c’est la loi du vrai chevalier..Parmi les machines à tuer, plus ou moins savamment construites, qu’on nomme les grands capitaines, il fut une de plus grossières et de plus belles, comme une arme barbare.” GAUTHIEZ

-“Estimé l’un des grands capitaines de l’Italie, et pour tel regretté, et jugé que, s’il eust fourny ses ans selon les cours, il n’en fut jamais un tal Italien: car il avoit toutes les vertus d’un gran capitaine, et surtout compaignon de tout le monde, et très liberal.” BRANTOME

-“Se Giovanni si corruccia/ Carlo Quinto fa cilecca/ e val men di picca secca (recluta inesperta)/ nella prima scaramuccia./ Se Giovanni si corruccia/ la genia lanzichenecca/ che sgavazza e saltabecca/ mogia e pavida s’accuccia./ Lurchi, lurchi, Iddio vi danni/ e vi stermini Giovanni.” Da un canto si soldati riportato da MARCHI

-“Il Medici, che sin dall’infanzia aveva dimostrato un temperamento violento e insofferente all’autorità, solo in parte frenato dalla forte figura materna, divenne un adolescente rissoso e dissoluto, amante delle armi, del gioco e delle donne, costretto per lunghi periodi lontano da Firenze nelle sue proprietà di Castello e di Trebbio a causa delle sue violente intemperanze..la morte, qualunque ne sia stata la causa effettiva, rappresentò il vero punto di inizio del mito del Medici. Sebbene nel corso della sua esistenza avesse raggiunto una certa fama, egli non si era sostanzialmente distinto dagli altri giovani e capaci comandanti della sua generazione che erano caduti sul campo nel corso della fase più sanguinosa e violenta delle guerre d’Italia prima di poter raggiungere la maturità militare. Il Medici aveva partecipato a una sola grande battaglia (quella della Bicocca), giocando in essa un ruolo abbastanza marginale e militando tra i perdenti. I suoi più grandi successi li ottenne al comando di alcune centinaia di cavalieri e di una unità di fanteria le cui dimensioni non superavano quelle di un reggimento e, secondo la terminologia militare dell’epoca, di un “colonnello” (termine che indicava sia l’unità, cioé un corpo tra le 1000 e le 3000 unità, sia il suo comandante), raggiungendo il rango di generale solo nel corso della sua ultima campagna. Inoltre il Medici rimase per tutta la vita una figura di secondo piano nel contesto della famiglia Medici, e lasciò alla moglie e al figlio Cosimo un patrimonio familiare dissestato dai debiti e il peso di una reputazione postuma di soldato che a Firenze.. rappresentò inizialmente più un’eredità imbarazzante che un merito…Il primo abbozzo di quello che era destinato a essere il mito del Medici fu elaborato da Pietro Aretino, che era stato suo confidente e, alla fine, testimone diretto della sua agonia..Fu tuttavia suo figlio Cosimo, eletto inaspettatamente duca di Firenze nel 1537, a promuovere la complessa rielaborazione letteraria e iconografica della figura paterna, destinata a trasformare il Medici in un invincibile rinnovatore dei costumi e delle tattiche della milizia italiana, il degno (seppur sfortunato) genitore del nuovo “pater patriae” di Firenze, capostipite della dinastia dei granduchi di Toscana…La necessità da parte dei letterati e degli storici risorgimentali di scoprire nel Medici una nota di moralità e coerenza personale, in una vita professionale caratterizzata da frequenti cambi di bandiera, e di distinguerlo nettamente dai suoi “imbelli” e “tirannici” discendenti portò alla progressiva enfatizzazione del lutto preso dal Medici e dalle sue truppe in occasione della morte di Leone X..anticipando la nascita di Giovanni dalle Bande Nere alla fine del 1521. Col passare del tempo e il complicarsi dell’intreccio tra “inventio” letteraria e storiografica da cui aveva tratto origine, Giovanni dalle Bande Nere finì con l’acquisire vita e caratteristiche proprie, divenendo una figura sempre più distinta e autonoma dal Medici storico. L’apice della elaborazione e della popolarità del personaggio, il sovrapporsi degli effetti della reazione culturale alla retorica militarista fascista e di quelli del prolungato disinteresse manifestato dagli storici italiani nei confronti della storia militare dell’Età moderna ha fatto in modo che la figura del Medici cadesse nell’oblio e non fosse ripresa in esame in modo organico fino ai tempi storiograficamente recenti, rimanendo prigioniera di quella di Giovanni dalle Bande Nere.” ARFAIOLI

