Consulta l’Indice anagrafico dei condottieri di ventura
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Indice delle Signorie dei Condottieri: A – B – C – D – E – F – G – I – J – L – M – N – O – P – Q – R – S – T – U – V – Z
ALFONSO PICCOLOMINI Di Acquapendente. Duca di Montemarciano.
Patrizio senese e conte palatino. Signore di Montemarciano, Camporsevoli e Porrona. Detto anche “re della maremma”, “uomo selvatico” e “il prete di Guercino”. Nipote di Nicola Orsini.
1558 ca. – 1591 (marzo)
Anno, mese | Stato. Comp. ventura | Avversario | Condotta | Area attività | Azioni intraprese ed altri fatti salienti |
1558 | Lazio | Nasce nel palazzo degli Sforza di Santa Fiora. Diviene duca di Montemarciano a sedici anni alla morte del padre Giacomo. | |||
1576/ 1577 | Umbria Toscana | Il carattere inquieto e violento non tarda a mostrarsi in frequenti conflitti con esponenti della famiglia Baglioni di Perugia. A metà febbraio 1576, sotto la protezione del duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere, è stipulato il contratto di matrimonio con la figlia di Ludovico della Mirandola, Ippolita. La dote ammonta a 39000 scudi. Presto Montemarciano diviene un ricettacolo per i briganti che infestano lo stato della Chiesa. Il papa Gregorio XIII lo diffida dall’ospitare ricercati nelle sue terre. Si sposta in Toscana. Il granduca Francesco I dei Medici lo protegge anche per il timore procurato dai suoi legami con la nobiltà senese. Nel 1577 si presenta a Siena ed è incarcerato per alcuni mesi dal governatore Federico da Montauto. Liberato, si reca a Pienza dove è accolto in trionfo. Vanta legami di parentela che gli permettono di godere della protezione di molti baroni romani quali i Colonna e gli Orsini di Pitigliano, al cui ramo appartiene la madre. | |||
1578/ 1580 | Umbria Marche Lazio Emilia Toscana | A febbraio si sposa a Pesaro con Ippolita della Mirandola alla presenza dello zio Scipione Piccolomini e del duca di Urbino. E’ in questo periodo che il Piccolomini si trasforma anch’egli in brigante. Si avvale dei servizi di Pietro Leoncelli (Petrino da Spoleto) altro temibile bandito che svolge la sua attività nelle campagne umbre e sul confine con la marca d’Ancona. E’ così ora in grado di pareggiare i conti con i Baglioni. Mette a sacco vari villaggi ed uccide chiunque si opponga al suo furore. Si reca a Mirandola allo scopo di vendicarsi di alcuni torti. Compie pure nelle Marche azioni punitive nei confronti di nemici personali come il mettere a sacco Montalboddo (Ostra) per punire a suo modo Pier Conte Gabuzio, colpevole di averlo denunciato di fronte al pontefice. Penetra nella località, occupa la piazza principale, assale il palazzo del Gabuzio e vi uccide il fratello di Pier Conte. Sono ammazzati altri 8 membri di tale famiglia: si salva il solo Pier Conte perché assente al momento dell’attacco. Nella primavera del 1579 il Piccolomini è bandito dai territori pontifici per avere fatto prigioniero un cavaliere della famiglia del governatore di Ancona e di avere ucciso, nella circostanza, 3/4 sbirri. E’ posta sulla sua testa una taglia di 4000 scudi. Gregorio XIII procede al sequestro di Montemarciano. Le truppe pontificie guidate dal commissario Antonio Maria Retica giungono di notte a Montemarciano, circondano il castello, e, dopo avere ucciso le sentinelle, vi irrompono senza trovare resistenza. La fortezza è messa a sacco e demolita (novembre). Il danno subito nel saccheggio è valutato dai contemporanei in 200000 scudi. Raccoglie una massa eterogenea di individui: delinquenti comuni, contadini affamati, fuoriusciti, soldati disoccupati. Con costoro, circa 200 unità, si muove in continuazione. Lascia Cortona e si porta in Val d’Orcia nel suo feudo di Camporservoli; da ultimo, ripara nel veneziano. | |||
1581 | |||||
Estate | Marche e Lazio | A maggio rientra nella Marca. Agli inizi dell’estate mette a sacco Ascoli Piceno, dove è ucciso il governatore della città Orazio Marziari. Dopo uno scontro con le truppe di Latino Orsini, dà l’assalto al convento francescano di Brogliano; in un paese nelle vicinanze di Senigallia fa sgozzare, presenti madri e mogli, alcuni avversari che non hanno rispettato i suoi ordini. Sua intenzione è quella di ritornare nel suo feudo di Montemarciano al fine di controllare i lavori di mietitura ed eventualmente dare fuoco ai raccolti. E’ scomunicato; i soldati che devono fargli fronte si rifiutano di eseguire gli ordini; per dargli la caccia devono giungere da Roma molti mercenari stranieri. Anche Latino Orsini, che gli è stato inviato contro con fanti e cavalli, non viene a capo alle sue razzie. Viene sorpreso dagli avversari nel maceratese a Sefro mentre sta cenando in un vecchio casale con i suoi compagnia. Riesce a respingere gli attaccanti a seguito di un feroce scontro. Il Piccolomini si rifugia a Colfiorito, inseguito dai pontifici; a seguito di un aspro scontro rimangono sul terreno molti banditi. Si dà alla fuga; si accosta nei pressi di Civitavecchia; a fine luglio prende d’assalto le allumiere di Tolfa; giunge sino a Roma, a Ponte Milvio ed a Porta Prima. Ad agosto rimane in tale territorio al fine di rinforzare la sua banda (portata a 300 uomini) e di attaccare le terre di Latino Orsini. In tale periodo può sempre contare sul soccorso del granduca di Toscana, che si serve del suo agente di Roma, Antonio Serguidi, per trattare con Giacomo Boncompagni ed evitare il sequestro dei beni del brigante. | |||
……….. | Toscana | A settembre presenta una supplica al papa per essere perdonato e potere rientrare in possesso del feudo di Montemarciano. Per risolvere la situazione il pontefice si accorda con il granduca di Toscana Francesco dei Medici affinché il Piccolomini si ritiri a Pienza in Toscana con la promessa della restituzione dei suoi beni, già confiscati, alla condizione di non rimettere più piede nelle Marche. | |||
1582 | |||||
…………. | Lazio | A gennaio il papa fa recapitare al cardinale Ferdinando dei Medici, attraverso il cardinale Carlo Borromeo, l’ordine di recarsi a Roma. Anche il cardinale Niccolò Sfondrati lo convince ad ubbidire. Ad aprile entra in Roma, condotto dal parente Paolo Sforza; è accompagnato da 50 nobili cavalieri e da grande moltitudine di popolo. La cavalcata si dirige verso Trinità dei Monti; si ferma al palazzo del cardinale dei Medici, dove è ospitato. Qui attende il breve pontificio che lo assolve di ogni omicidio. Sono 370 gli assassinii confessati; in un anno i pontifici hanno speso senza risultato 70000 scudi. Per dimostrare al pontefice di essere cambiato elimina la banda di Alcibiade, altro noto bandito, come ha fatto in precedenza con Pietro Leoncelli attirandolo da solo con l’inganno e prendendo al suo seguito i componenti della banda di quest’ultimo (120 uomini). E’ perdonato; ottiene la benedizione solenne; gli è posta la condizione di lasciare lo stato della Chiesa e di portarsi in Francia per affrontare gli ugonotti. Gli sono offerti il comando delle truppe di stanza delle truppe di stanza ad Avignone, nonché la revoca della scomunica. | |||