-All’assedio di Pavia “Et propinqui al nemico si acostorno/ scaramuciando svalisando ognora,/ tal che Paulo de Selva hebe un mal giorno/ e il gran signor Zanin (Giovanni dei Medici) et altri anchora,/ che a racontarli saria pocho un giorno,/ svalisati in bataglia e la malhora.” Da un poema di Francesco Mantovano riportato dal MEDIN

-“Giovangirolamo de’ Rossi systematically censured episodes from the life of Giovanni de’ medici that could seem questionable and unworthy of such a great hero..In writing about them, classical references were used (and abused). For Pietro Aretino, Giovanni delle Bande Nere resembled an ancient hero: liberal, courageous, hardy, honest and frugal. His horse Sultano – like Bucephalus, the steed of Alexander the Great – would not allow anyone but its owner to mount it. Giovanni’s death, like those mendioned above, was mourned as the death of a great warrior by Giovio, Nerli, Segni, Cellini and Pietro Aretino. This is a multifaceted consideration that, as we know, was also echoed by Guicciardini and Machiavelli, who certainly cannot be accused of being overly partial towards mercenary soldiers.” BALESTRACCI

-“Le Bande Nere erano la migliore e più reputata fanteria e la più temuta..era anche la più insolente e la più rapace e fastidiosa…Chiunque entrava nelle bande di Giovanni dei Medici veniva da lui medesimo individualmente esercitato nel maneggio delle armi e nelle evoluzioni; né mai poteva sperare di venir promosso a maggior paga, se non dopo aver combattuto in persona con lui, e dopo aver vinto in isteccato un avversario a piedi ed a cavallo. I gradi venivano dati al merito; sicché ogni rara ed audace fazione trovava senza fallo premii corrispondenti. I vili, i pigri venivano infamati, banditi dal campo, e sovente condannati a morte, senza altra sentenza che quella del condottiero; il quale non di rado colla propria spada l’eseguiva.” RICOTTI

-“Oltreché una scarsa sensibilità morale ed affettiva, ebbe anche una mediocre, se non deficiente, intelligenza; fu leggero, imprevidente, incostante.” PIERACCINI

-“In un periodo di eclissi delle fortune militari italiane e con i principali condottieri al servizio di Spagna e Francia Giovanni rappresentò l’unica forza in qualche misura “nazionale” e perciò è stato seguito con grande attenzione dagli storici patri, che lo elessero ultimo eroe prima delle dominazioni straniere. Il suo ruolo è stato esagerato; Giovanni fu semplicemente un buon condottiero, portato all’attacco coraggioso e spericolato, con una milizia nella quale accoglieva qualsiasi avventuriero o ribaldo, purché si sottomettesse a una disciplina interna ferrea, avendone in cambio una protezione completa, basata sullo spirito di corpo e la solidarietà dei commilitoni.” SCARDIGLI

-“Riuscì in meno di dieci anni a creare un esercito che era fra i più temuti del tempo, anche perché egli introdusse due novità. La prima era quella di sottoporre le sue schiere ad un assiduo controllo e addestramento e per questo cercava di vivere il più possibile fra loro. La seconda novità fu quella di dar vita a una fanteria mobile e di assegnarle un compito decisivo in battaglia, in contrasto con la tecnica militare del tempo che affidava alla cavalleria il ruolo più importante negli attacchi, mentre lasciava all’artiglieria e alla fanteria solo la funzione di appoggio.” DELLE DONNE

-“Morì sul campo di battaglia, nel fior dell’età, procacciando con la sua fama il trono della Toscana al suo figliuolo Cosimino, primo granduca. Ma chi fra i nostri scrittori celebrò il nome di questo giovine eroe? Per coronare una tomba italiana, io debbo cogliere i fiori in terre straniere.” FOSCOLO

-“Giovanni had become known far and near by a new name: “Giovanni d’Italia”. It was a tribute derived from the hopes and expectations of his countrymen. Intituively he recognized the responsability implied by the name, and assumed the burden of leadership. Now he was moody, heartsick, disturbed. As buttresses he had the admiration of Machiavelli, the sympathy of Aretino, and the faith of the people.” DEISS

-“Uno dei suoi (Francesco I) più abili comandanti.” KONSTAM

-“Era venuto il Sig. Giovanni in tal credito, et riputatione per il valore suo appresso a tutti i grandi uomini di guerra, che quando accadeva parlare in una consulta, tirava il più delle volte la maggior parte degli animi degli altri nella sua oppinione.” CIAMPI

-“Fu reputato alquanto più licentioso ed ardito che non sarebbe stato di mestiere. Fece ben presto conoscere che quella sua arditezza non derivava punto da animo tirannico, o violento; ma da una certa naturale sua magnanimità: la quale era ben presto per partorire fatti egregij, et valorosi..Egli acquistò tanto nome di prudenza, et di peritia militare appresso a tutti gl’altri, che (benché molto giovane) già fra i più maturi, ed i esperti Capitani d’Italia veniva commemorato.” CINI