1583 | Toscana | Da Roma si dirige come da accordi a Pienza. Ai primi di giugno cattura sul fiume Paglia il bandito Claudio del Ciuccio con i suoi uomini, perché costoro, alcuni giorni prima hanno derubato alcuni frati al ponte di Centeno presso Acquapendente. I prigionieri sono mandati a Radicofani per esservi giustiziati o incarcerati. Il cardinale Carlo Borromeo per conto del papa Gregorio XIII chiede al cardinale dei Medici di fare pressione sul Piccolomini affinché lasci l’Italia per andare a combattere i turchi. Il Piccolomini rifiuta nella sostanza la richiesta; adduce come scusante la mancanza di denaro per approntare una buona compagnia di soldati; promette che, una volta rimessosi dal punto di vista economico avrebbe fatto penitenza dei passati errori e che si sarebbe riconciliato con la Chiesa andando a servire nelle galee contro gli ottomani. | |||
1584 | |||||
Nov. | Francia | Ugonotti | Francia e Marche | Su invito del Joyeuse combatte in Francia nelle guerre di religione. | |
1585 | |||||
Ago. | Francia | Toscana Marche Piemonte Francia | Rientra in Italia grazie al cardinale dei Medici che intercede a suo favore. A Firenze ed a Montemarciano. Il duca di Urbino, per timore di rappresaglie da parte dei pontifici, gli nega la possibilità di potere dimorare nella rocca di Pesaro. Ritorna in Francia; viene nominato luogotenente del duca di Joyeuse nel marchesato di Saluzzo; riceve dal re 12000 scudi ed una pensione di 3000 ducati. Il duca Enrico di Guisa lo introduce nella corte di Caterina dei Medici, con la quale si lamenta dei torti subiti dal duca di Joyeuse. Gli è affidato il compito di reclutare milizie in Italia. Al soglio pontificio ora non è più Gregorio XIII, bensì il marchigiano felice Peretti con il nome di Sisto V. | ||
1586 | Firenze | Fuoriusciti | Toscana | Soggiorna a Pienza di frequente. Milita al servizio del granduca di Toscana ed a maggio affronta alcuni fuoriusciti nel senese. Il nuovo papa Sisto V, ad ottobre, lo assolve e libera i suoi beni dalla confisca. | |
1587/ 1589 | Toscana Lombardia | A metà ottobre muore il granduca Francesco dei Medici; viene in tal modo meno la protezione medicea a suo favore. Il nuovo granduca Ferdinando si rende conto che il Piccolomini, a causa dei suoi rapporti con la nobiltà senese, può rappresentare un pericolo per il suo stato. Nei primi mesi del 1589 diviene il nemico da abbattere. Si allontana dalla Toscana senza preavviso; è segnalato a Milano. Gli è ingiunto di non rientrare più nel granducato se non previa autorizzazione. Gli sono sequestrati i raccolti delle sue terre ed il relativo bestiame. | |||
1590 | |||||
Apr. ott. | Marche Romagna Toscana Emilia Lazio | Nell’aprile la pressione delle bande di briganti si fa più forte nella Marca, ad Ascoli Piceno, dove la Spagna contribuisce a fomentare i disordini. Il Piccolomini raduna soldati nel milanese, a Mirandola, destinati in apparenza al fronte francese; in realtà costoro alimentano le sue schiere e sono usati dagli spagnoli per fare pressione sul papa. Sono avviate trattative tra medicei e pontifici allo scopo di collaborare insieme alla sua cattura. I medicei chiedono agli alleati di potere penetrare nello stato della Chiesa al fine di arrestarlo o ucciderlo Anche Venezia pone sulla sua testa una taglia di 10000 ducati e la remissione dal bando per 5 fuoriusciti, nel timore che si unisca con la compagnia di Marco Sciarra. A metà giugno si trova nel pistoiese; si ritira verso la Romagna dopo avere messo a sacco Pietramala e Fiorenzuola. A fine mese il granduca Ferdinando dei Medici pone sulla sua testa una taglia di 20000 scudi se catturato vivo, di 10000 se consegnato morto. Ai primi di luglio viene condannato a morte in contumacia. Si svolge intanto il conclave che porta all’elezione di Pio V; la Spagna utilizza ancora il Piccolomini; costui lascia il piacentino; è a Montemarciano; si porta nel regno di Napoli per fare pressioni sul collegio dei cardinali. Entra a Roma in carrozza; è protetto dai Colonna; è ospitato nel suo palazzo dal conte Enrique di Olivares, ambasciatore di Spagna. Quest’ultimo gli procura una credenziale di 12000 ducati da incassare a Venezia. Rientra a Montemarciano. Ad agosto, la moglie, che si trova a Firenze, si lamenta con i capitani di parte guelfa per la situazione finanziaria in cui si trova. Ad ottobre si trasferisce nel Lazio; si collega con la banda di Battistello da Fermo; insieme agiscono nelle vicinanze di Roma, a La Storta, a Prima Porta ed a Malagrotta. Gode sempre di alcuni appoggi influenti come quello che gli è fornito dai Colonna. L’estrema mobilità e gli astuti accorgimenti (talvolta si serve di un sosia, Giovanni Paolo da Brescia) rendono difficile una sua localizzazione da parte delle autorità pontificie. Si intensificano le azioni ed i saccheggi nella Campagna romana; si dirige verso Ceri per ricevere istruzioni dal conte Olivares. sconfigge il Bisaccione; riesce a sfondare le linee nemiche ed a guadare il Tevere. Si collega a Caprarola con Marco Sciarra. I due radunano circa 500 briganti. | |||
Dic. | Lazio Toscana Umbria Marche | Muore Pio V ed è eletto il cardinale Niccolò Sfondrati (Gregorio XIV). Inizia la sua parabola discendente. In un primo momento trova rifugio a Pitigliano presso Alessandro Orsini, un tempo suo nemico. Le autorità papali danno il permesso alle truppe granducali di entrare nei territori dello stato della Chiesa per combatterlo. Il Piccolomini incomincia ad essere abbandonato da alcuni seguaci come Niccolò della Genga e Tiberio Cauli. Ai primi del mese con un seguito di più di 500 uomini cavalca con il Battistello da Fermo e lo Sciarra. Sottopone a ferro e fuoco le terre attraversate. Dà alle fiamme l’osteria di Monterosi dove sono ammassati nei magazzini 1000 rubbie di frumento e nelle stalle 80 capi di bestiame. E’ pure incendiato un casale appartenente alla sorella del defunto papa Sisto V. E’ informato che lo Sciarra si trova assediato nei pressi dagli avversari al casale degli Olgiatti nei pressi di Roma. Decide di intervenire in suo soccorso. Le milizie pontificie, guidate da Virginio Orsini e quelle toscane agli ordini di Camillo del Monte a Santa Maria, si scontrano con i briganti e riescono a scompaginarne le file. I banditi riescono a rompere di notte l’accerchiamento guadagnando la fuga. Sono feriti nello scontro Virginio Orsini il del Monte a Santa Maria. Con lo Sciarra si dirige verso i monti della Tolfa; si accampa a Villa San Giovanni in Tuscia. Ha con sé 450 uomini. Si scontra nuovamente con il Bisaccione; si apre un varco verso la salvezza a Barbarano Romano entrando in una macchia inestricabile. la vigilia di Natale si ferma a Contignano dove si separa dallo Sciarra. E’ sempre inseguito dalle truppe granducali anche nello stato pontificio. Tenta la fuga, mentre molti dei suoi uomini lasciano le sue file. Per i monti di Norcia riesce a raggiungere le Marche con Battistello da Fermo. | |||
1591 | |||||
Gen. | Romagna | Il Bisaccione è sempre alle sue costole; raggiunge Cattolica dove si separa dal grosso della banda. Punta su Rimini con una trentina di uomini. Si ferma vicino al convento dei frati domenicani di Santa Maria delle Grazie. E’ qui sorpreso dai granducali; si salva nel territorio di Cervia: si propone di attraversare il Savio per unirsi sull’altra riva con 150 briganti che l’aspettano. nel frangente è abbandonato anche da Battistello da Fermo. Decide di arrendersi perché non ha più scampo. Si ferma con 3 compagni in un podere chiamato l’ Inferno, nei domini del marchese di Bagno. Si consegna ai granducali. Il Bisaccione lo conduce a Forlì con 300 fanti della sua compagnia. E’ incarcerato in tale città. Sorgono aspri contrasti tra la corte toscana e le autorità pontificie sulla competenza di chi debba giudicarlo. Il governatore della città Pompeo Sperelli reclama invano il diritto di trattenere il prigioniero. Il Bisaccione lo fa condurre a Firenze. A metà mese entra in Firenze per la Porta della Croce. | |||