-“Morì nell’anno ventesimo ottavo dell’età sua, lasciando fama di esperto e valoroso capitano. Le sue bande continuarono ad essere distinte col soprannome di Nere, perché in segno di dolore per la morte del loro generale portavano insegne di colore oscuro.” CASALIS

-“Ne gli anni ancor giovanili fu di tal chiarezza nell’arme, che pareggiò non solo i più pregiati Capitani dell’età sua, ma parimenti quei dignissimi che in molti secoli avanti a lui stati erano..Fu Giovanni de’ Medici di statura giusta, e traversato: la carnagion hebbe bianca: gli occhi, e i capelli neri.” CAPRIOLO

-“Huomo tanto famoso in armi.” LAZARI

-“Aveva creato le bande nere, tanto temibile milizia di quei tempi, e che governandole  in guerra, si era acquistato nome di tremendo ed invitto guerriero.” BOTTA

-“Evitando per quanto possibile gli scontri frontali, alleggerì le armature dei cavalieri e sostituì tradizionali massicci cavalli da guerra con cavalli più esili ma più agili, suddividendo i reparti in unità che sapevano muoversi molto velocemente e all’unisono. Questa elasticità di movimento consentiva al comandante di attaccare il nemico in modo imprevedibile, di cambiare la strategia adattando il nemico in modo imprevedibile, di cambiare la strategia adattando i movimenti all’individuazione dei punti deboli dell’avversario o all’evolversi della battaglia stessa..Per quanto riguarda i reparti di fanti si avvalse sempre di una fanteria mobile o “fanteria montata” che, sempre per esigenze si velocità e mobilità, si sposta a cavallo per poi scendere e combattere a piedi.. Tutte queste innovazioni si accompagnavano ad un uso più versatile dell’artiglieria leggera o dei balestrieri a cavallo, che contribuivano a disorientare e a sfibrare le tradizionali compagini.” SPADA

-“Quando oggi, a tanti secoli di distanza, si parla di lui, si tende a considerarlo l’ultimo grande condottiero della storia patria. In realtà la sua vita fu troppo breve perché il giudizio sia pienamente giustificato.” ADAR

-“L’ultimo grande capitano di ventura nella storia d’Italia.” LO MARTIRE

-“Era irascibile, impaziente, violento, non dimenticava e non perdonava le offese, non tollerava la contraddizione, rendeva ad usura il bene e il male. Ma era franco e leale e in ogni circostanza pagava di persona a viso aperto. Sdegnava la perfidia delle vendette occulte. I pugnali, i veleni, i trabocchetti, usati largamente dai principia di allora per sbarazzarsi dei rivali incomodi, non erano armi di cui si compiacesse. terribile nell’impero dell’ira, e nella rossa vampa della zuffa, a mente fredda non sapeva essere crudele… A differenza di tanti personaggi della sua illustre casa, gran mecenati e spiriti ornatissimi, protettori e cultori di tutte le arti belle, non era uomo di studi e di scritture: sembrava che la penna gli bruciasse le dita, e ne fan testimonio le sue missive brevi che parlano quasi tutte di “cavalli turcheschi”, di debiti e di donne, con uno stile barbaro e stentato, irto di solecismi e di ripetizioni. Tuttavia quali amici e commensali tenne dei letterati di gran fama come Matteo Bandello e l’Aretino, a cui fu largo di aiuti pecuniari… Riuscì.. a circondarsi di una vera “Compagnia della Morte”, pronta ad entrar nel fuoco ad un suo cenno. Magnifici soldati, nati per far la guerra, strumenti incomparabili in mano al grande artista che avea posto ogni cura a renderli perfetti: spade vive, temprate in cento scontri. Paolo Luzzasco, Amico da Venafro, Pompeo Ramazzotto, Lucantonio Cuppano, Giovanni di Torino, Ivo Biliotti detto lo Straccaguerra, Bartolomeo del Monte, Sampiero da Bastelica (Sampiero Corso), Otto da Montauto, Moretto Calabrese, Pandolfo Puccini, Iacopo Bichi e tanti altri, italiani di tutte le regioni: toscani, romagnoli, piemontesi, lombardi, e siciliani e corsi, ed anche greci, dalmati e albanesi, come Teodoro Gondoras, Demetrio Larisa, Alessandro Lascaris.” A.A. MONTI