Mar. | Toscana | E’ sottoposto ad un processo a porte chiuse in cui viene accusato di avere ucciso 600 persone e procurato danni nel solo granducato per più di un milione di scudi. Viene torturato. Dopo due mesi di prigione, in una notte di metà marzo, è condotto in una cappella senza ceppi né catene per riguardo al suo stato nobiliare. Viene impiccato nel pomeriggio alla torre del Palazzo del Bargello. Al momento dell’ esecuzione non mostra alcun segno di pentimento. E’ sepolto nella chiesa dei Neri a Borgo la Croce, fuori Porta San Francesco, edificio distrutto nel 1700. Montemarciano viene concessa dal papa Gregorio XIV al nipote Ercole Sfondrati. |
CITAZIONI
-“Mantiene sempre un comportamento impeccabile. Dovunque va tratta modestissimamente, ricercando i fattori de gentiluomini per cortesia di essere alloggiato et ricevere da mangiare per sé et per li cavalli, et quando va all’osteria, che vi va di rado, paga ciò che piglia et non permette che si faccia danno in luogo alcuno.” Citazione riportata da P. STACCIOLI
-“Qui giace Alfonso, e il fausto e l’alterezza/ Sua, che turbò Gregorio, el fuoruscito/ Corse le Marche, e depredò quel lito/ Con genti al sangue e alle rapine avvezza./ Quando l’Etruria, a sdegno, e quella Altezza/ Morse, a cui fu di ribellarsi ardito/ Taglieggiò il Latio, al fin preso e schernito/ Perdé ciò che fra di noi più s’ama, e apprezza/ O del instabil Dea raro e mirando/ Esempio, quei che del suo nome piena/ Havea tutta l’Italia e pieno il mondo/ Drento a l’alma città che i Toschi affrena/ Dal ferro sì famoso e memorando /Pender si vede, vergognoso pondo.” Da un sonetto composto per la sua morte riportato da P. STACCIOLI
-La sua “Inafferrabile mobilità lo rendeva pericoloso, ma lo circondava agli occhi dei suoi seguaci e delle popolazioni anche di un colore di mistero e di gloria…I contemporanei vedevano nelle azioni di Alfonso Piccolomini la naturale vendetta per le offese recategli dal pontefice e ne giustificavano la violenza. Tuttavia, attorno al conflitto fra il papa e il bandito si evidenziarono sia le rivalità nobiliari e la disordinata resistenza nei confronti della politica di controllo del territorio perseguita dai pontifici sia i più complessi equilibri fra Papato, i Medici e la Spagna. Il cardinale Ferdinando de’ Medici si serviva di Piccolomini per premere su Gregorio XIII, che accettò di trattare con il bandito.” FOSI
-“Era generoso con gli amici, ma non perdonava gli avversari neppure se gli fosse tornato comodo farlo. E la sua ardimentosa figura di cavaliere invincibile colpiva la fantasia dei contadini come quella dei potenti…(Al momento della sua morte) Il condannato indossava una pelliccia grigia con calze rosse e pianelle di panno nero. Venne impiccato al ferro che sporgeva per quell’uso all’esterno del palazzo e rimase a penzoloni per circa cinque ore. Poi, quando scese la notte, fu infine tirato giù e raccolto dalla “Compagnia dei Neri” che avevano all’epoca il compito di assistere i condannati a morte.. Trasportarono il corpo, steso su una lettiga, nella loro chiesa detta del Tempio da uno spedale dei Templari, situata in via di Borgo La Croce presso l’omonima porta della città.” BENADUSI MARZOCCA
.”Preferì volgere le armi delle Compagnie di ventura ad imprese di vero e proprio brigantaggio.” ARGEGNI
BIOGRAFIE SPECIFICHE
-P. Benadusi Marzocca. Il duca bandito. Vita e morte di Alfonso Piccolomini, duca di Montemarciano.