-“Non fu mai un grande stratega, ma un uomo di guerriglia.. Non per nulla il suo emblema era.. una saetta con il motto, Rompente”. Lui  e i suoi uomini, scelti forti e audaci come lui, “rompevano” i nemici, facevano  strage e, dopo il colpo, si ritiravano. Lui andava sempre avanti per primo e diceva alle bande di “andargli dietro”, di non superarlo mai.” BATINI

-“A seguito della morte del Medici, il figlio Cosimo, futuro Granduca di Toscana, commissionò diverse opere in memorie del padre, esaltandone il valore  militare. Tra queste abbiamo l’opera letteraria di Giovan Girolamo de’ Rossi (1505-1564) che nella Vita di Giovanni dalle Bande Nere ne esaltò le possenti caratteristiche fisiche. Ciò ben gli valsero il soprannome di “Folgore di guerra” inciso sul retro di una medaglia risalente al 1546 che lo ritraeva. Il suo simbolo diventò il simbolo alato di Giove per indicare la rapidità delle sue azioni in guerra, assimilando così il condottiero alle divinità antiche. In materia di opere scultoree, dove il richiamo all’antichità era sempre presente, Baccio Bandinelli realizzò la statua del condottiero, adesso collocata davanti alla chiesa di San Lorenzo a Firenze. Il Medici è rappresentato con indosso un’armatura antica, mentre impugna in mano una lancia spezzata, possibile simbolo di onore cavalleresco. Questo richiamo all’antichità ebbe larga fortuna in quanto gli artisti Giorgio Vasari e Giovanni Stradano lo rappresentarono sia sotto le fattezze di Marte che sotto quelle di Alessandro Magno. In seguito la sua immagine, nel Risorgimento, fu esaltata come eroe nazionale. Ma fu con l’avvento del fascismo che la figura del Medici venne preso a modello da Benito Mussolini. Per esaltare la sua immagine Giovanni dalle Bande Nere fu interpretato tramite la cinematografia. Nel 1937 uscì il film “Condottieri” diretto da Luis Trenker. Realizzato dall’Ente Nazionale Industrie Cinematografiche e dal Consorzio Condottieri, il film presenta vari elementi di propaganda. Ad esempio le stesse Bande Nere richiamano i capi delle Camicie Nere in quanto tra di loro si chiamano camerati e marciano su Roma. L’attenzione viene anche incentrata sulla musica che evidenzia le scene di massa e la potenza delle armi da fuoco in battaglia. Significativa è la scena finale dove la tomba del condottiero, adornata di una statua dormiente con una spada tra le mani, reca l’epigrafe “Giovanni d’Italia”. Tramite questa reinterpretazione il Medici diventa un eroe nazionale, che tenta di riunificare tutta la penisola sotto il suo dominio. Ben diversa è la trasposizione del 1956 di Sergio Grieco che realizzò “Giovanni dalle Bande Nere”. Rispetto al film del 1937, nella pellicola di Grieco viene ripreso il rapporto tra il Medici e l’antichità romana. I suoi soldati, rappresentati come rigidamente inquadrati nelle bande nere, subiscono punizioni quali le decimazioni di chiara origine romana. Il Medici non è però solo incline alla violenza in quanto viene mostrato anche il suo lato sentimentale. Dopo il ferimento in battaglia riesce a trascinarsi fino al vicino convento dove spira tra le braccia della sua amata.” COSIMO TORRINI in WWW.medieveleggiando.it

-Sulla sua tomba di Mantova è riportato il seguente epitaffio “Joannes Medices Hic Situs Est/ Inusitatis Virtutis Dux/ Qui Ad Mincium Tormento Ictus/ Italiae Fato Potius Quam Suo Acidit/ MDXXVI” L’epitaffio a Firenze è invece “Johannes Medices/ Cognomento invictus” Cosmi I. magni ducis Etruriae Pater.

BIOGRAFIE SPECIFICHE

-E. Allodoli. Giovanni dalle Bande Nere

-V. E. Bravetta. Giovanni dalle Bande Nere

-G. Delle Donne. Giovanni dalle Bande Nere. L’uomo e il condottiero

-M. S. Fabi. Vita di Giovanni dalle Bande Nere

-P. Gauthiez. L’Italie du XVI siècle. Jean des Bandes Noires (1498-1526)

-C. Marchi. Giovanni dalle Bande Nere

-M. Scalini. Giovanni dalle Bande Nere

-M. Vannucci. Giovanni dalle Bande Nere. Il “Gran Diavolo”

-G.G. Rossi di San Secondo. Vita di Giovanni de’ Medici celebre capitano delle Bande Nere

-C.M. Lo Martire. Giovanni dalle Bande Nere

-A.A. Monti. Giovanni dalle Bande Nere

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